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29 Aprile 2024

Valeria Di Felice: "Siamo chiamati a svolgere un ruolo di dialogo tra occidente e vicino oriente"

di Giovanna Albi
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Valeria Di Felice: "Siamo chiamati a svolgere un ruolo di dialogo tra occidente e vicino oriente"

Un’editrice attenta, una poetessa vera, molto brava nell’individuare e valorizzare i talenti del panorama letterario dell’intero bacino del Mediterraneo: non il solito caso d’intellettuale narcista e autoreferenziale, insomma, ma di amore vero nei riguardi delle distinte culture dei popoli ‘rivieraschi’
 
L'attività editoriale di Valeria Di Felice si impone nel panorama letterario italiano, insegnando come la cultura non debba  essere ozioso 'divertissiment', ma impegno sociale, con finalità di solidarietà e pace tra i popoli. Siamo andati, quindi, presso la sua casa editrice, la Di Felice Edizioni, a intervistarla, certi che in questi anni in cui impazzano le guerre, le sue opere possano contribuire a far crescere il dialogo e a favorire la comprensione dei fenomeni umani, che caratterizzano il nostro secolo.
 
Valeria Di Felice, sfogliando il catalogo della sua casa editrice, molto vivo è il dialogo intrattenuto con le realtà del Mediterraneo e con quei popoli - quello ebreo e quello palestinese - tra i quali, oggi, si consuma una feroce guerra: quali sono le finalità della sua casa editrice? E quante opere di questo genere ha pubblicato?
“Sono due le collane che hanno un’attenzione al mondo mediterraneo, soprattutto di lingua araba: ‘Il gabbiere’, dedicata alla poesia e ‘Gli occhi del pavone’, dedicata alla narrativa. La parola letteraria può fungere da ‘specchio’ per prendere consapevolezza della propria identità collettiva e delle memorie condivise, ma può anche costruire ponti, aprire porte, farci fare un passo in avanti nella conoscenza dell’Altro. Molti autori che abbiamo scelto tra diversi Paesi ‘rivieraschi’, dal Marocco, dalla Spagna, dalla Libia, dall’Egitto, dalla Siria e dalla Palestina, sono voci diverse per stile e fisionomia letteraria, ma tutti accomunati da uno sguardo capace di tradurre la complessità di un pluriverso simbolico come quello mediterraneo. E non solo: queste voci sono la Valeria_Di_Felice_3.jpgtestimonianza di una parola coraggiosa, che osa il cambiamento, la ribellione, la libertà d’espressione – per nulla scontata in alcuni Paesi. In particolare, la parola poetica è ancora un’arma ‘bianca’, con la quale difendere la dignità dell’uomo. E’ una ‘finzione’ che modella l’idea del mondo, che cerca di riscriverla purificandola dalle derive dell’ignoranza. Mi viene in mente Ashraf Fayadh, un poeta di origini palestinesi appena uscito da un carcere dell’Arabia Saudita, dopo aver scontato quasi dieci anni di detenzione - e 800 frustate - con la condanna di apostasia per le sue poesie. Un poeta che ora porta inciso nelle cicatrici della sua pelle il coraggio della poesia, la difesa della libertà di espressione, la benevola ostinazione di chi crede che la poesia sia connessa con l’emancipazione della condizione umana.  Ne è la prova la sua seconda raccolta, ‘Epicrisi’, scritta mentre era in prigione e pubblicata prima in Tunisia e, in seguito, qui da noi con la Di Felice Edizioni, grazie anche alla traduzione di Sana Darghmouni. E ancora: come non citare ‘Migranti: il rapporto Alfa’ di Henri Michel Boccara? Un romanzo nel quale si susseguono storie di migranti del Mediterraneo come corde tese, tra la drammaticità di una situazione dalla quale si fugge e la speranza, spesso disattesa o infruttuosa, di una possibilità di sopravvivenza. Poi c’è Emad El Mohsen, che con ‘La venditrice di gelsomini’ ha saputo entrare nel dramma della rivoluzione del 2011 in Egitto, con le piazze trasformate in luoghi di martirio. E molti altri, come Samira Albouzedi, Hassan Najmi, Fatiha Morchid, Murad Sudani, Yousef al Mahmoud, Nazìh Abu 'Afash, Hadi Danial”.

Anche nel caso del Marocco, lei ha segnalato con coraggio la disperata condizione della donna che vivono nell’entroterra maghrebino: cosa ha appreso dal saggio ‘Schiena di donna - Schiena di mulo’, che analizza la realtà più profonda delle donne marocchine?
“Hicham Houdaïfa, autore dei racconti-inchiesta tradotti da Ileana Marchesani, è un giornalista molto attento e sensibile alla condizione di sfruttamento di cui sono vittime molte donne del Marocco, ancora oggi. Tali cronache riguardano soprattutto le regioni montagnose dell’Atlas e le piccole città (Berkane, Midelt, Kalaat Sraghna): luoghi periferici in cui le donne hanno meno possibilità di emancipazione e le loro condizioni disperate non trovano voce, mediaticamente. Quel libro è stato importante, perché denunciando il problema, ha cercato di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e di combattere l’indifferenza che, in molti casi, è la sorella maggiore dell’ignoranza”.

