Un monologo che ci ricorda la Sicilia latifondista dell’immediato dopoguerra e la grande speranza che animava la società italiana di allora per la ricostruzione del Paese
Si tratta di un testo di Giorgio Cardinali, che è anche il narratore della vicenda, accompagnato in scena dalle musiche di Francesco Ciccone. Una storia realmente accaduta negli anni ’50 del secolo scorso nella Sicilia del latifondo e delle baronìe: una realtà rimasta immobile per interi secoli, su cui sia l’Italia prefascista, sia il regime ‘mussoliniano’ non erano riusciti a incidere in alcun modo. Il racconto è quello di uno sciopero all’incontrario: ovvero, la costruzione di una strada per raggiungere la montagna, facendola passare per i terreni e le proprietà di baroni e latifondisti. La vicenda ha un proprio indubbio valore sociologico di valorizzazione del lavoro e di raggiungimento di un obiettivo tramite la devoluzione di sè. Tuttavia, oltre ad alcuni dubbi recitativi relativi al tono con cui ia vicenda viene presentata, il racconto porta a pensare più al cavallo de ‘La fattoria degli animali’ di George Orwell, piuttosto che a un’impresa solidaristica e popolare, in cui le Forze dell’Ordine si ritrovarono costrette a fronteggiare la popolazione contadina in base a normative che, fino ai tentativi di riformismo agrario di Fausto Gullo - giustamente citato nel racconto - non prevedevano l’esproprio amministrativo di pubblica utilità: un regolamento divenuto fonte di diritto solamente con l’entrata in vigore della Costituzione italiana, che ne ha riconosciuto la valenza giuridica. In buona sostanza, si tratta di un episodio che si potrebbe e si dovrebbe attualizzare alla luce di una modernizzazione che tende, al contrario, a liberare l’uomo dalla schiavitù del lavoro, che dunque prevede una sempre maggior specializzazione delle professioni, abbandonando definitivamente le vecchie logiche, ‘generaliste’ e ideologiche, le quali comportano, spesso e volentieri, incoerenze, parassitismi, scarsa meritocrazia. La vicenda fotografa un momento storico ben preciso, rappresentando come valore positivo un ideale di solidarietà dal basso che, tuttavia, oggi si esporrebbe ingenuamente al tradimento del singolo individuo non appena se ne ha la possibilità. Un valore di speranza estremamente utile per l’Italia dell’immediato dopoguerra, ma totalmente inattuale oggi, poiché entra in conflitto con l’anello forte della catena capitalistica, senza riuscire a determinarne la direzione di marcia. Insomma, i presupposti sociologici di questa vicenda risultano corretti. La direzione suggerita, purtroppo, appare palesemente errata, in quanto divenuta inattuale. Una realtà di cui nessuno può esserne considerato, politicamente o socialmente, colpevole. Utopico.
NELLA FOTO, DA SINISTRA: GIORGIO CARDINALI E FRANCESCO CICCONE