Torna in scena al Teatro Regina Pacis via di Bravetta, a scopo di beneficenza, la ‘Compagnia Instabile’ con il debutto di una nuova e divertente commedia, che ripercorre alcuni dei più noti disturbi ossessivo-compulsivi in una seduta psicoterapeutica fuori dall'ordinario
“In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia. Essa, invece, incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia, allo scopo di eliminarla”. In questa riflessione di Franco Basaglia (1924–1980), psichiatra e neurologo italiano, c'è molto di quel senso che lo spettacolo ‘Doc: sicuro di non averne uno anche tu?’ di Maura Cosenza, ha portato in scena presso il Teatro Regina Pacis di Roma dall'11 al 20 ottobre scorso. La regista ha condotto i sette attori sul palcoscenico a un confronto estremo con se stessi, mediante un intrigato gioco di battute che fa emergere, con urgenza, la constatazione dei diversi ‘disturbi ossessivo-compulsivi’ (da cui l’acronimo ‘Doc’ del titolo, ndr). Niente è come sembra. E il beffardo e inaspettato incontro dei pazienti allo stesso orario, le 16.30, nella sala d'attesa di un luminare della psichiatria, si trasforma in una spassosa e stimolante terapia di gruppo. Lo psichiatra non arriva. Quindi, il giro di presentazioni costituisce il pretesto del regista per introdurre lo spettatore nella singola definizione del disturbo, associandola, per alcuni, a un colore specifico: Federico (Fabrizio Micarelli) è affetto dalla ‘Sindrome di Tourette’, isolato dalla società per l'impossibilità di controllare parolacce e gesti sconvenienti; Emilio (Alessandro Montanaro) è un tassista con il ‘doc’ legato ai numeri: un ‘aritmomaniaco’ che osserva il mondo solo attraverso le cifre; per Otto (Andrea Micheli), il colore scelto è il verde e, pieno di speranza, cerca di liberarsi dalla dipendenza dall'ordine e dalla simmetria, costringendolo a non attraversare le linee del pavimento; i microbi sono i nemici di Bianca Valeri (Francesca Tartaro), una giovane donna che non può fare a meno di lavarsi le mani, pulire qualsiasi cosa e aprire le finestre per evitare di contrarre malattie; Lilli (Giusi Ricci) ha applicato il grigio alla sua paura di morire e, da quando è scomparsa la madre, deve ripetere ogni frase o parola almeno due volte; in ultimo, Marta (Laura Scevola) colora di azzurro la sua mania di controllo delle chiavi di casa, il rubinetto dell'acqua e il gas, esorcizzando il peccato con continui segni della croce. Il modello di ispirazione è, senza dubbio, la brillante commedia francese ‘Toc toc’ di Laurent Baffie del 2005, dalla quale lo spirito e lo humor prendono le mosse, per poi trovare la propria storia ‘romana’ grazie a una scenografia ben costruita su uno scheletro di legno: una metafora della confusione mentale dei protagonisti, che nel caos della loro battaglia, si muovono nella loro personale linearità. Questo reticolo di aperture permette allo spettatore di andare oltre la sala d'attesa e vedere, sullo sfondo, le espressioni di una simpatica e provocatoria Simona Giaimo, nei panni della ‘finta’ segretaria Tiffany: una moderna burattinaia che guida il gruppo verso la ricerca di una cura. Proprio la cura rappresenta la chiave di volta del gruppo: una volta che ognuno di noi decide di spostare il proprio asse dal sé all'altro avviene la magia della guarigione. Prendersi cura delle cose e degli altri è l'essenza stessa dell'uomo. E il contatto vitale con la realtà avviene solo nel momento in cui, ognuno di loro, entra nei panni dell'altro. Cosenza cerca di far emergere l'unità e la sincronia delle anime del gruppo, pazienti presentati finalmente nella loro globalità di esseri umani. La percezione di essere degli emarginati per la società non è un limite, ma un pretesto per ritrovarsi nell'autenticità dei rapporti umani e nell'accettazione delle proprie fragilità. “La parte peggiore di avere una malattia mentale è che le persone si aspettano che ti comporti come se non l'avessi”. In questa frase, il Joker di Todd Phillips, in programmazione in questi giorni nei cinema italiani, relativizza il concetto di disturbo, denunciando quanto ancora siano stigmatizzate le patologie mentali. Ma nel caso della ‘Compagnia Instabile’, l'accettazione dei sei personaggi non è una forma di passività, bensì un approccio consapevole e attivo verso la risoluzione di una situazione sfavorevole e non più così rara. Il risultato di questa strana terapia di gruppo è ‘fenomenale’: tutti i partecipanti dimenticano, per almeno tre minuti, i propri pensieri ossessivi, poiché sentono di non essere soli a gestirli, scoprendo che, in fondo, i loro dubbi sono anche un po' i nostri. E ciò cambia la frequenza con la quale essi si presentano e il disagio emotivo che creano.
NELLA FOTO QUI SOPRA: LA 'COMPAGNIA INSTABILE' IN UNA FOTO DI GRUPPO
AL CENTRO: FRANCESCA TARTARO NEI PANNI DI BIANCA, LA 'FISSATA' PER LA PULIZIA
IN ALTO A DESTRA: I SEI 'DISTURBATI' COMINCIANO LA LORO TERAPIA DI GRUPPO