Una mostra di alto livello che attendiamo di poter ammirare anche dal vivo, per condividere, di persona o con altri, le emozioni che essa suscita, nonostante le sciagure dell’umanità
L'arte non si arrende. In tutte le sue forme, essa nasce dall'interiorità dell'essere umano, come la sua espressione migliore: è molto più che ricerca estetica; molto più di un anelito all'immortalità; molto più di un sogno; molto più di una visione personale del reale. L'arte è, semplicemente, molto di più. Riottosa a tutte le censure, le limitazioni, le imposizioni. Resistente a tutte le sciagure dell'umanità. Una fiammella che ha in sé il miracolo della creazione e rifiuta ostinatamente di spegnersi, nonostante tutto, pronta a trovare (o a ri-trovare) la forza di ardere impetuosamente quando trova nuova 'esca' per alimentarsi. Perché? Una domanda inesausta, che presuppone, ovviamente, molteplici soluzioni. E qual è la risposta? L'arte è intimamente connessa a quella che, in vari modi, chiamiamo anima, quel ‘quid’ che ci rende umani e che, come tale, è impossibile da cancellare, pena la cancellazione di noi stessi. Questa accorata premessa serve a spiegare come mai l'arte non si sia fatta intimidire o fermare, neppure da un evento, tanto imprevedibile quanto tragico come la pandemia da Covid 19, che ci ha inchiodati tutti o quasi all'interno delle nostre case. Anzi, gli artisti hanno trovato dentro di sé nuova linfa per le loro opere, alle quali si sono dedicati senza farsi distrarre. Il passo successivo era quello di proporle ai fruitori: un problema che trovava la sua soluzione nel web, che ormai ci connette in mille modi. È nata così ‘Era di Marzo 2020’: una mostra virtuale di opere che 19 artisti hanno creato in pieno 'lockdown' e che è stata proposta al pubblico il 22 maggio. Certo, vedere certe opere attraverso uno schermo non è la stessa cosa che assistervi di presenza, per respirare quell'essenza invisibile che sparge intorno a sé, per condividere, di persona o con altri, le emozioni che suscita. Ma altre alternative ovviamente non erano percorribili. Entriamo dunque nel merito della mostra: una collettiva di artisti che fanno parte del ‘Salotto di Diotima’, esaminando brevemente ogni opera.
Gea Albanese, ‘Zona d'ombra’: un paesaggio semiurbano dominato da un'ombra tenue, che non riesce a prevalere sull'azzurro intenso del cielo ed al verde della vegetazione: una magnifica metafora.
Anna Maria Bagnato sceglie, invece, una 'Maternità': il bambino tenuto in braccio dalla madre ha un incarnato molto più vivido del suo, un messaggio di speranza posto in un tempo congelato, evidenziato dal vecchio orologio alle loro spalle.
’L'attesa’ di Claudine Ballerini è tutta concentrata in tre volti quasi in bianco e nero, che guardano con espressione interrogativa da una finestra.
Maria Gabriella Cannata si tuffa nel ‘Sogno’: uno spazio metafisico, in cui un terrazzo, con in primo piano un tavolino con sopra oggetti d'uso comune (una speranza di normalità?) si protende su un mare blu intenso.
In ‘Oltre’, di Giovanna Cataldo, un parco in fiore attende la presenza umana che la panchina vuota rimanda a un domani.
Affascinante trasposizione dell'angoscia è anche il ‘Domani’ di Angelo Colazingari, con una donna ritratta di spalle e le mani alla nuca, perfetto riferimento a un'incertezza incipiente e ineludibile.
Massimo D'Angelo mostra efficacemente, nel suo ritratto, la ‘Rabbia’ (titolo dell’opera), che ci ha attagliato per mille motivi in questo periodo.
Traboccante di rimpianto il ‘Dentro, fuori’ di Marina de Benedictis: una primavera che mancherà per sempre nella nostra vita.
’La città brucia’ di Ruggero Lenci e ‘Cronaca virus’ di Marco Maggiori si contrappongono idealmente: l'uno con il sentimento d'irosa impotenza; l'altro con l'ombra paurosa del ‘mostro’ che aspetta in agguato, pronto a ghermire.
Alessandro Meschini ha scelto di portare ‘Broken’ (rotto, spezzato, ndr), riferendosi a qualcosa che la pandemia ha interrotto drasticamente nella sua vita.
Tecnicamente pregevole e di forte impatto emozionale ‘Dalla finestra’ di Amelia Mutti, in cui una figura di donna su un letto, avvolta in uno scialle rosso, guarda il panorama fuori dalla finestra, mai così irraggiungibile.
Criptico ‘Il silenzio’ di Viviana Pallotta, una contrapposizione di volumi geometrici in uno spazio con colori vividi, che un cagnolino guarda: incomunicabilità all'ennesima potenza.
Tre oggetti nella ‘foto’ di Alessandra Pediconi: un'altra foto, in cornice, di tempi trascorsi e felici, un orologio e un crocifisso: un messaggio epocale? Un rimpianto presente? Un tempo sospeso?
E ancora: ‘L’attesa’, di nome e di fatto, nel quadro di Lorena Proietti Tomada, in cui un gruppo di persone, caratterizzate da rossi intensi, si stagliano contro lo sfondo di una natura con colori diversi, simbolo di stagionalità in divenire.
Una donna ritratta di spalle guarda il pavimento, in cui le scanalature tra le assi richiamano le sbarre di una prigione: è l'intuizione geniale di ‘Nessuno’, opera di Magda Quesada Ordeig.
Splendida la composizione ottenuta da Stefano Tagliati, nel suo ‘Elogio dell'imperfezione dell'albero’, mentre altamente drammatica, con l'utilizzo sapiente dell'acquerello è ‘l'Antivirus’ di Carmen Tubio, in cui si allude a qualcosa di ancora indistinto che può liberarci dal mostro.
Per chiudere in bellezza: ‘Il suono del silenzio’ di Aurea Vattuone: una stupenda foto che ha saputo fermare con grande maestria le gocce d'acqua che cadono da una fontana, fino a farle irrompere nel nostro spazio con il loro scrosciare, che si trasmette irresistibilmente nella mente di chi guarda. Le figure sullo sfondo? Statue in quanto metafora dell'uomo assente, congelato nell'immobilità. Una mostra di alto livello che attendiamo di ammirare dal vivo: "Oh speranza, ardente speranza, che ravvivi la mia vita e popoli i miei sogni".