Intelligente monologo dell’artista pugliese Nicola Conversano, che denuncia lo sradicamento del nostro mondo contadino, carico di valori sani e genuini, rispetto a una società che tende a distruggere la natura. A prescindere dall’episodio dell’albero secolare trapiantato al centro di una piazza urbana, l’artista denuncia, rivalutando il proprio idioma dialettale come richiamo ‘pasoliniano’ alle radici più autentiche di un’Italia che non esiste più, un territorio devastato dalle pale eoliche e dall’espulsione dell’agricoltura da una modernità falsa e contraddittoria, che in nome del denaro tende a omologare l’esistenza umana senza alcun rispetto nei confronti delle culture più antiche. E’ il mondo agricolo dell’Italia meridionale che cerca di difendersi. Non riuscendoci, il ragazzo vorrebbe cercare il proprio futuro nella grande città. Ma è proprio la sua terra, in fondo, a mantenerlo ‘inchiodato’ sul posto, attraverso un amore mai dichiarato apertamente, ma proprio per questo sincero e commovente. Un elogio di quella diversità non così distante dal dramma epocale delle imponenti migrazioni provenienti dall’Africa. Interessante e convincente.