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3 Maggio 2024

Nops Festival: ecco chi ha vinto

di Annalisa Civitelli
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Nops Festival: ecco chi ha vinto

Due settimane felici, trascorse tra il Teatro Tor Bella Monaca e l’Ex Mercato di Torrespaccata, all’insegna dei nuovi talenti che si stanno affacciando sul panorama teatrale nazionale: finalmente un ‘contest’ bene organizzato, con spettacoli selezionati ‘a monte’ con serietà e professionalità

Il 1° luglio scorso, si è chiusa la X edizione del 'Nops Festival', dedicato alle realtà teatrali emergenti, organizzato da Nogu Teatro e ospitato presso i teatri Tor Bella Monaca ed Ex Mercato di Torre Spaccata: due luoghi che si preoccupano di rendere viva la periferia senza fallire nel loro intento. Le numerose compagnie di questa edizione hanno dimostrato quanto il panorama giovanile non sia assolutamente da sottovalutare, proponendo spettacoli di buona qualità, ricchi di interessanti spunti stilistici. Per la sezione 'Compagnie', dedicata alle produzioni già concluse, si è aggiudicato il premio come 'Miglior spettacolo', con accesso diretto in stagione al Teatro Tor Bella Monaca, l'attore Luca Avagliano con 'Niente panico', monologo che ha ottenuto anche una menzione speciale della redazione di Laici.it ed è stato invitato dal Teatrosophia di Roma (via della Vetrina n. 7, traversa di via dei Coronari) a presentare lo spettacolo nella stagione prossima. Per la sezione 'Anteprime', il premio è andato alla compagnia 'Dietro la Maschera' con 'Effetto Werther', per la regia di Gianluca Ariemma, con una residenza artistica che gli possa permettere di concludere il lavoro. Il premio dei pubblico è andato, invece, ad Alessandro Blasioli per 'Questa è casa mia', un testo di teatro civile dedicato alle difficili condizioni della città de L'Aquila dopo il devastante terremoto del 2009. Numerosissime le menzioni speciali della critica e degli operatori: la rivista 'Periodico italiano magazine' ha assegnato il proprio premio speciale della critica a Gloria Giacopini, per 'Sogliole a piacere', uno spettacolo selezionato anche dal Teatro Trastevere e dal Teatro Argot Studio per l'inserimento in stagione. Il Teatrosophia, invece, ha conferito al duo Giacopini-Tomasulo la prima residenza artistica dalla recentissima apertura. Il Teatro Kopò, per parte sua, ha consegnato una menzione speciale, selezionando lo spettacolo: 'Questa è casa mia', di Alessandro Blasioli. Il Teatrocittà, diretto da Patrizia Schiavo, ha poi stupito tutti con la proposta d'inserimento in stagione di tutte le produzioni già concluse che abbiamo visto durante il festival, per dare un seguito alla manifestazione e sostenere le giovani compagnie, dando loro la possibilità di continuare a far maturare il proprio spettacolo in scena. Rivedremo dunque nella prossima stagione di questo spazio, che si è preoccupato di riqualificare un edificio abbandonato a sé stesso, i già citati 'Sogliole a piacere', 'Niente panico', 'Questa è casa mia', ma anche 'Yukonstyle', della compagnia BiTquartett, 'A little party never killed nobody' dei Parlengo Fellas ed 'Era meglio se facevo l'attore', di Andrea Onori. Anche le compagnie che hanno presentato un primo studio di progetti in cantiere sono state notate. Il 'Teatro del Mantice' ha ricevuto la menzione speciale dell'Associazione CasaLorca di Vicenza, che ha messo a disposizione una residenza artistica per portare avanti il progetto. Fabio Pisano, per la sezione 'Autori' è risultato, invece, segnalato da Pietro Dattola di 'ScriptDoctor & PlayDoctor', che lo accompagnerà con delle sessioni di Tutoring e Mentoring gratuite. Tutti i testi verranno inoltre valutati da 'Perlascena' per la pubblicazione del prossimo numero. Non ci resta altro che continuare a seguire questi giovani talenti e portare avanti la cooperazione che ha accompagnato questa edizione, con l'obiettivo di ampliare gli orizzonti sempre più. Si ringraziano per la collaborazione: Periodico Italiano Magazine; Persinsala; Cultur Social Art; La nouvelle vague magazine; Post-it Roma; Brainstorming culturale; Quartaparete Roma; Laici.it; Stefano Cangiano; Media & Sipario; Filippo D'Alessio; Teatro Trastevere; Teatro Kopò; Teatro Studio Uno; Teatrosophia; Pietro Dattola; Spazio Casa Lorca; Teatrocittà; Teatro Argot Studio; Scriptdoctor & Playdoctor; Perlascena; Brizzi Comunicazione; Dramma.it; Teatro Tor Bella Monaca; l'Ex Mercato di Torre Spaccata. Qui di seguito, le recensioni scritte dalla redazione di 'Periodico italiano magazine', pubblicate su una pagina appositamente dedicata del sito www.periodicoitalianomagazine.it

