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21 Novembre 2024

Le cosmicomiche: Calvino incontra Buzzati

di Silvia Mattina - smattina@periodicoitalianomagazine.it
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Le cosmicomiche: Calvino incontra Buzzati

Gli scritti di due anime illuminate, con i loro universi letterari, si mescolano nel progetto drammaturgico pensato da Lorenzo Loris e andato in scena al Palladium di Roma a fine maggio

Prosegue il ciclo del Teatro Palladium di Roma dedicato ai grandi scrittori del ‘900. Questa volta il pubblico ha assistito a un confronto inedito e atemporale tra due grandi interpreti del periodo: Calvino e Buzzati. C'è, in entrambi, la necessità di ricreare un ambiente evocativo e a tratti favolistico, capace di riflettere con il sentimento la realtà che ci circonda. L'evasione dalla realtà ha infinite declinazioni per manifestarsi: per Buzzati, dalla montagna alla città milanese il destino assume il ruolo di protagonista, mentre per Calvino la leggerezza è una rete tenuta insieme da un filo sottile. A ben vedere, le differenze di sguardo sul mondo noCalvino_incontra_Buzzati_2.jpgn emergono. E sembra, spesso, che le due narrazioni si confondano, come le due facce di una stessa medaglia, sacrificando le individualità in favore della fluidità del racconto. Il mondo immaginifico prevale su tutto, anche sull'autorialità stessa, per approdare a un senso surreale: dal comico al cosmico. L'allestimento speculare rinvia al ‘duetto’ che presenta, alternati, i racconti dell'uno e dell'altro, senza interruzioni o segni particolari. Dei dodici racconti scritti da Calvino negli anni ’60 del secolo scorso, il regista Loris sceglie la riflessione sull'universo e lo spazio con ‘La distanza della luna’, mentre per una dissacrante dissertazione sul tempo, il compito è affidato a Paolo Bessegato in ‘La memoria del mondo’. Sul versante Buzzati, la riflessione sulla dimensione 'spazio-tempo' è quanto mai forte e viva ne ‘La ragazza che precipita’, in cui la protagonista ha l'ansia di crescere, bruciando le tappe di un'esistenza che si rischia di annientarsi per la fretta del tanto vivere. Il finale di ‘Inviti superflui’ sugella definitivamente l'anelito d'amore quale unico ‘laccio’ in mezzo al vuoto, al quale aggrapparsi per non rischiare di avere rimpianti.

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