“Schizzata” è un lamento disperato di dolore e rabbia che Chiara – la protagonista – urla, nel suo monologo, a squarciagola, nel tentativo di comprendere, metabolizzare e alleviare le sue pene. La storia, percorsa a ritroso, ci offre lo spettacolo di una giovane donna al culmine della follia: costretta a prostituirsi e violentata (soprattutto nell’anima) dal suo uomo diventato carnefice, comprende che la sua vita è irrimediabilmente sfregiata. I suoi sogni sono stati strappati, la fiducia è lacerata. L’amore è stato tradito. Il disagio e il ‘mal di vivere’ sono ormai troppo grandi. Non vi è possibilità di riscatto personale. Le violenze e gli abusi restano tatuate sulla sua pelle, così come l’ombra di un bambino mai nato si muove costantemente nei meandri più bui della coscienza. Un bambino che avrebbe potuto invertire la rotta di un destino infamante e che, invece, diventa il monito di due vite interrotte. Uccidere l’aguzzino, uscire dall’oblìo e rivestirsi con i brandelli che restano di se stessa, diventa allora indispensabile. Ma non dà sollievo, non offre conforto e non apre spiragli di speranza. Nell’insopportabilità di convivere con se stessa e con il rimpianto della propria vita ‘uccisa’, Chiara intravede un’unica via di fuga per porre fine alle proprie sofferenze: il suicidio. La rappresentazione è alternata a scene proiettate in cui la recitazione è muta e il racconto del dramma è affidato alla musica. Proprio gli episodi musicali riescono a districare il filo di una trama difficile, ad interpretare il mondo interiore e a dare ‘luce’ ad alcuni passaggi contorti che, spesso, non si riesce a comprendere durante l’evolversi della storia.
Ideato da: Leonardo Jattarelli
Regia: Leonardo Jattarelli, Carlo Oldani
Musiche: Saga
Interpreti: Valeria Zazzaretta