To be
Lo spettacolo 'To be', presentato fuori concorso al Nops Festival da Alessandra Francolini, è un modo di giocare con il notissimo monologo teatrale dell'Hamlet, il famoso: "To be or not to be". Entra Amleto, 'dressed in black'. E comincia la perfomance della Francolini, che gioca con il testo 'shakespeariano' al fine di rappresentarne le molteplici chiavi interpretative che lo rendono un capolavoro assoluto. Comincia quindi un 'dondolamento' su un trapezio posto al centro del palco, in cui attrice e personaggio si alternano tra dramma e commedia, apparenza ed essenza delle cose. Non si tratta del primo spettacolo che cerca di giocare con Amleto, a riprova della vivacità culturale del panorama teatrale italiano, il quale si ostina a non voler affondare nel provincialismo qualunquista attualmente imperante. La sintesi dell'intero dramma viene proposta dall'autrice e attrice anche attraverso un gustoso momento di recitazione con i 'piedi'. Non si tratta, ovviamente, di una dissacrazione satirica, bensì di un utilizzo particolare del linguaggio del corpo, che un attore deve saper sfruttare al 100%. Il risultato è molto simpatico e la perfomance ne ottiene un effetto di alleggerimento niente affatto superficiale o di basso profilo. C'è coraggio ed equilibrio, nello spettacolo della Francolini. E di questo dobbiamo tutti dargliene atto. Originale. (Vittorio Lussana)

Magnum Opus
'Magnum Opus' è uno spettacolo decisamente interessante, che attraverso un gioco di contrasti evidenzia le nostra contraddizioni senza porsi su un piano di 'superomismo intellettuale', evitando cioè di fornire risposte, soluzioni o consigli. Partendo dai giochi di ombra della cultura 'giavanese', tipicamente orientale, i ragazzi del 'Teatro del Mantice' evidenziano il contrasto evidente con la filosofia occidentale, la quale non è affatto rivoluzionaria, bensì impositiva, ipocrita e falsa. Siamo tutti schiavizzati dalla comunicazione, dalla religione, dalla pubblicità. Una serie infinita di contaminazioni formali che, in realtà, servono soprattutto a nascondere la nostra mentalità furbesca, opportunista e truffaldina. Persino la politica può essere considerata un gioco di ombre, utili soprattutto a intrattenere la folla per depistarla, ovvero come metodo di 'contenimento' e di controllo sociale. Lo spettacolo si chiude con un accento critico verso l'informazione televisiva, che ha il solo e unico scopo di modellare e omologare gli individui, marginalizzando gli aspetti migliori dell'animo umano, che esistono sin dai tempi della società di natura. Intelligente, ricco di spunti e contenuti. (Francesca Buffo)

Just a step back
In una rassegna bene organizzata, uno spettacolo di 'teatro-danza' ci stava benissimo. Ed ecco dunque l'associazione culturale 'Erasmo da Rotterdam' portare al Nops il proprio contributo di freschezza, impegno e amore per il ballo. Un giovane Frank Sinatra alla ricerca di lavoro sembra trovarsi in un vicolo cieco, nonostante un timbro vocale caldo e importante. Ciò lo porta a vagabondare per una località 'ideale', che alla fine lo delude, conducendolo a dormire in un parco. Ma proprio quella strana notte trascorsa all'addiaccio lascia apparire tra i propri sogni un mondo di artisti e personaggi che, in futuro, incontrerà realmente. Il 'canovaccio' dà modo al gruppo di presentare una 'carrellata' di star dell'epoca, da Ella Fitzgerald a Marilyn Monroe. Ma il pericolo della nostalgia retorica, sempre dietro l'angolo in questi casi, viene aggirato attraverso una perfomance di rilievo, che ha messo in evidenza la bravura dei singoli ballerini, in particolar modo dei 'maschietti'. L'ambientazione di sfondo, inoltre, è suggestiva, simpatica ed elegante, nonostante gli spazi un poco 'angusti' per l'esibizione. Il linguaggio della danza può fare a meno delle parole, ma tutto ci conduce verso un apprezzamento per questi ragazzi, che ce l'hanno messa tutta, riuscendo a sfuggire il pericolo di un'esibizione puramente coreografica, o quello di una stanca riproposizione di anticaglie 'riempitive', sullo stampo di tanti balletti televisivi. Al contrario, i ragazzi dell'associazione 'Erasmo da Rotterdam' hanno preso sul serio il proprio momento, portando in scena una perfomance ben curata, sin nei minimi dettagli. Bravi. (Giorgio Morino)

