"Non entrare e non sognare di entrare", la difesa della proprietà è il tema specifico e dominante del racconto e motore del suo intreccio: l'aspirazione alla solitudine si innesca dal divieto messo in atto dal Gigante, che vuole preservare il suo giardino dall'invasione di bambini festanti e chiassosi
La favola di Oscar Wilde risuona quanto mai attuale in una società in cui la paura e l'egoismo del singolo diventano l'unica legge per tutti. La regia di Antonio Tancredi risulta delicatamente poetica nel porre all'attenzione dei più piccoli alcune tematiche profonde, con le quali gli uomini di domani dovranno costantemente fare i conti. La paura dell'ignoto di questo ‘Gigante egoista’ è talmente grande e radicata da indurlo a costruire un muro, per evitare il contatto con gli altri, sottraendosi così a un confronto con se stesso e con la propria difficoltà di vivere. Il ritmo narrativo è scorrevole e particolarmente gradevole nella caleidoscopica interpretazione delle due attrici, Francesca Giacardi e Maria Teresa Giachetta, che giocano con garbo nel ruolo di moderne ‘burattinaie’ ricorrendo a pupazzi e vari oggetti, nell'alternanza tra narrazione e interpretazione corporea. Le musiche, composte da Claudia Pisani, ricordano le francesi e malinconiche melodie presenti in un'altra fiaba moderna, in cui una bellissima Amélie Poulin propone un modello di dedizione e altruismo completamente agli antipodi rispetto al Gigante di Wilde. Le note e la messa in scena evocano la creatività degli artisti di strada, che conducono gli spettatori a riassaporare un'atmosfera sospesa: una storia di solitudine senza tempo. L'isolamento sembra destinare il personaggio a soccombere sotto il gelo dell'inverno e a rimanere impantanato in un immobilismo esistenziale, fino al bacio di quel bambino capace di scaldare e di far sbocciare in lui un inedito sentimento di amore. In un attimo tutto cambia: la natura può finalmente seguire il suo corso e tutti possono giocare insieme nel giardino di un gigante ormai stanco della tristezza e della solitudine, che dunque preferisce togliere qualsiasi divieto per “permettere di sognare di entrare”, per vivere completamente l'amore eterno. La scelta finale del protagonista non ricalca la classica morale cattolica del paradiso presente nell'originale, bensì invita lo spettatore a riflettere sulla fiducia nella comunicazione e sull'importanza della condivisione in quanto fonte di arricchimento dell'anima e del corpo. L'atto del donare disinteressatamente agli altri si può trasformare in una continua avventura alla scoperta di piaceri e dispiaceri, per “una storia che è la vita”. Una favola deliziosamente attuale.
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