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22 Novembre 2024

Giorgio

di Ilaria Cordì - icordi@periodicoitalianomagazine.it
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Giorgio

Tra gli alberi di Villa Mercede, dove si sta tenendo il Roma Fringe Festival 2017, arriva 'Giorgio'. No! Non è né il nome di un uragano, né quello di un personaggio di una qualsiasi compagnia teatrale, ma è proprio il titolo di uno degli spettacoli in gara. Giorgio, interpretato e scritto da Nexus, con l’aiuto regia di Laura Garofoli e Claudia Salvatore e la scenografia di Andrea Simonetti, può essere accostato alla tipologia teatrale della performance congiunta alla video-arte, nella quale vengono coniugate differenti caratteristiche comunicative e linguistiche. Per chi soffre di malinconia dei bei tempi andati, sullo sfondo abbiamo un vero e proprio 'revival' della fine degli anni ’80 e degli inizi degli anni ’90, che fanno da cornice a un monologo autobiografico nel quale emergono sentimenti alquanto contrastanti: la voglia di evadere di un giovane da una realtà stretta e limitante; il legame con la figura del padre, simbolo di una famiglia ancora plasmata dalla cultura contadina, che accoglie con 'prona ingenutà' tutti quegli elementi indotti da uno sviluppo totalmente consumista e voluttuario, ponendo in relazione consuetudini di provincia come la caccia sportiva, con hobbies e sport estremi. La realtà stretta e limitante è quella di Terni sul finire dello scorso millennio. Il protagonista, insomma, ricorda la propria infanzia fra battute di caccia, cartoni animati di supereroi e film di Schwarzenegger, per poi essere catapultato nella trasformazione dovuta all’adolescenza e al declino post-industriale legato alle acciaierie di Terni, immagine divenuta emblema del regresso economico italiano. “Lui volava, giocava al solitario e fumava; io ballavo, ‘chattavo’ e scaricavo di tutto”. Il testo possiede una struttura drammaturgica inedita, legata a un linguaggio al contempo ‘ibrido’ e metafisico, discendente diretto del Teatro di parola e dei differenti ‘quadri tematici’, i quali portano la narrazione a un livello superiore rispetto al semplice racconto di una società caduta in evidente contraddizione. L’interpretazione risponde, dunque, a un registro ‘epico’ di cui il ‘performer’ in scena non sempre riesce a coglierne le corrette ‘tempistiche’ recitative. In ogni caso, si tratta di un'interpretazione che riesce a comunicare al pubblico ammirevole sincerità nel ricostruire gli avvenimenti del passato, riportando alla luce un impolverato archivio di famiglia tramite forme di narrazione alternativa, 'auto-fiction' e un eccellente utilizzo del corpo. Malinconico e irrequieto, a tratti ironico: un lavoro più che discreto.

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