Anankastico68: l'uomo server
Un teatro anarchico, sperimentale e d'avanguardia, che presenta la vita di un uomo perennemente connesso in rete, sfruttato per la sua capacità di fare calcoli e profetizzare movimenti di borsa, colpi di Stato, guerre e tracolli finanziari. Immerso nella sua realtà virtuale, il protagonista perde il senso con la realtà e rischia di deteriorare la sua amicizia con l'allievo Giulio, che cerca di richiamare l'amico alla realtà, senza molto successo. La chiave critica è molto interessante: siamo ormai oltre la tematica 'pasoliniana' dei modelli imposti dalla televisione. Quel confine è stato ormai superato da tempo e il cervello umano risulta catturato dal mondo virtuale, che ne gestisce persino le ansie e le esigenze, senza più alcuna conceessione allo spirito, né ai valori dell'anima. La traccia di collegamento con la contestazione del '68, cioè quella di una generazione che ha cercato di opporsi contro una massificazione che trasforma ogni cosa in guerra, appare evidente, benché immersa in una rappresentazine a tratti delirante. Ma il delirio è un dato oggettivo: è questo il nuovo codice del sistema di mercato, per controllare le menti e utilizzarle a proprio vantaggio. In fondo, è la medesima 'chiave' interpretativa di Peter Weir in 'The Truman show', in cui il protagonista, in questo caso, stenta ad assumere consapevolezza di come tutto ciò che vive attorno a lui sia una proiezione dettata da algoritmi esogeni alla stessa esistenza umana. Interessante. (Carla De Leo)

Trash: disinfettato, sterilizzato, asettico
Un copione interessante, questo di Margherita Ortolani, che ha dato modo ai ragazzi di Nogu Teatro di affilare il proprio 'bisturi' nei confronti della famiglia, pietra angolare della nostra società. Dopo la morte della mamma, emergono tutta una serie di verità all'interno di un nucleo di persone che si pone unicamente il problema di ripartirsi l'eredità. La logica è quella di un ribaltamento continuo, che scoperchia tutte le bugie e le invidie personali. Una famiglia chiusa in se stessa, contro il mondo che cambia. E che non trova altra fonte di reddito se non quella di appropiarsi del patrimonio familiare, accumulato da altri, attraverso anni di sacrificio e di duro lavoro. Due 'fratelli-vampiri', appostati come avvoltoi, attendono di entrare in possesso del patrimonio di 'mammina', ma un testamento a sorpresa nomina erede universale un cugino, che immediatamente diviene oggetto di un interesse quantomai egoistico da parte di tutti gli altri membri della famiglia. I ribaltamenti tra vittima e carnefici sono continui. E incuriosisce come questo 'estratto' possa essere sviluppato in futuro, appartenendo pienamente a quei testi che scavano nella nostra realtà sociale, al fine di fotografarne spietatamente la crisi. Una cosa seria. (Annalisa Civitelli)

Wet floor
Agnese Lorenzini, questa volta in vesti seducenti, irretisce un giornalista, interpretato da Valerio Riondino, il quale sta indagando su una strana storia di sequestri che sembrerebbe aver causato la scomparsa di 4 suoi colleghi. La ragazza ha pulito l'appartamento mentre il giornalsta era al telefono, intento a cercare informazioni consultando alcune 'fonti'. Il cronista vorrebe uscire di casa, poiché forse ha individuato una 'pista', ma la ragazza lo blocca: ha appena finito di 'dare lo straccio' e non intende ripassare la stanza. E' un'ottima occasione per fare due chiacchiere, ma il tono della conversazione diviene sempre più ambiguo. Alla fine, il gironalista è talmente sul 'pezzo' da essere lui, questa volta, a risultare sequestrato da una psicopatica, che odia a morte il mondo dell'informazione, colpevole di manipolare le notizie a seconda delle situazioni, disinformando i lettori. La lettura è quella di un ambiente, il giornalismo, che ha dimenticato i suoi princìpi originari di 'potere di controllo' e si è trasfomato in una corsa forsennata e autoreferenziale, in cui la spettacolarizzazione delle notizie ha preso il sopravvento. La tematica di fondo è buona, proponendo un effetto di cortocircuito tra realtà oggettiva dei fatti e le molteplici forme di verità apparenti. E, alla fine, si rischia di fare il tifo per il 'mostro'. Un lavoro indubbiamente attuale. (Francesca Buffo)

Elementi
Un'anteprima divertente, che tende a esorcizzare la paura della morte prendendola un po' in giro. Caronte è andato in pensione. Dunque, la sua 'mission' - quella di trasportare le anime dei morti al di là del fiume Acheronte - viene affidata a tre fratelli maldestri, ingaggiati con un contratto a tempo determinato. Ovviamente, lo scopo dei tre è quello di essere assunti a titolo definitivo, ma le disavventure si sprecano e tutto sembra congiurare contro di loro. La morte continua a ricordare ai tre tutti i 'criteri' per l'assunzione a tempo indeterminato, ma gli errori si susseguono puntualmente e, spesso, sono sempre gli stessi, a dimostrazione di un'occupazione per la quale i ragazzi non sembrano affatto 'tagliati'. La rappresentazione è molto simpatica, con una Agnese Lorenzini che salta come un 'grillo' per tutta la scena, mostrando un'agilità fisica che le consente di vivacizzare la rappresentazione. Una morte in paranoia, simpaticamente interpretata da Stefania Capece Iachini, rende bene l'idea di un esorcismo in cui è la realtà stessa a scompaginare i piani più razionali e assoluti. Persino quelli della morte. Simpaticissimo. (Valentina Spagnolo)

