Matteo Cirillo si esibisce al Roma Fringe Festival 2017 col monologo, ‘Aspettando una chiamata’, che racconta la vita di tanti giovani in attesa di poter lavorare. Un testo che si sarebbe potuto intitolare anche: ‘Le faremo sapere’, oppure: ‘Vita da precario’, per la sua completezza in merito agli altalenanti stati d’animo di tanti ragazzi che oggi soffrono tale condizione. Innanzitutto, occorre richiamare l’attenzione su Matteo Cirillo, che merita pienamente la ‘nomination’ ufficiale come miglior attore della manifestazione capitolina di quest’anno. Il suo stile risulta dinamico, energico, ricco di trovate fantasiose e divertenti, dotato di un ritmo che trascina fino alla fine. Il ragazzo, dunque, è di talento: nel suo monologo ci sono pochissime pause e l’omaggio alla surreale comicità ‘petroliniana’ ci è apparso evidente. Il testo, inoltre, è spassoso e possiede anche il merito di non banalizzare strumentalmente la questione di fondo. Al contrario, Cirillo certifica il fallimento di una società di mercato incapace di trovare una collocazione anche ai giovani più capaci, entusiasti, vogliosi di far bene, intelligenti e pieni di risorse. Nei nostri corsi di formazione, nonostante si cerchi di ‘vestire’ i nostri allievi con ‘uniformi professionali’ improntare all’umiltà, alla propositività e alla disponibilità - secondo i requisiti che ci vengono deontologicamente richiesti – spesso ci si rende conto di come tutto ciò serva a ben poco, se poi il mercato non dimostra la capacità di assorbire nemmeno gli elementi meglio selezionati. La critica di Cirillo, dunque, non è affatto mal posta, poiché indica, in maniera politicamente corretta, la causa della patologia, benché sembri soffermarsi ironicamente sui sintomi. In realtà, l’indicazione, per esempio, di possibili ‘nuovi mestieri’, solo apparentemente legati al ‘nonsense’, è un’accusa precisa e diretta a un mondo dell’imprenditoria italiana incapace di rigenerare i mercati, stimolando nuova domanda. La denuncia di un management ingessato, legato a concezioni obsolete della produttività, quando non malato di assistenzialismo o di ‘piraterìa’ furfantesca, produce a sua volta effetti devastanti all’interno della società, che rimane ‘impantanata’ tra i problemi di tutti i giorni. L’aneddoto del cameriere, tanto per fare un nuovo esempio, descrive perfettamente i consueti canoni del ristorante di lusso contrapposti a quelli della popolaresca trattoria romana, segnalando un mondo, quello degli esercizi e della piccola imprenditoria locale, anch’esso fermo ai soliti, banalissimi, luoghi comuni. Cirillo, insomma, mette brillantemente i ‘piedi nel piatto’ di una critica feroce, tutt’altro che ‘buonista’ nei confronti di una mentalità completamente 'prona' al mercato, il quale si dimostra sempre pronto a differenziare i suoi prodotti, ma regolarmente a corto di idee su come riformulare la propria offerta di lavoro, chiudendosi in un conservatorismo egoistico incapace di andare oltre la logica dei ‘call center’. Matteo Cirillo ha proposto un testo assai più serio di quel che può sembrare a prima vista, limpidissimo nel tracciare quel confine che ha lasciato fuori dalla porta intere generazioni di giovani, a causa di una mancanza di meritocrazìa sconcertante, all’interno di una società ‘svuotata’ di ogni principio, ormai inerme di fronte al qualunquismo e al ‘cialtronismo’ più gretto e dilagante.
NELLA FOTO: MATTEO CIRILLO