Il 29 e il 30 aprile 2017, lo spettacolo di e con Agnese Fallongo è tornato nella cornice del Teatrocittà di Roma, esattamente lì dove, un anno fa, aveva ricevuto il terzo premio come miglior ‘corto’ 2016 per la rassegna teatrale 'Frammenti al femminile'
La scrittura di questo testo nasce in sinergia con il regista Adriano Evangelisti. E da monologo si trasforma in un racconto a due voci. Le due donne sono le figlie di un tempo in cui “la storia dei piccoli”, ci spiega l’attrice Agnese Fallongo, “è stuprata per sempre dalla violenza della guerra”. Classe 1987, la Fallongo già dimostra grande maturità artistica nell'intensa interpretazione delle due protagoniste e, più in generale, dei tanti volti di donne che hanno combattuto - e ancora oggi combattono - per rivendicare diritti e autonomia nel riappropriarsi del proprio destino. Da sempre affascinata dalla cultura popolare, questa giovane artista dimostra un'ottima padronanza dialettale, in particolare nel ritratto che restituisce della Letizia siciliana: una sposa vergine e solitaria, che non accetta il ruolo di 'angelo del focolare' e compie una rivoluzione per il suo tempo recandosi sul fronte austro-ungarico, alla ricerca del suo amato. Il personaggio di ‘Letizia fa il servizio’ è invece funzionale all'attrice per descrivere ‘wertmullerianamente’ una società italiana divisa in dialetti e piena di contraddizioni, in un tempo in cui una donna che si sposa con un vecchio ricco manteneva intatta la propria dignità pubblica, mentre lo sfruttamento del proprio corpo nelle case di tolleranza era considerato un atto contro il buon costume. Nella chiave dello smascheramento di tale discriminazione sociale, il personaggio del 'Biondino', interpretato da Tiziano Caputo, è una ‘figura-chiave’ nel rapporto con l'universo femminile, nella duplice veste di 'O surdato nnammurato' e di adolescente imberbe inesperto della vita. Nel finale, le parole della celebre 'Canzone arrabbiata' di Anna Melato suonano come un inno di speranza e di rinascita. E il canto all'unisono dei due attori rivela l'urgenza dell'amore come unico antidoto alla solitudine e al dolore dell'essere umano.
Agnese Fallongo, quale ricerca storica hai condotto per descrivere il punto di vista femminile sui conflitti mondiali?
”È stato un lavoro molto lungo e, per quanto riguarda la prima guerra mondiale, ho consultato una documentazione tutta al femminile: diari di guerra e lettere dal fronte. Ciò mi è servito per comprendere l'apporto delle donne durante la prima guerra mondiale e, nello specifico, la scelta di interpretare una ragazza siciliana è derivata dalla notizia che ho dato nello spettacolo sul maggior numero di morti in quel conflitto: quelli provenienti dalla Sicilia. È un numero reale, nonostante il fronte fosse quello alpino. Mi sembrava giusto dare voce a una storia semplice e piccola, che però è quella di tante donne rimaste a casa ad aspettare i propri mariti, fratelli e padri. Letizia compie questa rivoluzione in nome dell'amore, che per quel tempo era veramente un atto enorme. In quel periodo, le donne erano quasi tutte analfabete. Quindi, mi sono ispirata alle lettere delle donne del nord, dopodiché ho romanzato la storia ed è emersa la prima Letizia. Per la seconda guerra mondiale, la documentazione è stata principalmente quella cinematografica. In particolare, 'Le notti di Cabiria' di Federico Fellini e 'D'amore e d'anarchia' di Lina Wertmller. Quest'ultima, è stata la mia maggior fonte di ispirazione: ho studiato la Melato e Giannini per ricreare l'atmosfera delle cosiddette case chiuse”.
Due donne dallo stesso nome, Letizia, che cercano di continuare la propria esistenza scontrandosi però con un amaro e ingiusto destino: è questo il messaggio dello spettacolo?
“Più che una morale, l'amore va oltre tutto, anche oltre alla guerra. Non è per forza un amore tra uomo e donna, ma può essere anche familiare. Quindi, più che di destino, si può parlare di due donne che hanno voluto esserci. La seconda donna vive in un bordello, dunque in un luogo squallido. E mi colpì molto quello che disse la Wetmuller in ‘D'amore e d'anarchia’, quando sottolineò che queste donne si trovavano in questi bordelli “sempre per un motivo d'amore: l'abbandono di un uomo, rimaste incinte o perché le avevano adescate”. La nostra Letizia ha la spinta nel voler mollare tutto, ma poi la vita alcune volte ha più fantasia di noi. Alla fine dei conti, le cose più importanti sono i rapporti umani”.
L'uso dell'abbigliamento risulta funzionale alle due donne che, nonostante siano molto diverse per estrazione e condizione sociale, rimangono entrambe pure e ingenue: da dove viene questa scelta?
“In questo devo dire che l’idea proviene da una riflessione di Adriano Evangelisti: quando si pensa alla prostituta viene sempre in mente la Magnani. Qui, invece, la cosa interessante è che, nonostante il passato da prostituta, Letizia è un'ingenua, un personaggio puro, anche se la sua vita è stata stravolta. In lei c'è sempre quella donna lì, anche quando diventa 'Letizia fa il servizio'...”.
Dopo le soddisfazioni e l'affermazione al festival 'Frammenti al femminile', come procede il tuo lavoro autoriale? Indagherai ancora sulla donna e i suoi sentimenti?
”Parteciperò a una rassegna al ‘Brancaccino’ con il monologo: 'Donna regina e le sue sorelle'. E c'è sempre un interesse per tutto ciò che è cultura popolare, come nel mio precedente 'La leggenda del pescatore che non sapeva nuotare', già andato in scena. Nella 'Leggenda' si parla di racconti in modo diverso rispetto a Letizia, dove c'è la cornice forte della guerra e un punto di vista al femminile, anche se il rapporto con l'uomo rimane determinante. Il progetto di questo monologo, che vorremmo ampliare, è incentrato su tre sorelle che si innamorano dello stesso uomo, partendo da una leggenda napoletana per andare a toccare la vita personale. Ho un attrazione per il periodo degli anni '40-'50 del secolo scorso, anche se poi la leggenda in sé non ha tempo, bensì è qualcosa che rimane in un’epoca antica e un po' sospesa. Ed è questo il bello delle leggende”.
NELLA FOTO: L'ATTRICE AGNESE FALLONGO
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