Esther e Iago attendono, nel chiuso di un magazzino, il momento fatale in cui dovranno compiere un attentato. Due 'soldati' votati alla causa, a cui lui, realista, lega il filo della propria esistenza, mentre lei cerca disperatamente un appiglio ‘altrove’, animata da una speranza che, in fondo, un’altra vita sia possibile. Al centro una piccola scacchiera, metafora di una partita che stanno ingaggiando. Gli spettatori vengono trasportati in rimandi continui ad un ‘altrove’, in cui sono spostati gli elementi della storia: i personaggi sono là, nel magazzino, ma parlano di ‘altro’, di se stessi e della loro relazione, che, appunto, è altrove rispetto al presente che sta per compiersi. Dov'è la verità? Qui e ora, nell’azione che devono compiere e per cui sono stati ‘addestrati’? O altrove fuori da lì? “Io sono quello che sono”, ripete Iago come un mantra per convincersi e giustificarsi agli occhi di lei. “No, tu sei quello che sei diventato”, ribatte Esther. Mentre dibattono sulla questione se terroristi si nasce o si diventa, tra le loro parole trova posto anche il sentimento, ricercato come un barlume di vita da due esseri ‘morti’, che nella loro esistenza, sono trascinati da ragionamenti logicamente consequenziali e velatamente ideologici. La realtà, dunque, dov’è? Esther alla fine fugge, ci prova, per poi far ritorno, continuando, invano, a sperare che la vita sia ‘altrove’. Due maschere ‘cattive’ alla disperata ricerca di giustificare il proprio ruolo. Denso, impegnativo e ben recitato.
Di Simone Ranucci
Regia di Herbert Simone Paragnani
Con Matteo Castellino e Martina Sechi