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29 Aprile 2024

New York City Marathon 2023

di Arianna De Simone
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Poco meno di trenta giorni dallo sparo della ‘corsa regina’ più famosa di tutte: per i lettori di Periodico italiano magazine, alcune memorie e una piccola intervista

Maratona_2023.jpg

4.30 del mattino: sveglia preimpostata la sera prima, in attesa della valigia smarrita e poi arrivata. Quel giorno è iniziato. Le fantasticherie dell’ultimo anno si scontreranno con la realtà: sarà come te l’aspettavi? Più dura, più intensa? Sarò all’altezza? Apri gli occhi, guardi fuori: ancora buio, grattacieli. Ci sei. Ti alzi, vai in bagno. Ti prepari, tutto è già pronto: il pettorale, il completo della squadra, la cintura con i gel. Calzini e scarpe. Ti leghi i capelli: hai preso tutto? E se scordo qualcosa? Questo giorno non lo scorderò mai: come sarà? Ti vesti, ti copri: le ore in griglia, farà freddo: aiuto! Sembra ansia, pare che stai andando in guerra. E invece è solo emozione: sfiderai te stessa, conoscerai i tuoi limiti, cercherai di superarli. “E’ solo una corsa. Male che vada, ti fermi e cammini”: cosa vuoi che sia? Nulla. E tutto. Scoprirai le tue fragilità, ti rispecchierai in loro, ti conoscerai: ti piacerai? Sarai come hai sempre pensato di essere? E se resti delusa? Stop.

Esci dalla stanza, tuo padre è lì con te. Un selfie stupido allo specchio, poi via nell’ascensore: quanto ci mette? Colazione con la squadra, conoscenti, ma in fondo amici: che assurdità, vero? Questo giorno lo ricorderai. Mangi: sei riuscita a seguire l’alimentazione prescritta, daje! Risate per stemperare la tensione: aiuto! Felice. Trepidante. Aspetta, tieniti, c’è tempo.

Arriva il pullmIl_ponte.jpgan. Sali, l’appello. Attraversi la città che non dorme mai. Un po’ di mal di testa. Passano una quarantina di minuti, quasi le 7. Sei ancora in pullman, sul ponte. L’alba dal ponte, i grattacieli: ma che meraviglia è? Mamma mia cosa ti aspetta. Ho ancora mal di testa. Panino col tacchino e mal di testa? Foto tutti insieme, sorrisi. Condivisione di un momento irripetibile: con tuo padre, con estranei. Sconosciuti che diventeranno amici. I tuoi sono lontani, ma li senti, ci pensi. La tua forza, sempre: saranno con te. Arriviamo all’ingresso e si scende dal pullman. Risate, canti ‘caciaroni’ come ‘L’oste de li Castelli’ anche in America. Spensieratezza. Mal di testa. Emozione. Mal di testa. C’è tempo.

Pre-griglia, manca poco più di un’ora. Bagno, prato. Visita al villaggio blu: ciambelle? Meglio la barretta. Hai seguito le regole: andrà tutto bene. Mal di testa“Avete un Oki”? Ancora mal di testa. Sorrisi, foto, video risate. Tuo padre sorride, con in testa il cappellino della Gatorade: tenerezza. Sei felice: non vedi l’ora. “E’ solo una corsa…”. 20 minuti alla griglia: “Qualcuno ha un Oki”? Gli alberi contro il cielo, un elicottero. Quel momento resterà. Saluti tuo padre e la squadra. Carica e sorridente. Mal di testa.

9.15: griglia, onda blu, corral F. Alcuni compagni entrano con te. Stessa partenza, altri colori e corral, più veloci, però: “We are together”! Risate. Non partirai da sola. Mal di testa, sempre peggio: “Se avessi un Oki...”.

9.35, meno di 10 minuti al via: hai sognato quel momento, lo hai mitizzato. I giri nel quartiere con Jay Z nelle orecchie e Frank Sinatra nel cuore. E quel momento è arrivato. Sei uno 'straccio': debole e con il solito mal di testa. “E se avessi fatto il passo più lungo della gamba? Impossibile: non ce la farò. Ma cosa mi ha detto il cervello”?

