Sul palco del Teatro Argentina è andato in scena, dal 5 al 17 novembre scorso, l’opera massima di Primo Levi, per la regia di Valter Malosti: una rappresentazione che cerca di fondere insieme arti visive, figurative e musicali
Le coincidenze delle programmazioni teatrali. La messa in scena di ‘Se questo è un uomo’, contemporanea alla polemica sulla Commissione parlamentare contro l’odio razziale voluta dalla senatrice Liliana Segre. Ripercorrere le pagine scritte da Primo Levi nel centenario della sua nascita assume un significato anche più forte, considerando la linea dura che stanno tenendo i ‘revisionisti’, i ‘negazionisti’ e gli ‘odiatori’ in generale. Sembra sia la prima volta che ‘Se questo è un uomo’ trovi posti su un palco, privo di ogni adattamento al mezzo scenico. Valter Malosti e Domenico Scarpa hanno condensato il drammatico romanzo del chimico torinese. Su un’installazione che sintetizza le mura domestiche con il lager, è piuttosto l’apporto musicale, insieme a quello di arti visive, a sostenere la struggente lirica del copione. Lo spazio scenico si ritaglia grazie a un disegno luci, che dà movimento a un monologo di quasi 120 minuti. A variegare la narrazione, gli stralci di copione scelti sono musicati nello stile dei madrigali seicenteschi, a 'cappella', eseguiti dall’Erato Choir e composti da Carlo Boccadoro. Le quattro voci, due maschili e due femminili, s’infilano violentemente sottopelle, ma con la lentezza causata dalla sofficità della neve, proiettata sullo sfondo scuro. E la consistenza degli acuti dei soprani sortisce l’effetto del gesso che graffia la nera ardesia di una lavagna, evocando il dolore attraverso frequenze non umane. La musica si scioglie in un impasto elettronico, frutto del lavoro del progetto Gup Alcaro. L’architettura sonora sfuma anche nel folk e nell’epico, evocando la composizione di Howard Shore, autore della colonna sonora della trasposizione cinematografica del best seller di Tolkien. Da una musicalità così complessa sono derivate due presenze sceniche: Antonio Bertusi e Camilla Sandri si muovono tra la ‘mimica’ e la danza, evocati come sogni dalla voce narrante. Insomma, attraverso l’opera che più di ogni altra costituisce la memoria storica e civica del dopoguerra, Valter Malosti riesce a concepire il teatro come un luogo totale, in cui fa convergere tutte le forme artistiche. Ma ci sono dei limiti, risultati invalicabili anche per un regista che si è dimostrato valente nella concertazione di un progetto sincretico dal punto di vista artistico. Sebbene il romanzo riesca a inserirsi nelle tessiture ritmiche delineate dalla colonna sonora e negli spazi disegnati dalle luci, non sempre siamo rimasti soddisfatti dalla recitazione del regista. La sceneggiatura, stratificata su diversi livelli di profondità, si assimila maggiormente a un reading monocorde. Se non è sufficiente a scalfire la validità artistica del romanzo di Primo Levi, non si spiega cosa possa restituire in più rispetto alla lettura privata.
QUI SOPRA: VALTER MALOSTI E ANTONIO BERTUSI IN SCENA
AL CENTRO: LA PERFORMER CAMILLA SANDRI
IN ALTO A DESTRA: LA LOCANDINA DELLO SPETTACOLO
LE FOTO UTILIZZATE NEL PRESENTE SERVIZIO SONO STATE SCATTATE DA TOMMASO LE PERA
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