Effetto Werther
Al centro di 'Effetto Werther', presentato al Nops Festival dalla compagnia teatrale 'Dietro la maschera', c'è l'esplorazione dell'universo alienante che, purtroppo, in contesti tristemente attuali, conduce i giovani a ritrovarsi, per disagi economici e difficoltà varie, costretti in monolocali che poco hanno di quel calore abitativo di cui ogni essere vivente avrebbe bisogno. All'interno di un 'confino' dove regna uno struggente contrasto di bianco e nero, ben acuito dallo stridente rimbalzo della fredda luce al neon, due ragazzi condannati alla mancata serenità s'incontrano e confrontano in un dialogo tagliente e sarcastico, in un alternarsi ritmico di battute al 'vetriolo', che non mancano di coinvolgere gli spettatori. Lo spettacolo procede fino al tragico epilogo con un ritmo serrato, molto giocato sugli effetti 'buio-luce'. Identico contrasto si rispecchia nei tre personaggi in scena, interpretati da Marcello Gravina, Giulia Navarra e Gianluca Ariemma, che ha firmato anche la regia. Il rapporto tra la giovane inquilina e il nuovo coetaneo subentrante, si sviluppa in un allestimento scenografico che cala subito lo spettatore in una dimensione 'modern dark' di uno spazio che potrebbe essere ultra-cittadino come sub-periferico, perché le sensazioni di disincanto sono percepibili a ogni latitudine. Lo sconforto permea tutto fino all'estremo, nel vano tentativo di un contatto umano: resta solo l'unica desolante soluzione, quella della più drastica dipartita della giovane. Entra così in scena il terzo attore, che incarna, con modi non convenzionali, tanto il vicino di casa quanto un esponente della forza pubblica. Ecco che il confronto si fa ancora più difficile: il ragazzo, occultando il corpo senza vita della giovane, sembra incapace di trovare una via di fuga e si amplifica l'isolamento, l'incomunicabilità, il dramma del 'loculo', del 'buco nero', del metallico neon che irrompe solo per confinare e delimitare l'individuo, per chiuderne le possibilità espressive e di riscatto, per comprimerne la personalità. E allora, come all'inizio, quando tra i due protagonisti in scena si era stabilita la legge amara di un passaggio di testimone obbligato, ora la piéce sembra dirci: "Avanti il prossimo". E ci si tira fuori nell'unico modo possibile, perché salvarsi può anche voler dire avere il coraggio di lasciare una 'non-vita'. Provocatorio. (Alessandra Battaglia)

Era meglio se facevo l'attore
"Ho fame di sapere, to be or not to be" è la scritta sul cartello che porta in scena Andrea Onori. E tramite questa frase, l'attore comincia a installare i primi lievi dubbi nel pubblico. Il momento di riflessione è breve e dura giusto il tempo della domanda, per poi perdersi sotto il ritmo dei giri di parole, delle battute ironiche, delle osservazioni caustiche. Lo spettacolo si divide essenzialmente in due parti: dopo un primo serrato prologo, in cui vengono messe in campo tutte le problematiche dell'esistenza e si usa il pubblico per costruire la scena e renderlo complice, l'immagine reale si fa sempre più discontinua e frammentata, in un clima di vuoti e di attese da tensione drammaturgica. Un capocomico dai caratteri di un eroe tragico, Onori dissemina rivelazioni e indicazioni su ciò che sta portando in scena, tra chiare definizioni del genere 'meta-teatrale' e continue denunce sociali, fino alla rottura della 'quarta parete'. In questa vorticosa mescolanza di registri, toni e stili recitativi, la vera protagonista è la solitudine, che non lascia vie d'uscita all'uomo/attore. Questi si muove sul palco con occhi famelici di arte, cercando con ogni mezzo di resistere alla condanna del proprio eterno inferno. La tragedia, sempre uguale a se stessa, diviene dunque una metafora del consueto copione del duro mestiere dell'attore, sempre in cerca di finanziamenti e costantemente impantanato in una burocrazia surreale, dove la 'trafila' per la richiesta di un permesso si trasforma in una grande e faticosa 'caccia al tesoro'. Godibile. (Silvia Mattina)

