In alcune circostanze, quando l’allettamento al seno risulta impossibile, è necessario ricorrere al tanto demonizzato e vendutissimo latte artificiale e ai cosiddetti alimenti Adap. Per proteggere i consumatori e aiutare i genitori ad assumere decisioni informate e indipendenti da interessi commerciali, il ministero della Salute ha pubblicato le principali violazioni relative alla commercializzazione dei prodotti in questione, fornendo un decalogo di punti ‘sanzionabili’: vediamo quali
Allattare è bello, sano e giusto, ma anche faticoso, difficile, vincolante. E non sempre le mamme possono, vogliono o riescono a farcela. Così, in media, allo scadere del terzo mese dalla nascita di un figlio, l’ormai demonizzato e ricercatissimo latte artificiale compare nella gran parte delle mura domestiche. Sul fronte medico, tuttavia, l’allattamento al seno viene considerato una vero e proprio salvavita. È ormai scientificamente provato come esso risulti ‘prezioso’ per creare gli anticorpi nei bambini, sia per le sue specifiche proprietà nutritive ma soprattutto perché ‘materia viva’ e incomparabile rispetto a un prodotto artificiale. Diversi studi, inoltre, dimostrano come l'allattamento riduca nel bambino le possibilità di contrarre diverse patologie, tra le quali la malattia di Crohn, il diabete mellito di tipo 2 e l'atopia. L’allattamento naturale, peraltro, aumenterebbe la sintesi di fattori di crescita, le facoltà cognitive, rinforzerebbe il sistema immunitario, aumenterebbe l'altezza e diminuirebbe la massa grassa: i bambini allattati naturalmente in età adulta sembrerebbero essere più alti e magri di quelli che hanno usato preparati commerciali, privi di fattori di crescita. I pediatri – senza voler ‘demonizzare’ le donne che non possono allattare in modo naturale o che, semplicemente, scelgono di non farlo –sostengono come occorra facilitare in ogni modo e il più a lungo possibile la nutrizione dei bambini mediante il latte materno. E se le recenti statistiche ci dicono che nel nostro Paese la situazione sta pian piano migliorando, rimane il dato che, ad oggi, soltanto il 10% circa delle mamme italiane arriva ai sei mesi del bambino nutrendolo esclusivamente con il proprio latte. Un fenomeno che, stando a recenti studi di settore, interesserebbe anche altri paesi del mondo. In Francia, ad esempio, soltanto il 23% delle mamme va oltre i tre mesi, mentre in Spagna il 35%, negli Stati Uniti e nei Paesi Bassi il 33%. Ad eccezione della Finlandia, dove l’80% dei bebè viene allevato con latte materno per oltre sei mesi.
L’allattamento in Italia
Le mamme italiane – si diceva – allattano troppo poco. Dati alla mano, se nei primi giorni di vita 9 bambini su 10 assumono il latte materno, a 4 mesi il numero scende a 3. E a 6 mesi – tempo minimo raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) – sprofonda addirittura a 1. Per questo motivo, un tavolo tecnico del Ministero della Salute si è messo a lavoro per diffondere il più possibile il processo dell’allattamento. E ha prodotto delle nuove linee guida sull’argomento: un plico di 49 pagine ma, soprattutto, un importante orientamento per le giovani mamme.
