Presentata nei giorni scorsi, nel cuore del quartiere capitolino di Montesacro, la nuova silloge in doppia lingua della poetessa romana intitolata ‘Dal cuore all’anima – From heart and soul’, edita da Kimeril Edizioni: l’incontro si è presto trasformato in un reading letterario che ha dato vita a un confronto molto interessante in merito alle varie affinità e divergenze tra le diverse poetiche e i distinti linguaggi
Si è tenuta lo scorso 22 giugno 2022, presso la galleria ‘Arte Sempione’ in Roma, la presentazione della nuova silloge, scritta in due lingue, di Rosanna Sabatini, dal titolo: ‘Dal cuore all’anima – From heart and soul’, edita dalla casa editrice Kimerik. L’appuntamento è stato moderato da Cinzia Baldazzi, che ha presentato l’opera insieme all’autore della postfazione, Fabio Sommella. Dopo la relazione introduttiva della Baldazzi, nota critica letteraria romana, l’incontro si è poi trasformato in un reading introspettivo a cura di diversi autori. La rassegna ha voluto generare nel pubblico un pieno senso di raccoglimento e, al contempo, di condivisione del proprio mondo interiore, tra le diverse espressioni poetiche e i distinti linguaggi, ponendo al centro del dibattito la poetica dell’autrice, sviluppata anche in lingua inglese. La qualità lirica del lavoro della Sabatini, evocatrice di un antropocentrismo dualistico, ma non contraddittorio, ruota infatti all’interno di un solido rapporto d’interscambio continuo tra natura e amore, eros e dolore, o addirittura nei confronti della morte e delle sue sofferte metabolizzazioni. Temi che la lingua inglese riesce a concettualizzare in forme più concise, rispetto alle ridondanze metaforiche dello stile latino, segnalando una strutturazione d’impatto che colpisce il lettore in forma diretta, collocando in parallelo suoni, esigenze grammaticali, cadenze metriche e figure sintattiche. Al centro delle riflessioni della Sabatini, oltre alla famiglia come vero e proprio motore dell’amore, vi è lo strano rapporto tra uomo e natura, in cui la seconda sembra essere totalmente indifferente al dolore e alle problematiche del primo, nel tentativo di spingersi al di là del tempo, del caso o del nulla assoluto. Poesie che parlano di amori profondi, ma al contempo affrontano anche temi non amorosi, in una sorta di manierismo utopico mittle-europeo capace di prendere le distanze da quell’intimismo minimalista e piccolo borghese che spesso conduce il lirismo mediterraneo verso il solito ‘complesso dell’abbandono’, all’amore come banale bisogno che tradisce incertezza interiore, disadattamento e paura di vivere, facendo assomigliare molte opere a tante altre. Indubbiamente, un’ottima prova quella della Sabatini, che saluta la raggiunta maturità letteraria e la forza morale di un’autrice che può fregiarsi pienamente del titolo ‘tecnico’ di poetessa. A margine della serata, le abbiamo rivolto alcune domande.
Rosanna Sabatini, innanzitutto perché una silloge in due lingue, italiano e inglese?
“La mia passione per le lingue è nata con il latino. Quando ho iniziato a lavorare per una società di servizi, ho avuto la fortuna di entrare in contatto, sebbene per motivi commerciali, con molte lingue estere e di curare le traduzioni di capitolati tecnici americani. Di conseguenza, non ho mai spezzato il legame con la lingua inglese, che avevo studiato sin dal liceo. Ho deciso di pubblicare una silloge bilingue, perché la lingua inglese, anche se non è la più diffusa al mondo, rappresenta un ulteriore canale d’accesso a un più largo pubblico di potenziali lettori. Anche la trilogia di corti teatrali, di prossima pubblicazione, è già completa di traduzione a fronte in inglese”.
Quale tipo di rapporto ha con il mondo anglo-sassone e con la letteratura inglese?
“Mi ha sempre interessato la letteratura al femminile. I miei due romanzi, pubblicati dopo la silloge, sono infatti caratterizzati da protagoniste forti e volitive, che quasi sempre mettono in ombra personaggi maschili negativi. Questa peculiarità si ritrova anche in alcune poesie di questa silloge, come l’elegia ispirata a Cassandra Marinoni o in ‘Itaca’, dove il rapporto tradizionale maschile/femminile risulta ribaltato. La mia ammirazione per le opere delle sorelle Brontë, Jane Austen ed Emily Dickinson ha fatto il resto e, probabilmente, alcune caratteristiche di quest’ultimo lavoro si innestano su questi principi. Tuttavia, amo molto anche le opere di Tolkien, Hemingway e altri autori americani”.