Exodos
Buona anteprima sul genere 'epic-danza' che il regista di 'Exodos', il bravo Luigi Saravo, ha voluto portare in scena insieme ai suoi 'attori-danzanti' alla X edizione del Nops Festival, trasferitosi in questi giorni negli spazi dell'ex mercato di Torrespaccata. Con pochissimi elementi, gli attori riescono intelligentemente a inscenare una guerra, che poi non è altro che l'antico assedio della città di Troia. Ma i richiami all'Iliade e all'Odissea sono solo un pretesto per richiamarsi alle guerre dell'oggi, che sin dall'antichità provocano esodi biblici e quei 'viaggi della speranza' che, in questi ultimi anni, abbiamo visto causare la morte di centinaia di migliaia di vittime. Decisamente brillanti alcune idee del regista, che con pochissimi elementi di scena riproduce una nave che cerca di portare in salvo migliaia di esseri umani, tra cui una donna rimasta incinta dopo uno stupro, che infatti partorirà in mare. Una performance costruita attraverso una serie di figure simboliche ed estetiche piuttosto semplici e, allo stesso tempo, coinvolgenti, avvicinandosi molto allo stile artistico di Giorgio Strehler. Un male antichissimo, quello delle morti in mare, che appartiene, sin dagli albori dell'umanità, al dramma storico del bacino del Mediterraneo. Suggestivo. (Raffaella Ugolini)

Sogliole a piacere
Gloria Giacopini è una modenese 'segaligna', acutissima, quasi iperattiva. Sin dall'infanzia, queste sue peculiarità l'hanno condotta a fare ogni cosa con un 'piglio' energico, quasi da 'maschiaccia'. Ma dentro di sé, Gloria è un 'fiorellino' che, oltre a impegnarsi nel cercare di aiutare negli studi i suoi compagni di liceo, si ritrova costretta a confrontarsi con il cinismo indifferente del mondo degli adulti, dai professori alla famiglia. Proprio le sue particolarissime caratteristiche inducono i più a crearle del 'recinti di contenimento': la madre è convinta che la sua iscrizione al liceo più duro e severo di Modena si rivelerà un disastro; le professoresse che incontra, invece, sono una vera e propria 'galleria di rintronate', che alla fine la identificano come un fenomeno a parte e non se ne occupano più: per loro, Gloria è solamente un problema didattico in meno. La Giacopini si sente come una 'sogliola', che si appiattisce per mimetizzarsi con il terreno e nascondersi rispetto agli 'schematismi' altrui: ecco il vero perché di questa sua 'fissa psicologica'. In realtà, per dirla con Rousseau, "una società può essere guidata dall'alto, oppure sostenuta dal basso". E Gloria appartiene senz'altro alla seconda tipologia di persone, per la sua grande generosità e il suo gran cuore. Ha paura di se stessa? Oppure, si nasconde dietro alla sua vivissima intelligenza, che tende a lasciarla fuori dal circuito dei 'normali'? La ragazza è indubbiamente particolare. E ciò vale anche per questa sua perfomances alla X edizione del Nops Festival: vivace, arguta, con una personalità spiccata. Non potendone più di essere classificata di un'altra 'categoria', finge di copiare un compito in classe, lasciandosi sorprendere con una serie di bigliettini rilegati con lo 'scotch'. Ma anche di fronte all'evidenza, le sue professoresse escludono che lei possa aver copiato il compito o che, per una volta, non abbia studiato. La critica sottesa nei confronti di un mondo, quello della scuola italiana, in cui gli alunni vengono quasi sempre 'inquadrati' all'interno di una 'fotografia' dalla quale è praticamente impossibile riuscire a liberarsi, è assai meno banale di quanto sembri. Ma al fondo di tutto questo c'è la semplice verità di una ragazzina che, in molte situazioni, avrebbe voluto solamente essere accettata come una persona 'normale', con pregi e difetti, per mescolarsi e confondersi in mezzo a tutti gli altri. E' un gran bisogno di amore, ciò che ha mosso questa figliola decisamente 'particolare'. Una ragazza che oggi è diventata una splendida attrice, con doti inconfondibili da 'caratterista' che segnaliamo persino con sollievo. Non omologarti, Gloria: non ne vale la pena. Eppoi, cos'è in fondo il successo? Essere i 'primi della classe'? Oppure riuscire a far comprendere con semplicità quel che si prova dentro di sé? E' una questione 'shakespeariana' di non semplice risoluzione. Particolare. (Vittorio Lussana)