Sei a 6886 chilometri da casa, lontana dalla famiglia, dagli amici, dalla tua zona comfort. Negli ultimi anni, così tante 'cavolate': sei così fragile, così fuori posto, così indifesa. Ti aspettano 42 chilometri: “E’ solo una corsa”, ti ripeti come un ‘mantra’. Conoscerai davvero chi sei, la tua forza: ma sarai forte? O sarai sempre la stessa? Mal di testa. 5 minuti. “Cosa sto facendo”? Ci siamo: devi lasciare gli indumenti caldi, le felpe che tuo padre indossava all’età tua per correre. Un ultimo bacio, le riponi negli scatoloni. Tenerezza.
 
Ci siamo. Inizi a camminare in griglia. Con te, conoscenti, ma in fondo amici. Pensi ai tuoi lontani, saranno con te. Ad ogni chilometro ti seguiranno: come sempre, ci saranno. La musica, ci siamo! Si corre. Non è all’altezza delle aspettative, ma ben oltre. Mal di testa: corricchi e passi il ponte. Un miglio circa di salita: “Vai piano”. La testa pian piano si scioglie. Dolori addominali, ma corri. Sorrisi con gli amici: ci siamo. Che vento e che vista...
 
Partiti: la tuaMaratona_2023_2.jpg 'corsa regina' è iniziata! Tre compagni vanno avanti, ma ne resta uno. La tua forza è lontana, ma c’è. Ti segue: “E questo chi è”? Non dimenticherai più quei momenti, ma è giusto condividerli con chi conosci appena? Corri. Mal di testa: meno. Addome: così così. Corri. Risate. Questo qui, in fin dei conti, non lo conosci, ma è simpatico. Incontri casuali: “Dove sta scritto che i momenti importanti vadano condivisi esclusivamente con chi ti conosce e che ha la tua fiducia”? Gli incontri casuali: è filosofia, in fondo. Corri.
 
Quasi 7000 chilometri lontano da casa. Ti sei portata le tue debolezze con te, ma le hai lasciate a Roma. Le delusioni, i dispiaceri, i pensieri: corri. Il tempo si rimette: da nuvoloso diventa sereno. Superi il ponte, un tifo da stadio. In lontananza, persone che esultano, che incitano: “Ma che roba è”? La testa va meglio e l’addome rilassato, quasi quasi... “Ce la farò”?
 
Primi 10 chilometri, non te ne accorgi: è tutto assurdo e bellissimo. Così tanto che sei stordita, ma presente. Risate e 'cazzeggio': quante persone... Stai correndo. E così lontana la tua forza, ma c’è. Ti senti bene. Ti diverti: è bello. Stordimento, ma anche lucidità con passo costante. Ogni tanto: “Te lo dico? Te lo dico? Ok, rallenta. Te ne mancano 32”. Un lungo, ti manca un lungo! I chilometri in più già li hai corsi: sei nel tuo.

Secondi 10: una festa. Sorridi, 'cazzeggi' e canti: “Happy birthday, Audrey”! Quanta musica! Gruppi musicali ovunque. Manca la tua, ma la tua musica è dentro te, sempre. Un puzzle: tutti i pezzi sembrano riunirsi, tutte le esperienze, belle e brutte, ti hanno portato lì: è tutto lì. Musica. E’ una festa: che festa! Conteggio delle miglia un po’ truccato. Sorrisi.
 
EcArrivo.jpgcola, la mezza! “Giro di boa”, grido nel tunnel, per atteggiarmi a 'capa'. Corri. Inizia a farsi seria: “Che bello, però”. In quella decina di chilometri comincerai a realizzare, già lo sai. Corri. I dubbi sono scomparsi. I pensieri, le ansie, i dispiaceri. Che bello: solo qui e ora. “Non sei la tua mente, non sei il tuo corpo”. Musica, ancora musica, sempre musica. Pensi a chi hai lasciato alle tue spalle, a chi c’è e ti segue, a chi hai appena conosciuto: “La bellezza di esser lì”? Corri. Piccolo cedimento mentale: “Ce la farò”? Ce la fai. Le manine dei bambini.
 
