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21 Novembre 2024

Emanuele Santoro e Patrizia Schiavo: la rivoluzione è servita

di Michela Diamanti
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Emanuele Santoro e Patrizia Schiavo: la rivoluzione è servita

Una versione dell’Ubu Re di Jarry che ha lasciato il pubblico romano letteralmente esterrefatto: due autentici ‘mostri’ in scena che hanno saputo donarci una perfomance superlativa - per non dire perfetta - di uno dei testi originari del teatro d’avanguardia mondiale

Siamo in Francia, alla fine del XIX secolo. E qualcuno sta pensando a un teatro diverso, meno borghese, distante da ogni convenzione. Si tratta di Alfred Jarry, un poeta della Loira francese, da poco trasferitosi a Parigi proveniente dalla Bretagna, dove aveva completato i suoi studi. Figlio di una madre anaffettiva che si vestiva da uomo e nipote, sempre per parte di madre, di un’eccentrica poetessa rinchiusa in un manicomio, l’artista cominciò a pensare a un teatro che si distaccasse prepotentemente dai canoni retorici dell’epoca romantica. Fu lui, Alfred Jarry, il vero ideatore del teatro dell’assurdo: un genere complesso, che bisogna proprio esser bravi nel portarlo in scena. Ma quando in campo scendono due professionisti come Emanuele Santoro e Patrizia Schiavo, il risultato è garantito. E infatti, il tutto esaurito delle tre repliche di fiUbu_re_1.jpgne marzo, andate in scena al Teatrocittà di via Guido Figliolini in Roma, dimostra come tale richiamo abbia funzionato. Perché in effetti, più o meno si sapeva ciò che si sarebbe visto, o lo si poteva quanto meno intuire. Ciò che non si poteva pensare era l'idea che Santoro e la Schiavo avrebbero superato di molto le aspettative del pubblico. Due veri e propri ‘mostri’ in scena, che non sbagliano una virgola, che compongono una serie di ‘quadri dal vivo’ dinamici, eppure 'compatti', sia nell’uso del corpo, sia nell’interpretazione recitativa. Soprattutto nei complessi ‘dialoghi incrociati’, che assumono in quest’opera un’importanza basilare. Magicamente, tutto assume un senso: vedere un sovrano che va in bicicletta non può che far pensare a un’epoca in cui questo mezzo di locomozione stava sostituendo i cavalli, ma che era ancora assurdo pensare che un Re utilizzasse e che, allo stesso tempo, richiama alla mente quell’antico adagio di un potere a lungo bramato, ma che in seguito ti costringe al suo esercizio spietato: “Hai voluto la bicicletta”, sembra chiedere sarcasticamente l’autore al suo personaggio principale, Padre Ubu, “bene: adesso pedala…”. E Ubu Re lo fa nella maniera più brutale possibile, perché dopo aver ottenuto la corona di Polonia si ritrova costretto a difenderla sia dai nemici, sia a mantenere il livello di vita e le comodità ‘corporali’ raggiunte. Siamo veramente alle origini di un nuovo genere di teatro, a un’idea autentica di avanguardia, all’annuncio di una rivoluzione: quella del futurismo e del surrealismo, che derivano pienamente da questo socialismo anarchico ancora non trasformatosi in ideologia ‘scientifica’, in intellettualismo dottrinario. Siamo ai confini di quell’irregolarità, di quella coraggiosa ‘bizzarria’ che, in seguito, verrà sviluppata nel cinema muto da Charlie Chaplin, il qualPatrizia_Mamma_Ubu.jpge ne utilizzerà la comicità paradossale attraverso l’utilizzo del corpo come strumento parossistico. Eppoi, in scena c’è lei: Patrizia Schiavo. Un’artista che fa teatro - qualsiasi tipo di teatro - con la naturalezza con cui si prepara il pranzo o la cena nella quotidianità delle nostre mura domestiche. Ci tocca quasi parlare d’altro in questa sede, al fine di evitare il ‘santino’ di un’attrice in cui la grande scuola teatrale italiana si vede tutta. La sua Mamma Ubu è perfetta, senza il minimo errore, senza alcuna sbavatura: niente di niente. La donna sparisce totalmente e diventa un’altra persona: la vera musa ispiratrice del figlio cialtrone, anch’essa invasata dalla bramosia di potere. Un potere che viene messo alla berlina poiché incapace di occuparsi degli altri; un potere che diviene ‘dismisura’ e che non merita nemmeno l’emotività ingenua e irrazionalista della ‘P’ maiuscola; un potere totalmente privo di morale e di etica: una cialtroneria drammaticamente attuale, che conduce al disgusto. Un affondo quasi onirico, che annuncia tutto ciò che sarebbe arrivato dopo: siamo al principio di una nuova epoca, nel vero punto d’origine del XX secolo e di tutte le sue follie più deliranti. Nacque​ tutto da qui. E l’averci spiegato esattamente questo, diviene il valore principale della performance di Emanuele Santoro e Patrizia Schiavo, che meritano un ringraziamento collettivo finale. Perché questa volta non ci siamo trovati di fronte a due attori che ringraziavano i propri spettatori per aver assistito allo spettacolo, bensì innanzi a un pubblico che ringraziava i due protagonisti in scena. La rivoluzione è servita, signore e signori.

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