Yukonstyle
Niente affatto semplice l'impegno che il gruppo teatrale 'Bitquartett' si è assunto nel voler rappresentare alla X edizione del Nops Festival questo 'Yukonstyle': un testo inedito in Italia, scritto da Sarah Berthiaume, una drammaturga franco-canadese. L'ambientaazione di sfondo è il grigio inverno dello Yukon, una regione ai confini dell'Alaska: una stagione lunga, noiosa, a tratti drammatica. L'intento dell'autrice era probabilmente quello di offrire uno spaccato del sottoproletariato canadese, quasi mai sfiorato dalla narrativa e dalla letteratura nord americana. In ogni caso, i personaggi principali sono: Garin, un 'lavapiatti-chitarrista' alle prese con un padre alcolizzato; Yuko, una 'chef' giapponese in esilio; Kate, una ragazzina che attraversa l'intero Stato senza meta, alla ricerca di un luogo in cui stabilirsi definitivamente. Il testo è indubbiamente complesso, ricco di contenuti anche piuttosto 'amari': per riuscire a resistere in una regione così difficile, il singolo individuo è costretto a rimpicciolirsi e a chiedere aiuto agli altri. Nasce, così, questa piccola 'comune' di 4 persone, compreso il padre di Garin, che cerca di fare fronte a un'esistenza sempre più problematica. Kate è incinta per via di un rapporto occasionale avuto con uno sconosciuto su una delle corriere sulla quale stava girovagando per il Paese; Garin e il padre, Dad's, sono stanziali, ma l'improvviso arrivo della cirrosi epatica del secondo getta il primo in una stato di angoscia, nella consapevolezza di dover vivere una fase particolarmente dolorosa. Un dramma decisamente forte, con dialoghi ricchissimi e articolati che, tuttativa, il regista e traduttore, Gabriele Paupini, dovrebbe asciugare ulteriormente, al fine di rendere al meglio questa versione teatrale, secondo ritmi che riteniamo debbano essere vivacizzati per il pubblico cosiddetto 'medio'. Al momento, infatti, questo lavoro denuncia come un limite ciò che dovrebbe essere considerato il suo 'punto di forza': un copione teatrale per 'palati sopraffini'. L'intento era probabilmente quello di far percepire al pubblico la difficoltà di 4 esistenze ai margini della società, in pieno attraversamento di una fase particolarmente difficile della loro vita, in cui l'amore, l'amicizia e la solidarietà sono quasi costrette a emergere, per diventare veri e propri valori cardinali dell'esistenza. Un obiettivo indubbiamente raggiunto. Anche troppo, se vogliamo. Lungo. (Alessio Spelda)

A little party never killed nobody
Susanna, Alessio, Francesca, Stefano, Elisabetta, Jacopo, Giacomo e Maria Luisa sono 8 giovani attori diplomati alla Civica Accademia d'Arte drammatica 'Nico Pepe' di Udine che con questo loro lavoro, intitolato 'A little party never killed nobody', hanno voluto accompagnare il pubblico in un salto temporale alla riscoperta della storia dell'amore perfetto e dell'odio cieco, sin dai tempi della tragedia di Romeo e Giulietta. Cori gospel, movenze audaci, uno spettacolo multidisciplinare e molto fisico, che prendendo spunto dalla tragedia 'shakespeariana' è riuscita, attraverso una sensualità ritimica e le caratterizzazioni dei personaggi riletti in chiave moderna, a far riflettere sull'inclinazione dell'essere umano all'odio e all'arroganza. Un amore, quello di Romeo e Giulietta, osteggiato da un opulento Capuleti, che con atteggiamento mafioso esprime il suo odio per la piccola Giulietta a causa del suo amore, consumato nella velocità dei giorni nostri, per il giovane Romeo. Un padre padrone gonfio della sua boria, che al centro del proprio interesse ha solamente quello di mantenere in alto il buon nome della famiglia, non disdegnando tuttavia l'adulterio con una giovane donna così pregna di solitudine da elemosinare ogni goccia di sesso, scambiandolo per amore. Con una essenzialità disarmante, gli elementi scenici hanno presentato perfettamente i luoghi inaspettati in cui si muovono i personaggi sotto gli occhi di Padre Lorenzo, il Don Abbondio 'shakesperiano', che riesce a essere anche più ipocrita del curato nostrano. Un Romeo Montecchi in fuga senza fine verso l'espiazione della propria colpa e una Giulietta Capuleti che si congeda dalle proprie sofferenze, sollevando la famiglia da ulteriori patemi d'animo. La tragedia si consuma mentre tutto intorno continua a scorrere nell'inconsapevole velocità dei ritmi moderni: l'odio é ormai normalità e nessuno ci fa più caso, tanto ne risultano assuefatti. Lo spettacolo ha debuttato lo scorso anno al 'Festival Podium' di Mosca e può essere considerato una sana ventata di freschezza in un panorama artistico, quello teatrale, che come per altre forme d'arte massificate risultano ormai appiattite verso la più bassa e inquietante mediocrità. Quando l'arte è sperimentazione, creatività ed espressività, essa diviene il mezzo più alto per arrivare all'animo umano e stimolarlo a pensare. Fresco. (Marcello Valeri)

