Una perfomance interamente basata sul linguaggio del corpo, dimostrando pienamente come il teatro sia un elemento universale della nostra cultura, che trascende persino il concetto di nazionalità
Uno spettacolo totalmente mimico, che utilizza con efficacia il linguaggio del corpo per descrivere ‘l’Italietta’ del 1939, con i suoi luoghi comuni e gli stereotipi che si sono regolarmente riproposti nel presente. Un buon lavoro, questo della compagnia perugina del ‘Teatro umano’, che diverte, ma fa anche riflettere su quanto poco sia cambiato nell’animo di fondo di un Paese stupido e grottesco, che tende a ripetere sempre i medesimi errori di doppiezza e qualunquismo. Il bar non è un ambiente scelto a caso: nel delirio nazionalista dell’epoca, fu imposto che esso venisse chiamato ‘caffetteria’, in nome di un purismo linguistico tanto ridicolo, quanto anacronistico, per non dire buffonesco. Le maschere dei personaggi in scena, paradossalmente si muovono, prendono vita, esprimono senzazioni, pensieri e sentimenti. Quel che invece rimane letteralmente immobole è tutto il resto: un Paese che tende a bloccare i momenti come fossero fotografie ‘al magnesio’, che proprio non riesce a cambiare poiché vittima dei suoi vuoti e miserabili atteggiamenti. La povera 'Italietta' di ieri giunge, in tal modo, a confinare con quella di oggi: c’è il gerarca Truffini, ottuso e pieno di ‘fisime’; la prostituta vanesia; la bambina 'impicciona' che vorrebbe diventare adulta in fretta e furia; la barista ingenua, che si lascia rubare due bottiglie di vino da sotto il naso; la suora moralista, che tuttavia si lascia corrompere dal denaro; la vecchietta che finge di star male, ma che diviene lucidissima nel sottrarre alla bambina il suo trancio di torta. Un’Italia miserabile e contraddittoria, che proprio non riesce a guardarsi allo specchio, autocondannandosi stucchevolmente al proprio provincialismo folcloristico. Rilassante.
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