Trentesimo: niente muro. Mantieni il tuo passo. Inizia la fatica, ma è bella. Incarna i tuoi dispiaceri, è catartica: li rivivi, li superi. Meno 'cazzeggio', ma sempre sorrisi. La situazione si è fatta seria: ma che meraviglia è? Sempre un tifo da stadio. Cartelli, scritte, striscioni, fotografie: “Tap here to have power”! La festa continua, ti ha stordito, cominci a entrare in una bolla. Oltre i 32 sarà un’incognita: “Mai andata oltre: da adesso è terra di nessuno”. Elettrizzante. Adrenalina. Fatica.
 
Ultimi 10 chilometri. “Al trentacinquesimo arriva la crisi”: fanculo alla crisi! Ce la puoi fare. Di nuovo salita, l’ennesima, ora la senti. Non devi mollare: sei definitivamente nella bolla. Le urla, il tifo, tutto ti sembra fuori. Indescrivibile. I pensieri, tutto è ormai lontano. Qui e ora. Non si può descrivere.
 
Trentottesimo. Le gambe sono stanche, ma reggono. La bolla. La festa. Le persone: quelle lontane e chi ti è vicino. A chi ha deciso di non esserci non pensi più. Corri: ce la puoi fare, ce la fai. Manca poco. Ci sei. Trentanove, quaranta. Manca poco. Fatica, il sole, il verde del parco. “Da Colombo vi mancheranno 500 metri”. Al diavolo i dispiaceri. E anche la debolezza. Sole e verde: ce la farai.
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Meno 2: ci sei. Le gambe soffrono, ma ci sono. Meno uno: fatica. Slalom tra le persone, camminano e si abbracciano in mezzo alla strada. Quanto tifo! Sei oltre, sei fuori e sei dentro allo stesso tempo. La tua testa è oltre, ma c’è. Poche centinaia di metri. Sole tra i rami. Alberi e verde.
 
Meno di 100 metri: “Ora, la volata”! Raccogli le ultime energie. Mano nella mano, fatica. Sta finendo.
 
Al traguardo: la stanchezza è sopportabile. Stai bene. L’adrenalina ancora in circolo, ancora nella bolla, nemmeno piangi. Uau! Ce l’hai fatta. E chi ci crede? Senza parole. Senza pensieri. Ti fermi.
 
La m
edaglia. Tiri fuori il cellulare, quanti messaggi: “Erano tutti con me”! Piangi. Di fronte a uno sconosciuto, di fronte a mille sconosciuti. Per tutte le volte che ti sei sentita sbagliata; per tutte le volte che ti sei sentita debole; per tutti i dispiaceri. E gli ippopotami che ti guardano alle 2.44 del mattino... Sei lì. Ce l’hai fatta. “E’ solo una corsa”. Sì, così sembra...
 
E i miei compagni? Come l’hanno vissuta? Sentiamone qualcuno.

