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24 Novembre 2024

Terapia di gruppo

di Vittorio Lussana
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Terapia di gruppo

Chiara Becchimanzi abbatte letteralmente la ‘quarta parete’ e trasforma il proprio spettacolo in una vera e propria seduta terapeutica collettiva: un flusso di coscienza all’interno di un dialogo aperto con le persone, che rende ogni replica un qualcosa di diverso, autentico e originale

Non è semplice parlare di Chiara Becchimanzi e del suo ‘Terapia di gruppo’, andato in scena nei giorni scorsi al Teatro de’ Servi in Roma. Corriamo il rischio di proporre il ‘santino’ di una ragazza e un’amica simpaticissima. Una forza della natura, che oggi diverte il suo pubblico così come, in passato, divertiva i suoi amici e compagni di scuola. Perché il primo punto che colpisce del suo spettacolo è questo suo rapporto con il pubblico: la Becchimanzi, infatti, abbatte letteralmente la ‘quarta parete’ e trasforma la serata in una vera ‘terapia di gruppo’. Un flusso di coscienza, all’interno di un dialogo aperto con le persone. Ed ecco perché ogni suo spettacolo è sempre diverso. Tanto che varrebbe la pena di acquistare più biglietti, per poter assistere a ogni sua singola serata di replica, che si trasforma in uno spettacolo sempre nuovo, che prende sempre una ‘piega’ ben distinta. Il secondo punto a suo favore è il fatto che la Becchimanzi non è per nulla abituata a considerarsi ‘bella’. Perché lei non lo era, da ragazzina, mentre oggi lo è diventata. Forse, era solamente una sorta di ‘strano bozzolo’, che ha poi dato vita a una ‘splendida farfalla’ con gli occhi color ‘verde-cedro’. Occhi di un colore particolare, sopra a un ‘nasino’ ancor più particolare, che le dona un fascino assolutamente peculiare. “Ha il pregio di non ‘tirarsela’, come certe ‘svampite’ dei Parioli…”, commenta qualcuno in sala. Ma se anche fosse stata dei quartieri ‘alti’ e non di Ostia, possiamo garantire che, nel caso di Chiara Becchimanzi, non ci avremmo neanche fatto ‘caso’ più di tanto. Perché è la simpatia, l’intelligenza, il talento autentico ciò che la connota veramente. E’ la sua energia, ciò che colpisce. Come la sera in cui mi inseguì per tutta Villa Ada Savoia, pur di avere la ‘mia’ recensione di ‘Principesse e sfumature’: uno spettacolo che ha avuto il coraggio di proporre una nuova forma di ‘psicologia sociale’, svelando banalità e luoghi comuni. Una performance premiata, non certo a caso, dall’Ordine nazionale degli psicologi. Quel suo inseguimento notturno non era nei confronti di un giornalista, ma la ricerca di un amico. Era il suo modo di dirmi: “Io credo nelle mie idee, perché da ragazzo ci credevi anche tu. E tu, stasera, devi venire a vedermi perché sei dei ‘nostri’, uno di noi: lo sappiamo da sempre…”. Ovvero, io ero uno che apparteneva alla sua ‘gens’. Che è poi quella degli ‘impegnati’, i quali cercano di svolgere la propria professione per gli altri: lei per il suo pubblico, noi per i lettori. E aveva pienamente ragione la Becchimanzi, quella sera: noi condividiamo la stessa ‘etica’. E il ‘flusso di coscienza’ che riesce a generare nei suoi spettacoli, fondamentalmente è ‘spontaneismo sociale’, quella che GChiara_Becchimanzi_masturbazione.jpgiuseppe Mazzini, una volta, definì: “Vox populi, vox dei”. Un ateismo che diviene fede autentica nell’umanità e nelle persone, criticando uno sviluppo contrattualista che mercifica persino i rapporti umani. Nella vita si vivono amicizie, affetti e amori solo perché si è accomunati da un interesse comune, come quello di riuscire ad arrivare in fondo a qualcosa: terminare il liceo, gli esami universitari, la fine del servizio militare di leva. Fuori da quell’interesse, giunti alla fine di quel ciclo temporale, le amicizie finiscono e i rapporti d’amore s’interrompono. “E’ normale”, spiega sempre qualcuno, quando ancora stai cercando di capire che senso abbia tutto questo. Ma io e la Chiara Becchimanzi siamo tra i pochi che non si arrendono di fronte a una normalità così superficiale. Noi eravamo quelli che “dicevano sempre 'cavolate', elucubravano in continuazione: dei creativi…”. Ma ciò accadeva perché non ci piaceva affatto quella consueta ‘aria fritta’, che ripete ad libitum la ‘battuta del momento’. Nel nostro linguaggio, noi abbiamo sempre cercato un senso, un significato profondo: una verità. E la Becchimanzi, ad alcune di queste verità ci arriva eccome, anche se scomode. Come quella del giovane ‘maschio’ che va ‘in fissa’ per il sesso orale, senza però contraccambiare quello stesso atto con la