Nelle sue liriche, lei analizza sentimenti e dolori profondi, ma anche altri aspetti, in particolare il rapporto tra uomo e natura: è corretto definirla una poetessa ‘manierista’?
“In verità, ho sempre ritenuto che le mie poesie fossero semplici e colorate, in qualche misura simili a dei quadri naïf. Tuttavia, se per ‘manierismo’ s’intende il consolidarsi in modelli artistici maturi, quali nella Storia furono quelli del cinquecento avanzato, successivi al Rinascimento, in modo analogo si potrebbe intendere che anche la mia poetica si sia consolidata in modelli espressivi che avevo in qualche modo, anche inconsapevolmente, intuito nell'adolescenza, ai quali non sono mai venuta meno. D’altronde, parliamo di un arco di tempo di circa cinquanta anni. In tal senso, posso essere definita ‘manierista’, anche se, per me, è solo una testimonianza della coerenza con la mia poetica giovanile più autentica. Per la prosa, mi sono ritrovata nei consigli di Pulitzer e li ho addirittura citati in epigrafe, nella raccolta di racconti: ‘Un volo d’aquiloni’. Mi riferisco a ciò che lui raccomandava quando indicava la brevità, la chiarezza, il colore e l’esattezza come qualità dell’arte del comunicare”.
Secondo lei, è possibile far tornare di moda la poesia? E quali vantaggi potrebbe averne il nostro linguaggio quotidiano?
“Se per moda si intende il successo commerciale, ciò è improbabile. Tuttavia, la poesia esiste da sempre e non è mai venuta meno come necessità dell’uomo, forse perché è la porta d’accesso più immediata alla scrittura. La poesia potrebbe ingentilire il linguaggio quotidiano. Tuttavia, la buona prosa potrebbe fare molto di più, se questa non soffrisse di un male che gli addetti ai lavori, da tempo, definiscono “regressione verso il linguaggio parlato”. Il rapporto tra il linguaggio quotidiano, parlato e scritto, è sempre precario. Forse, dipende dal fatto che, qui da noi, si legge poco, oppure dalla fretta o dalla mancanza di attenzione. Inoltre, si dà troppo spesso la colpa di queste lacune croniche alla tecnologia e ai nuovi canali di comunicazione”.
In realtà, l’Italia di questi anni, alquanto difficili, ha spesso rasentato comportamenti antropologici di basso profilo, come si è spesso visto anche in tv: la poesia potrebbe riequilibrare un poco questa situazione, spesso totalmente schiacciata su un pragmatismo piuttosto gretto, per non dire cinico?
“I comportamenti antropologici di basso profilo, nonché la grettezza e il cinismo, sono il risultato di problemi più ampi e complessi, su cui non possiamo argomentare in questa sede. La poesia, da sola, non può fare miracoli: sono le istituzioni politiche preposte alla diffusione dell’arte e della cultura, che dovrebbero adoperarsi in tal senso e indirizzare i media. Per esempio, nell’Italia degli anni ’50-’60 del secolo scorso, ricordo la trasmissione televisiva ‘Non è mai troppo tardi’ del maestro Alberto Manzi. Allora, l’analfabetismo nazionale era una condizione oggettiva, ma oggi c’è un analfabetismo di ritorno, di cui i programmi televisivi sono solo la punta dell’iceberg. Naturalmente, il confronto tra i due momenti storici è improponibile, date le abissali differenze tra la società dell’epoca e quella attuale, ma qui ci si riferisce alla qualità dei programmi destinati al pubblico televisivo”.
Lei è tecnicamente una poetessa autentica, non ‘inventata’, ma gli italiani sono anche un popolo di artisti: non c’è anche il rischio opposto, cioè quello di fuggire dalla realtà, alimentando intellettualismi autoreferenziali?
“La fuga dalla realtà si può attuare in tanti modi. A mio avviso, nella letteratura, per esempio, avviene con alcuni generi, come il ‘fantasy’. Nel sociale, invece, l’omologazione preme attraverso i canali mediatici già citati. Escludendo l’autoreferenzialità, in quanto è sempre positivo un confronto con l’altro, ai rischi di fuga dalla realtà o di omologazione si può ovviare mantenendosi distaccati come ‘asceti’, che osservano il mondo standoci dentro ma, nello stesso tempo, mantenendo le proprie convinzioni. In tal senso, l’autoreferenzialità potrebbe avere un valore se si contamina empatia e attenzione verso il mondo. Ritengo che la maggior parte delle mie poesie, sempre concepite in modo spontaneo e non artificioso, siano interpretabili attraverso queste chiavi di lettura”.