Ragazzi, cosa ha significato per voi percorrere i 42,195 km della Maratona di New York?
Annamaria Pedace: 
“Voglio risponderti a caldo, senza ragionarci troppo. Questa è una Maratona che non ho avuto modo di preparare: acciacchi vari, un anno duro, il Covid, le broncopolmoniti. Sono stata ferma a lungo. Avendone già fatte tre, per me ha rappresentato un ritorno. L’ho intrapresa non sapendo come sarebbe andata: l’obiettivo era non farmi male, non riacutizzare il mio problema al tallone. E’ stata, perciò, una bella prova, me la sono goduta di più rispetto alla primissima, chiusa con un buon tempo, contrariamente a quell’anno. Infatti, questa volta mi sono goduta la manifestazione, mi sono guardata intorno. Ho vissuto la tifoseria, i bambini, i cartelloni. Tutto questo, mi ha dato una bella carica. E’ stata una Maratona diversa e con un risultato inaspettato, che mi ha reso felicissima. Ho corso senza cronometro, non ho mai guardato l’orologio: non contavo di farla come gara. Ho vissuto una maratona diversa dalle altre tre: nuova”.
Francesco Savastano:
 “Ho già corso tante volte New York: l'ho corsa cercando di andare il più veloce possibile; l'ho corsa per migliorarmi; l'ho corsa per divertirmi. L'ultima volta, l'ho corsa per farla e basta. Tutte le volte ho trovato tantissimo entusiasmo e tanta energia. New York è questo: entusiasmo ed energia. In qualunque modo tu la voglia correre”.
Luca Landolfi:
 “Correre la Maratona di New York per me è stato un sogno: un sogno che si è avverato. Da molti anni sognavo di partecipare. Sono convinto che una Maratona racchiuda il senso della vita. Durante il percorso può succedere di tutto: che uno abbandoni, che molli, che ti arrenda per poi riprenderti, che cammini, che vai come un treno. Credo che questa sia la metafora stessa dell’esistenza. Quello che ho provato correndo la Maratona di New York è questo: vita. Partecipando, ho trovato tutto: la bellezza di Manhattan certo, ma anche la forza e l’energia delle persone. L’ho sentita tantissimo. Anche nei quartieri meno abbienti, ho percepito la vita che ti attraversa: la felicità, la grinta delle persone che acclamavano, tutto. E’ stato come vivere un sogno. Ho capito che non siamo soli, che a volte, anche nelle difficoltà, farsi trasportare dall’entusiasmo delle persone ti porta all’obiettivo, ti fa arrivare alla fine: alla fine della gara, ma anche oltre gli ostacoli della vita, con entusiasmo e facilità”.
Vincenzo De Simone: “La corsa è vita, per me è stata tutto. Mi ha sempre accompagnato e sempre sorretto. La Maratona è sofferenza, è una sfida: dovercela fare, potercela fare. Se ho tradito mia moglie con qualcuna, l’ho fatto solo con la Maratona...”.
Marco Buscema:
“Quando il mio primo coach, qualche anno fa, mi disse: “Tu andrai a New York a fare la Maratona”, probabilmente lo fece per incoraggiarmi. All’epoca ero goffo, sovrappeso e inesperto di corsa. Ora, quel mio coach si è trasferito in un’altra città, ma sta sempre con me, insostituibile ‘mental coach’. Mi ha fatto capire che le maratone non si corrono solo con le gambe, ma anche e soprattutto con la testa, e gliene sono grato. In tutte, riesco a scoprire e trovare in me qualcosa di nuovo e inaspettato. La Maratona di New York per me ha un significato particolare: ricordo alcuni discorsi sugli Stati Uniti d’America e su New York fatti con mio padre, studioso e appassionato di storia e geografia. Durante queste conversazioni, si poteva intuire un suo inconfessato desiderio di andare là, a vedere dal vivo ciò che aveva studiato sui libri; allo stesso tempo, si percepiva la razionale consapevolezza di non poterlo fare. Pochi giorni prima della partenza, ho deciso allora, di portarlo con me: sì è vero, ormai non c’è  più, ma ho portato con me una ‘sua cosa’. Mi avevano spiegato, infatti, che l’attesa prima della partenza è lunga e che a New York, di solito, fa freddo. Dovevamo portare degli indumenti da indossare prima della partenza. Questi, poi, una volta lasciati sarebbero stati donati ai poveri. Allora ho deciso di andare nella nostra casetta in Umbria e di prendere un suo giacchetto smanicato, che avevamo comprato insieme - identico ma di taglia diversa - per stare più caldi a casa, quando arrivavamo da Roma con i termosifoni spenti. Ho preso il suo e l’ho portato a New York. L’ho indossato la mattina della Maratona e mi ha tenuto caldo fino a pochi minuti prima della partenza. Con felicità l’ho lasciato dentro gli scatoloni per i poveri, sentendo di aver realizzato un sogno non soltanto mio. L’ho portato lì e ora sta lì”.
 
Poco meno di un mese è trascorso dalla Maratona di New York. Ma il pensiero è ancora lì: che iniezione di autostima. Maratona_2023_1.jpg



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