Un monologo tutto al femminile, in cui si sceglie la via della dissacrazione della celebre favola di Apuleio e si 'pretende' di raccontare la nuda, cruda e triste realtà. La trama rimane fedele all'originale, ma in essa i personaggi sono raccontati da Psiche in modo pittoresco e attuale. Tutto è rovesciato e, all'inizio, lo sviluppo degli eventi e dei componenti della famiglia appare troppo intricato e poco chiaro. Il contesto di appartenenza prende forma gradualmente, quando il padre pugliese dal carattere sensibile e la madre energica e autoritaria cercano, tra mille peripezie, di trovare marito alle tre figlie. La descrizione del ricco palazzo del futuro e dell’anonimo marito sembra un viaggio nel grottesco. Per quasi tutto lo spettacolo, Psiche sembra una nuova ‘Alice nel paese delle meraviglie’: un'isterica dispensatrice di spietate verità sull'amore. I continui rimandi sessuali, attraverso banali giuochi di parole e l'eccessiva incursione della ‘risatina nevrotica’ pongono la recitazione su un livello di tonalità sempre molto acceso ed elevato, che allontanano lo spettatore dal coinvolgimento e dall'indagine emotiva del personaggio, che rimane fissato in un’immagine di ingenuità piuttosto consueta, persino puerile. Tuttavia, è apprezzabile lo sforzo della regia di attualizzare il racconto di Apuleio da romanzo di formazione a moderna e disincantata visione dell'amore, in cui in tutta franchezza la bellezza conta più di mille giochi di parole e suggestioni filosofiche. Bizzarro e impertinente.