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23 Novembre 2024

L'aria: non uccidere Caino

di Emanuela Colatosti
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L'aria: non uccidere Caino

Andato in scena di recente al Teatro Garbatella, questo testo di Pierfrancesco Nacca ha attirato l’attenzione di associazioni come ‘Stefano Cucchi Onlus’, ‘Amnesty International’ e ‘Antigone’ per lo spinoso tema civile dell’abuso di potere nelle carceri

Lenzuola colorate e vivaci appese a un filo fanno da sipario. Canticchiando ‘Cu ‘me’, Bijoux ritira il bucato e apre la scena. C’è Nicola (Alessandro Calamunci Manitta) in piedi con in mano le sue cose: sembra un collegiale appena arrivato. Rosario (Gabriele Sorrentino) legge sdraiato sul suo letto, rivelando dietro i muscoli torniti un’intelligenza tenera e protettiva. Di lato, su una sedia, Carmine (Andrea Colangelo) fa produrre nervosamente scintille all’accendino: non vorrebbe mai uscire dal muro di insicurezza che spesso gli provoca attacchi di panico. Potrebbero sembrare normali coinquilini. E, invece, sono carcerati. Instaurando una relazione amicale, difficile a crearsi dietro le sbarre, si trasfigura la loro tragica condizione. Lasciare ai quattro personaggi abiti civili è una consapevole scelta registica, per restituire ai possibili abitanti di una casa circondariale un’identità propria. Quella a cui i detenuti si aggrappano per rimanere se stessi e non confondersi con l’Altro, che in prigione veste i tuoi stessi panni e percorre alla stessa ora le medesime traiettorie. Non vengono spogliati del tutto dell’umanità che si portano dal mondo esterno, nonostante sia stata la vera causa di fondo del loro internamento. Si narrano speranze e si vivono precari equilibri identitari. Pierfrancesco Nacca, autore di ‘L’aria’, in scena nei panni di Bijoux/Mario, ha una penna educata: sceglie con cura cosa far emergere dagli scambi ‘interni’ e quelli con chi proviene ‘da fuori’. Ci sono diffidenza e chiusura, nei confronti Aria_Foto_1.jpgdi chi vorrebbe fare luce su come tra le mura di un carcere spariscano pezzi di umanità, oltre alla libertà. Si fa più gentile persino la regia di Giulia Paoletti: accentuando una tenerezza che dilata i tempi e tronca la violenza, al fine di ridurne la visibilità, mentre l’insostenibilità dell’assenza di chi non c’è più emerge delle cose lasciate in scena. Drammaturgia e regia sembrano essere nati dalla stessa persona. La scena si sviluppa contemporaneamente su due piani: quello della relazione tra i personaggi e quello della relazione con il pubblico. Dentro e fuori dal palco. Il ritmo della messinscena è guidato dalle geometrie in cui il palco risulta diviso, anche grazie anche a un uso intelligente delle luci. Tuttavia, non in seconda battuta, è proprio dal corpo degli attori che questo si propaga, costruendo le diverse atmosfere emotive: intimità, solitudine, disperazione, incomunicabilità. Un tappeto elettronico dà alla recitazione una musicalità dal gusto rap, in cui i beat cadenzati transitano dalla traccia al palco attraverso i piedi degli attori. Ma non è solo la riscoperta della normalità della devianza tramite lo svelamento delle quattro biografie a fare di ‘L’aria’ una rappresentazione teatrale pregiata. È soprattutto la discrezione con cui Nacca e Paoletti si insinuano nella finalità correttiva, necessaria delle case circondariali, svelandone la tragica brutalità, portando in scena un teatro civile che non sacrifica esigenza estetiche e rappresentative. Resta difficile capire come restituire quella normalità che avrebbe tenuto tante persone fuori dal carcere. E resta urgente l’appello alla condanna della violenza contro chi la libertà, in fondo, l’ha già persa. Carmine sta per Stefano Cucchi, Federico Aldovrandi e tanti altri. Perché non è vero che ‘Non è Stato nessuno’.
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NELLA FOTO AL CENTRO: PIERFRANCESCO NACCA E GABRIELE SORRENTINO

QUI SOPRA: ALESSANDRO CALAMUNCI MANNITA E PIERFRANCESCO NACCA

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