Un monologo leggero e spiritoso, che riabilita gli aspetti più delicati della femminilità, smontandone l’impalcatura edonistica: questo il merito dello spettacolo di Silvia Grassi, andato in scena di recente al nuovo spazio ‘Teatro Città’, inaugurato presso il quartiere romano di Torrespaccata
Questa settimana ci occupiamo, con estremo piacere, dello spettacolo ‘Specchio delle mie brame’, un testo dell’attrice e cantante Silvia Grassi andato in scena nei giorni scorsi al nuovo spazio ‘Teatro Città’, da pochi mesi inaugurato presso le ‘Piscine’ di Torrespaccata in Roma. Ovviamente, si tratta del classico punto di vista femminile in merito alle molteplici ‘atrocità’ dei moderni rapporti di coppia, in cui l’uomo tende a imporre una sorta di ‘decalogo’, o una ‘summa’ di regole, tanto assurde quanto egoistiche. Ed ecco, dunque, la ‘gradevole ribellione’ di quest’artista, la Grassi, che si sente ‘inscatolata’ all’interno di un ‘gioco di ruoli’ ormai completamente superato dalla Storia. Con lucida rabbia, l’attrice inizia a rovistare e a ‘smontare’ le numerose ‘categorizzazioni pseudo-culturali’ dettate da modelli e imposizioni comportamentali ormai stantìe, che sanno letteralmente di ‘muffa’. Come, per esempio, la figura di Biancaneve, che nel corso della distruzione del noto ‘complesso di Cenerentola’ viene descritta come una ‘gatta morta’ che si mette a lavare e stirare per i 7 nani senza farsi pagare, senza contributi e senza uno ‘straccio’ di contratto di lavoro. In questo passaggio avviene il ‘ribaltamento logico’ più interessante dello spettacolo. Biancaneve, alla fine, è una ‘povera scema’, mentre la ‘grandiosa malvagità’ della ‘strega cattiva’ finisce con l’essere in parte riabilitata in quanto esempio di donna dotata di una 'testa pensante': la Grassi ha colpito nel ‘segno’. Il suo monologo diviene, dunque, una sorta di ‘sfogo’, che tuttavia riesce a mantenersi su un versante di 'spiritosa leggerezza’, rifuggendo prese di posizione forzate o puramente ideologiche. Il codice di decodificazione maschile si è ormai talmente ‘ristretto’ da pretendere di inserire all’interno di un ‘angusto binario’ tutte le svariate e molteplici tipologie di donne, in uno sforzo omologativo dall’evidente discendenza autoritaria. E’ vero: qualche ‘nostalgia’, qua e là, compare. Ma viene esorcizzata attraverso alcune canzoni che la Grassi interpreta magnificamente, scoprendo tutte le ‘carte’ del proprio talento artistico. La Grassi, infatti, ci ha letteralmente sorpreso, dimostrando di essere una ‘voce’ interessante, che s’inserisce a pieno titolo nella cultura popolare ‘romanesca’, o romana che dir si voglia. Lei stessa, alla fine, emerge come la più classica delle donne di Roma: simpatica, intelligente, passionale, con due ‘gemme’ al posto degli occhi e la più ‘stuzzicante’ delle sensualità. Ma tali qualità, la Grassi riesce a valorizzarle al fine di comunicare un disagio per l’incompresa - e spesso fraintesa - sensibilità femminile, con le sue ‘vezzosità’ e i suoi naturali richiami a valori e princìpi da difendere a tutti i costi, di fronte a un estetismo edonista che propone modelli artefatti di perfezione: vuote forme di idealizzazione della bellezza, che ‘riducono’ le donne solamente a uno ‘scopo’ preciso. L’equazione di giudizio del ‘gallismo’ maschile è ormai tenuta a cambiare e ad abbandonare alcune stucchevoli ‘fissità generaliste’, poiché lampante è divenuta la necessità, persino ‘democratica’ se vogliamo, di accettare alcuni nuovi principi della modernità: la diversità; la singola originalità e personalità di ogni donna; un opportuno sforzo di distinzione tra le molteplici identità femminili. Una questione niente affatto marginale. E non soltanto sotto il ‘profilo’ sociale.
Salva