Un lavoro ricco di idee, spunti e suggestioni della nota attrice Margherita Laterza, che ha il merito di annunciare la nascita di un nuovo genere artistico: quello del teatro ‘pop’
Lo spettacolo scritto e diretto da Margherita Laterza pone alcune questioni decisamente specifiche o particolari. Esso, infatti, ci obbliga a prendere atto di un paio di ‘cose’ che stanno accadendo, o che si stanno affacciando sul nostro panorama artistico. Innanzitutto, come da noi osservato in sede di presentazione del Roma Fringe Festival 2019 (cliccare QUI), stiamo entrando nell’epoca del teatro ‘pop’. Ovvero, un nuovo genere di teatro giovanile, in cui gli artisti sono disperatamente alla ricerca di nuovi valori, all’interno di una società sempre più ‘appiattita’ tra smartphone e social network. Un modo di vivere che conduce, per reazione, a un’esistenza che verte totalmente sul presente, poiché ogni cosa appare disumanizzata, falsificata, poco spontanea. La tendenza è inesorabile, poiché legata a una concezione fortemente individualista imposta da una globalizzazione che isola i ragazzi in un’esistenza virtuale, svuotando i rapporti di ogni fattore di umanità: tutto dev’essere mantenuto sotto controllo e nulla può accadere per caso. Si tratta di una critica sociologicamente corretta, da parte della Laterza. In secondo luogo, lo sguardo drammaturgico dell’autrice ha il merito d’indirizzarsi verso un futuro che ormai ci attende: quello dominato dall’intelligenza artificiale. La scenografia stessa di ‘Adamant’ suggerisce rapporti divisi in ‘stanze’ ben distinte tra loro, poiché nati e sviluppatisi sulle chat. Da sottolineare anche qualche suggestione ‘fetish’: il personaggio interpretato in questo lavoro da Marta Gastini, per esempio, rimane colpita dal colore (l'adamant è anche un tipo di pantone, in certi ambienti...) della valigia di un ragazzo che incontra in uno dei vari ‘non luoghi’ che fanno da sfondo alla vicenda. Siamo ormai di fronte a una generazione diversa dalla nostra. E dobbiamo rendercene conto, sia nei suoi aspetti positivi, sia in quelli negativi. Tra questi ultimi, la solitudine dei nostri ragazzi, con tutte le dissociazioni che da ciò ne derivano. Il titolo stesso della pièce, ‘Adamant’, fa esplicito riferimento a una ‘staticità’ sociale che s’impone all’interno di una realtà che sembra ‘liquida’, ma che in verità tende ad escludere anziché includere. Ecco perché anche i ‘cuori virtuali’, a un certo punto, si spengono. Il ‘Giano bifronte’ della nostra gioventù si è nuovamente posto in movimento sul palcoscenico della realtà sociale quotidiana. Ma a prescindere dalle intuizioni dell’autrice, i ragazzi della compagnia ‘Ad Amant’ hanno anche il merito di rappresentare la propria dimensione di alienati procedendo per ‘scossoni umorali’, donandoci l’immagine di una gioventù costretta a muoversi ‘a tentoni’, poiché relegata ai margini da un avanzamento tecnologico che ha chiuso un’epoca, ma ne sta aprendo un’altra ancor più insidiosa. Un’epoca che rischia di immergere definitivamente il nostro futuro tra contraddizioni sempre più stridenti, cronicizzate, insanabili. Per chi ha ‘orecchie’ per intendere.
NELLA FOTO: I RAGAZZI DELLA COMPAGNIA 'AD AMANT'
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