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17 Maggio 2024

Un tramezzino tautologico

di Francesca Buffo
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Un tramezzino tautologico

Un lavoro decisamente interessante, che presenta spunti e punti di vista sull’amore moderno, rivelandone inquietudini e complessità

All’inizio della rappresentazione, questo lavoro di Mauro Tiberi ci è apparso poco convincente. Lo stile recitativo sembra un romanesco vorticoso, troppo veloce, quasi ‘scivoloso’ o poco cadenzato. Poi, si comprende meglio che è proprio il personaggio a essere caratterizzato da alcune ossessioni, prigioniero dei fantasmi di un amore rimasto troppo a lungo tra le ‘pieghe’ dei suoi anni giovanili, se non addirittura infantili. Risolto l’argomento, non ci dovrebbe essere alcun motivo per mentire a se stessi, né per teorizzare storie che non cominciano mai, o che deragliano ben presto dal proprio percorso evolutivo e valoriale. L’idea, in fondo, è decisamente brillante: spiegare il processo di maturazione di un giovane uomo residente a Pomezia verso l’età adulta. Ma quel che colpisce, in questo lavoro, è che dovrebbe trattarsi di una maturazione rasserenante, che toglie di mezzo una questione che rischia, spesso, di diventare una sorta di ‘labirinto’: una vera e propria ‘trappola’, per molti giovani. Soprattutto, quelli più intelligenti e sensibili, dotati di interessi culturali effettivi. Un ‘momento-soglia’ significativo è l’incontro con Martina, una ragazza di Siena in compagnia della quale il protagonista consuma un tramezzino ‘tonno e noci’. Lui le propone di rivedersi, speranzoso di approfondire un rapporto con una giovane ‘ruspante’, semplice, di provincia. E, infatti, i due s’incontrano una seconda volta nella famosa piazza del Campo, nel pieno centro della città toscana. Ma lei si presenta con un altro. E a lui crolla il mondo addosso. A questo punto, Tiberi ha un sussulto: la ragazza interpreta i suoi interessi più sofisticati come un generico ‘superomismo nietzschiano’, provocando in Mauro una risposta – anzi, una domanda retorica - alquanto felice, oltreché corretta: “Martina, ma che cazzo dici”? Probabilmente, quella frase era l’unico frammento di filosofia che la ragazzina, provincialotta e campagnola, possedeva in quanto semplice battuta rubata ‘in giro’, o sentita chissà dove. E la delusione del ragazzo comincia a dirigersi verso lidi alquanto depressivi. L’attore ha ‘ingranato’ e sta cominciando a comunicare con il pubblico. Tuttavia, il suo presupposto rimane pessimista, oltreché dolorosamente infelice: il ragazzo non riesce mai a riprendersi dai propri insuccessi e si avviluppa inutilmente in tesi e ipotesi regolarmente smentite dai fatti. Ha un evidente problema di comunicazione: pur parlando molto e agitandosi, egli non riesce a far comprendere i suoi sentimenti più profondi. Si porta tutto ‘dentro’, senza comprendere che proprio quella ‘interiorità’ è la ‘sua’ verità. Insomma, questo ‘Tramezzino tautologico’ è un lavoro decisamente interessante, che presenta spunti e punti di vista sull’amore moderno rivelandone inquietudini e complessità. E infatti, il finale suggerisce una soluzione drastica, autodistruttiva, nichilista, anche se non c’è lo ‘sparo’ dell’arma da fuoco ritrovata in un cassetto a condurre lo spettatore nei pressi di una risposta catartica, verso il ‘coupe de théatre’. La cosa rimane sospoesa nel vago: la si può solo intuire, lasciando libero il pubblico di crearsi l’epilogo che preferisce. Una soluzione che, purtroppo, denuncia una condizione sociale di rapporti ormai svuotati e falsificati, profondamente inquinati da un materialismo pornografico che, oltre a essere banalmente statico, non conduce da nessuna parte. Comprendere di dover star bene con se stessi e di riuscire a individuare un proprio equilibrio personale dovrebbe rappresentare un qualcosa d’importante, per un ragazzo che vale qualcosa in più rispetto agli altri. Perché erano gli ‘altri’ il problema: erano le persone di cui il protagonista si era circondato a essere totalmente vuote, a non valere niente. Insomma, questo lavoro di Mauro Tiberi, realizzato con la supervisione artistica di Letizia Russo e Paolo Zuccari, noi lo giudichiamo apprezzabile, poiché ha saputo incuriosirci, anche se non ci ha condotti verso quell’affrancamento, quella ‘liberazione’ che, per lunghi tratti del monologo, avevamo auspicato. Intrigante.

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NELLA FOTO: MAURO TIBERI


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