Nella collana di poesie ‘Il gabbiere’ avete pubblicato la silloge di un ebreo-olandese ucciso a Gerusalemme per aver favorito la pace tra ebrei e palestinesi: ci fornisce delle notizie in merito alla sua poesia che ha così nobili ideali?
“Alla luce delle recenti vicende in Palestina, mi sembrava significativo citare Jacob Israёl de Haan: un poeta ebreo-olandese assassinato il 30 giugno 1924 dal movimento Hagana. Considerato un precursore di Amnesty International e tra le prime vittime di assassinio politico a Gerusalemme, rappresenta uno scrittore impegnato nelle grandi battaglie a difesa della parità dei diritti degli omosessuali, della dignità dell’uomo e, soprattutto, del dialogo costruttivo in Palestina. Una lotta questa che gli costò la vita e la damnatio memoriae dei sionisti. A distanza di cento anni dalla sua morte, le sue Quartine, tradotte da Patrizia Filia e per la prima volta edite in Italia dalla Di Felice Edizioni, sono un mosaico di intuizioni che nascono da una quotidianità fatta di atmosfere, paesaggi, strade, visuali dentro cui transitano – insieme – ebrei e arabi, sotto l’egida di Dio, la cui essenza – qualunque forma o fede incarni – si respira da ogni pietra. E sempre a proposito di Palestina, vorrei ricordare altri due autori nei quali risuonano la tragicità e la bellezza di un rapporto viscerale tra l’Io e la sua terra: Murad Sudani, con ‘I segni del narciso e i desideri’ e Yousef al Mahmoud, con ‘Sulla cima di un garofano’, entrambe tradotte da Odeh Amarneh”.

HadiValeria_Di_Felice.jpg Danial è un poeta e un editore coraggioso, autore della silloge ‘La testa dei tanti cappelli’: qual è il significato di questo titolo alquanto originale? E quale, in sintesi, il contenuto dell’opera?
“Hadi Danial, nato sulla costa siriana, è un poeta che ha saputo coniugare l’attività letteraria con l’impegno civile. Nel 1973 si è unito alla rivoluzione palestinese a Beirut e ha svolto diverse attività in ambito culturale. Per esempio, è stato direttore di programmi culturali per Radio Palestina. In seguito, si è trasferito con l’Olp in Tunisia nel 1982, dove ha lavorato come direttore del Segretariato Generale dell’Unione generale degli scrittori e giornalisti palestinesi, prima che l’unione tornasse a Ramallah, nel 1995. A Tunisi, da diversi anni dirige la casa editrice: Diyar Edition. La sua poesia rispecchia la sua militanza. E anche la profonda indagine interiore in un'anima combattiva e resistente, che cerca di rendere omaggio alla bellezza della sua terra. Ora non voglio decifrare del tutto il titolo della raccolta, ‘La testa dei tanti cappelli’, accuratamente tradotta da Sana Darghmouni, per non togliere ai lettori la sorpresa della lettura, ma posso anticipare che l’opera ha a che fare con l’esperienza e la tenacia con cui l’Io poetico si imprime sul bianco della pagina attraverso un lungo e sofferto cammino di ricerca. Sofferto, proprio perché intenso e deciso”.

Quanti titoli contiene il suo catalogo? Quanti e quali titoli ha in cantiere?
“In tutto, quasi 300 titoli. Di prossima uscita: ‘Vanina Vanini’ di Stendhal, con la traduzione di Paola Tiberi; il romanzo: ‘La trama dei giorni’ di Roberto Michilli; i racconti: ‘Il viaggio e altri scritti’ di Ermanno Bencivenga. E, tanto per tornare al Mediterraneo, un romanzo poliziesco: ‘Costi quel che costi’, di Ahmed Masoud, tradotto da Pina Piccolo, in cui Gaza – una Gaza ferita dall’occupazione – fa da sfondo alle vicende della protagonista, Zahra, una donna che vuole scoprire se il marito Ammar è morto davvero accidentalmente, durante il massacro di Shujaiya del luglio 2004 o se, in realtà, sia stato assassinato”.
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QUI SOPRA: VALERIA DI FELICE, VINCITRICE DEL PREMIO LETTERARIO 'MARTIN DE SEGURA' 2020

AL CENTRO, DAL BASSO VERSO L'ALTO: L'EDITRICE DURANTE UNA GIORNATA DI LAVORO E AGLI ESORDI

IN APERTURA: UN BELLISSIMO SCATTO IN PRIMO PIANO


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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