Questa è casa mia
Spettacolo tragicomico, inquadrabile nella categoria del teatro civile, presentato il 21 giugno appena trascorso presso il Teatro comunale di Tor Bella Monaca. L'evento si inserisce nel più ampio cartellone del Nops Festival (Nuove opportunità per la scena), giunto alla sua decima edizione. La manifestazione è stata ideata da Nogu Teatro e sta andando in scena dal 17 giugno scorso sino al 1° luglio prossimo, tra l'ex Mercato di Torre Spaccata e il Teatro Tor Bella Monaca. Lo spettacolo in questione è scritto, diretto e interpretato dall'attore teatino Alessandro Blasioli, con la supervisione artistica di Giancarlo Fares. Siamo all'indomani del terribile terremoto che, nella notte tra il 5 e il 6 aprile 2009, ha colpito L'Aquila. Più di 60 mila persone hanno perso la casa. La catastrofe naturale diviene un punto di rottura, che segnerà per sempre l'esistenza della popolazione aquilana e abruzzese. Un dramma che, nonostante gli aiuti e la solidarietà, è stato scarsamente compreso dalle istituzioni. La città viene subito blindata. Per gli abitanti, ciò implica la perdita, chissà per quanto, di qualsiasi contatto diretto col paesaggio urbano della loro vita. La casa è il luogo dell'anima. E la sua inaccessibilità determina la perdita di ogni riferimento, il senso più puro del vivere. Ed è proprio su tale aspetto, quello dello 'sradicamento', che lo spettacolo si concentra: il lato umano della vicenda, indagato con toni leggeri e drammatici allo stesso tempo. Si enfatizza il senso d'impotenza di fronte alla tragedia e la difficoltà nel ritornare alle normali attività. Protagonisti dell'intenso monologo sono due amici, Marco e Paolo. Il primo è di Chieti e vive di riflesso quanto accaduto alla famiglia di Paolo, i Solfanelli. Una famiglia, quella di Paolo, che si ritrova costretta ad affrontare tutta la trafila di aiuti e di assistenza 'post terremoto'. Ogni cosa, però, non fa altro che ricordare loro l'assenza e il senso della perdita. Con intelligente ironia viene raccontata la 'cattività' scontata presso un hotel di Silvi Marina, dove le famiglie dei terremotati vivono quasi come dei reclusi. L'atmosfera vacanziera stride nettamente con il dramma che stanno vivendo. Passando in seguito per la tendopoli di Piazza d'Armi, i Solfanelli approdano alle case temporanee e, quindi, all'abitazione nella 'New Town': un 'non luogo' desolato, senza servizio alcuno. Il desiderio di tornare in città spinge Paolo a compiere incursioni notturne nella città militarizzata, per toccare e rivedere con i propri occhi la casa di famiglia. Altro aspetto rilevante dello spettacolo riguarda la precisa ricostruzione delle vicende legate allo scandalo del business della ricostruzione. Vi è quindi la denuncia contro la camorra, colpevole di aver costruito, negli anni '70 del secolo scorso, case ed edifici con materiali scadenti, che non hanno retto alla potenza del movimento tettonico. Alessandro Blasioli porta in scena un'energica performance, dal ritmo vorticoso. Si muove agilmente nell'interpretazione dei tanti personaggi ben accompagnato dal supporto musicale, che enfatizza i momenti drammatici e tragicomici. Si fa un grande uso di espressioni dialettali, che inquadrano il carattere 'strapaesista' del popolo abruzzese, creando empatia. Si ride molto, ma è un sorriso amaro. I canti tradizionali abruzzesi fanno da sfondo alla vicenda e diventano il peso di una storia bruscamente interrotta dal terremoto. Pochi elementi di luce, sapientemente orchestrati, determinano la varie ambientazioni, rese in modo minimale. Estremamente efficace è l'affresco che si fa della città de L'Aquila successivamente al cataclisma: un lugubre sepolcro a cielo aperto, carico di ricordi smarriti. Coinvolgente. (Michele Di Muro)