propria fidanzatina. Ci sono ragazze che scoprono tardi il sesso, poiché a lungo impaurite e inibite. Ma qualcosa del genere succede anche ai 'maschietti', che vedono il sesso orale femminile o la loro stessa masturbazione come una sorta di tabù. E’ anche vero che in seguito, quando si impara, si prende anche ‘gusto’, perché finalmente ci si sente sbloccati e si comprende la bellezza di quell’atto di generosità amorosa, di altruismo. E magari capita anche di incontrare, in seguito, uno come Vittorio Sgarbi, che arriva a teorizzare esteticamente il “sesso orale reciproco in quanto forma di svago amicale”, strappandolo da un alveo di intimità piccolo borghese, al fine di trasformarlo in un atto di vero e proprio ‘socialismo organico’. Ma scherzi a parte, tutto questo accade dopo, quando hai superato la fase dei tuoi ‘blocchi’ e ti sei tolto più di qualche ‘sfizio’. Invece, la Becchimanzi interviene quasi chirurgicamente proprio là dove qualcuno doveva intervenire: nel periodo di crescita e di maturazione giovanile. Ed ecco qual è il senso autentico di altri tipi di contenuti che questa attrice ci propone: lei è sempre la stessa, la ‘secchiona’ con l’apparecchio ai denti e gli occhialini sul naso, che cerca di capire cosa non funziona e perché ci fermiamo così a lungo sulla porta di un problema qualsiasi, senza trovare il coraggio di varcare quella soglia. Ed ecco il vero perché dei casi di ciclo mestruale ‘emorragico’; quello dei modelli imposti da una falsa letteratura erotica e, più in generale, da un certo tipo di cultura di massa; delle paure di svariato genere e tipo; del bullismo, del ‘machismo’ e tutte le altre stupidaggini attraverso le quali veniamo intrattenuti in tv; infine, la paura dei vaccini e persino le manifestazioni e gli scontri di piazza. Alla fine, ci si accorge che i suoi spettacoli non sono affatto sul confine tra il serio e il faceto, come domanda all’inizio dello spettacolo. Non è mero intrattenimento il suo, bensì ‘pensiero pensante’, niente affatto banale. Un ragionamento ben strutturato, all’interno del quale si potrebbe perfino sperimentare qualche ‘innesto’ di spessore artistico ancora maggiore. E’ un’attrice vera, Chiara Becchimanzi, che merita di provare anche cose più ‘alte’ in futuro, se avrà la fortuna d’incontrare una nuova generazione di produttori teatrali con la voglia di tornare a lavorare sul serio. Perché la domanda che ti gira per la testa, alla fine del suo spettacolo, è proprio questa: siamo sicuri che l’attuale successo del genere ‘stand up comedy’ non derivi dal fatto che non ci sono più le ‘compagnie di giro’? Che nessuno abbia più il ‘fegato’ per provare a rilanciare le professioni artistiche come quella dell’attore, del regista teatrale o anche del semplice operatore culturale? Siamo sicuri che tutti i ‘grandi’ che ci hanno lasciato negli ultimi anni, da Ronconi a Proietti, da Fiorentini a Scaccia, da Tognazzi alla Melato, in realtà non abbiano lasciato nient’altro che un vuoto privo di eredi? Siamo certi che la Becchimanzi e le altre che stanno animando lachiara_in_scena_Jo_Fenz_3.jpg ‘piazza’, come la Cristiana Vaccaro o la stessa Caroline Pagani, non debbano fare tutto da sole perché non c’è quasi più nessuno in grado di stipendiare un’intera compagnia, composta da almeno una decina di attori in scena? Siamo proprio convinti che, soprattutto nel mondo teatrale, non si stia per “gettare l’acqua sporca con tutto il bambino”? Sono queste le domande che rimangono, alla fine di uno spettacolo ‘intelligentemente sociale’ come ‘Terapia di gruppo’. A riprova di essersi trovati di fronte a un impegno sentito con tutto il cuore, a un amore sincero verso il proprio lavoro. Insomma, innanzi a un’attrice vera, che andrebbe sospinta e aiutata ad affermarsi insieme a una nuova generazione di talenti. Dopo un pandemia planetaria come quella che abbiamo attraversato, non sarebbe il caso che qualcuno cominciasse a dare risposte? E la smettesse di considerare il teatro come un luogo popolato unicamente da personaggi “che ci fanno tanto divertire…”?
“Per brevità chiamato artista”, disse una sera Francesco De Gregori, rimanendo di stucco per come certe categorie di lavoratori dello spettacolo vengono trattati in questo Paese, rimasto fermo, anche nella propria visione delle élites, a schematismi puramente ottocenteschi. E’ questo il vero ‘dottrinarismo’, la vera ideologia. E nient’altro che questa.

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GLI 'SCATTI' UTILIZZATI NEL PRESENTE SERVIZIO SONO DEL FOTOGRAFO, JO FENZ


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