Niente panico
La strana sigla 'Nops' racchiude un innovativo festival teatrale delle nuove opportunità per la scena. È una vetrina in cui le eccellenze del teatro emergente possono finalmente diventare visibili al pubblico. Qui, le giovani realtà ancora da scoprire trovano voce e spazio, valorizzate e incanalate nella giusta direzione perché continuino a crescere e migliorarsi. Quest'anno il Teatro Tor Bella Monaca, luogo di cultura designato e di incontro, perseguendo il suo obiettivo di ampliare l'interesse e il numero di presenze in teatro, ha accolto la prima settimana del Nops per merito del direttore artistico, Alessandro Benvenuti e del direttore organizzativo, Filippo d'Alessio. La giuria tecnica, scelta tra gli addetti ai lavori sia nel campo giornalistico, sia tra gli autori ed esperti della scena, selezionerà, tra il 17 giugno e il 1° luglio, uno spettacolo da inserire nel cartellone 2018/2019 di vari teatri distribuiti sul territorio romano: dal Teatro Tor Bella Monaca al Teatro Trastevere, dal Teatro Kopo' allo SpazioCasalorca, che offre uno spazio prove per la durata di 10 giorni. Al regista e drammaturgo Pietro Dattola, con le sue linee-guida da organizzatore teatrale, selezionerà una compagnia e/o un autore che accederanno a due sessioni gratuite di tutoring e mentoring teatrale, per assistenza nella regia o nella scrittura di un progetto. Si continua con il Teatrosophia, in via delle Vetrine a Roma, che selezionerà la compagnia a cui assegnare una residenza artistica per la prossima stagione. Un'altra vetrina viene offerta dal Teatrocittà, con la possibilità di entrare in cartellone per la stagione teatrale 2018/2019. La media partnership principale, con articoli, recensioni, interviste e contributo organizzativo, viene offerta da 'Periodico italiano magazine' e Laici.it, diretti da Vittorio Lussana, con l'apporto giornalistico già collaudato negli anni passati per altri festival teatrali. I redattori che contribuiscono alla costruzione dei prodotti editoriali e radiofonici fanno parte della squadra di giornalisti e collaboratori che desiderano proporre informazioni professionali, libere dalle logiche di schieramento, in grado di diffondere degli spunti di analisi e conoscenza realmente utili al dibattito complessivo nell'opinione pubblica. Ma veniamo, ordunque, allo spettacolo del 20 giugno scorso, presentato sul palco del Teatro di Tor Bella Monaca: 'Niente Panico', di e con Luca Avagliano. Un monologo brioso e divertente, che ha per sottotitolo: "Vaneggiamenti di un patafisico involontario". Il buon Avagliano proviene dall'alta scuola di formazione attoriale dell'Accademia nazionale d'Arte drammatica 'Silvio D'Amico' di Roma, che gli ha permesso la conoscenza professionale di Paolo Rossi, Anna Marchesini, Danio Manfredini e tanti altri professionisti della scena. Artista poliedrico, Luca Avagliano si presenta al pubblico in pigiama e ciabatte, nell'intento di arpeggiare un 'chitarrino' in discordanza con il tecnico musicale. Il giovane attore prosegue catturando l'attenzione con riflessioni 'amletiche', nel rimpianto surreale e divertente di Mirella, sua fidanzatina e 'convivente', che lo ha messo alla porta per incapacità di relazionarsi con la quotidianità. Il susseguirsi di voci, riflessioni e confessioni alla ricerca di come sia arrivato ad avere paura di tutto e tutti, vanno in dissolvenza con le 'inutili' sedute psico-analitiche, condotte da un distratto analista esclusivamente intento a posizionare le sue lauree, incorniciate nel giusto modo. C'è il rischio di cadere nel panico puro, se si ragiona su chi ci gestisce. La poesia, la politica, il catechismo con la regola del "non toccarsi" sono riflessioni in alternanza con la scienza e la saggezza popolare. Non ultima, la supposizione di vite aliene, da discutere nel sorseggiare un thè. Ambiguità varie, percepite da un pubblico scaltro, che hanno reso fresco e divertente uno spettacolo alla Woody Allen. Simpaticissimo. (Giuseppe Lorin)

I, Iago
Con 'I, Iago', di e con Andrei Zagorodnikov, la X edizione del Nops non poteva cominciare meglio. Una performance che ha saputo portare a sintesi la severità quasi marziale del teatro russo con la nostra commedia dell'arte. Niente di sperimentale, dunque, ma tante, tantissime idee. A cominciare da quella di rivisitare l'Otello di William Shakespeare evidenziano, finalmente, il punto di vista di Iago. Un personaggio che, in realtà, è l'unico a osservare le cose razionalmente, pur nella sua grandiosa malvagità. Il disegno di sostituire Cassio è certamente una forzatura: un'idea 'machiavellica', tanto per intenderci. Ma egli è anche l'unico personaggio a muoversi con piena conoscenza antropologica dei personaggi che cerca di manovrare, o manipolare. I comportamenti di tutti gli altri personaggi sono istintivi e irrazionali, a cominciare dal 'Moro di Venezia'. Invece, Iago è un regista: è l'occhio che osserva tutti quanti, cercando di trarre vantaggio dalla propria posizione e intelligenza. E così scopriamo che anche i 'cattivi', quando sono realmente tali, hanno una loro identità: sono gli stupidi, quelli realmente pericolosi. Iago ha un disegno, una propria visione delle cose. Tutti gli altri sprofondano nella 'piattezza' logica più assoluta. Andrei Zagorodnikov in scena fa il 'diavolo a 4', proponendo tutti i personaggi della tragedia 'shakespeariana': con un semplice velo nero, egli si trasforma in Otello; con quello bianco, si trasforma in una Desdemona un po' 'gatta morta' e così via. Una messa in scena intelligente, arricchita da musiche 'heavy metal' che hanno attualizzato la vicenda e la questione in essa sottesa. Un buon lavoro, insomma, in cui il tentativo di fondere letteratura inglese, scuola teatrale russa e commedia dell'arte italiana ci è apparso pienamente riuscito. Ingegnoso. (Lorenza Morello)


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