Gli ADAP : alimenti prima infanzia
In alcune circostanze, tuttavia, l’allettamento al seno è assolutamente sconsigliato: in particolare, quando sussiste il pericolo di trasmissione di virus altamente pericolosi (come l’HIV o la tubercolosi), oppure nel caso in cui la mamma abusi di alcool o, ancora, sia costretta ad assumere farmaci pericolosi per il bimbo. Risulta, quindi, fondamentale normalizzare e regolarizzare la somministrazione di nutrimenti artificiali, i cosiddetti ADAP, ovvero gli alimenti della prima infanzia, prodotti espressamente destinati ai lattanti (di età inferiore ai 12 mesi) e ai bambini fino a tre anni di età. Secondo la più recente normativa, per la fabbricazione delle formule per lattanti e di proseguimento (destinati ai bambini dai 12 mesi ai 3 anni di età) possono essere utilizzate unicamente le sostanze elencate nel decreto del 9 aprile 2009 n. 82 - allegato III, che attualizza la direttiva 2006/141/CE per la Comunità europea e l’esportazione presso Paesi terzi. Tali formule devono necessariamente soddisfare i requisiti relativi alle sostanze minerali, alle vitamine, agli aminoacidi ed altri composti azotati e alle altre sostanze con un particolare scopo nutritivo ritenuti necessari per il corretto sviluppo della crescita del bambino. Per evitare, però, qualsiasi rischio di confusione, le formule devono essere etichettate seguendo specifiche prescrizioni e devono, inoltre, consentire al consumatore di distinguere chiaramente un prodotto dall’altro. Proprio per questo motivo, la pubblicità degli alimenti per lattanti è consentita solamente rispettando determinati criteri, in particolare sulle pubblicazioni scientifiche specializzate in puericultura destinate a professionisti dell’ambito pediatrico e nutrizionale.
Il Codice Internazionale sulla Commercializzazione dei Sostituti del Latte Materno e il D.M. 82/2009
Con l’obiettivo di tutelare, a livello nazionale e internazionale, l’allattamento al seno, e contribuire alla diffusione di una migliore alimentazione e nutrizione dei bambini, negli anni si è venuta definendo una specifica normativa in materia: il ‘Codice Internazionale sulla Commercializzazione dei Sostituti del Latte Materno’, elaborato dall’OMS tra il 1979 e il 1981, con la collaborazione di altre agenzie – come UNICEF e ONU – e di altri esperti. In seguito, i principi espressi nel Codice sono stati ripresi all’interno della ‘Convenzione sui Diritti del Bambino’, firmata nel 1989 da quasi tutti i capi di Stato del mondo, compreso il nostro. Il Codice, in realtà, non ostacola la produzione, la vendita e l’uso dei prodotti che copre, ma ne limita solamente il marketing, per proteggere i consumatori e aiutare i genitori ad assumere decisioni informate e indipendenti da interessi commerciali. In altre parole, stabilisce che tra il latte materno e i suoi sostituiti non debba sussistere alcuna concorrenza. Semmai, quest’ultima dovrà interessare solo i produttori, sebbene la storia ci confermi che, quando la mercatistica si incontra con il pubblico direttamente o indirettamente attraverso gli operatori sanitari, il latte materno risulta sempre e comunque penalizzato rispetto al prodotto artificiale.
La violazione delle norme per la commercializzazione degli alimenti per i lattanti
Di recente, il Tavolo Tecnico Operativo Interdisciplinare per la Promozione dell’Allattamento Materno, per favorire la corretta applicazione del D.M. 82/2009 – che, ricordiamo, regolamenta l’attuazione della direttiva 2006/141/CE per la parte riguardante gli alimenti per lattanti e gli alimenti di proseguimento destinati alla Comunità europea e all’esportazione presso Paesi terzi – ha ritenuto opportuno sintetizzare le informazioni utili sulla procedura sanzionatoria, pubblicata lo scorso 15 settembre sul sito web dal Ministero della Salute. Informazioni che devono necessariamente essere diffuse a tutti i cittadini per facilitare le segnalazioni individuali e sensibilizzare le donne sull’argomento, nonché per proteggere il consumatore da eventuali frodi. Il tavolo tecnico, in particolare, ha ricordato le principali violazioni relative alla commercializzazione del latte di tipo 1 (per neonati dalla nascita ai quattro-sei mesi), fornendo un decalogo di punti ‘sanzionabili’, che sono i seguenti:
1. le pubblicità di qualsiasi tipo o altri incentivi volti ad aumentare le vendite dei prodotti (art. 10.1);
2. la consegna alle donne di campioni del prodotto o omaggi (art. 12.1);
3. gli sconti e le offerte speciali in farmacie, negozi, supermercati e internet (art. 12.1);
4. le immagini di lattanti o le parole che inducano a idealizzare l’uso del prodotto (art. 9, 9.8, 9.10 e 9.11);
5. la mancanza, sulle etichette, delle diciture obbligatorie (art.9.3 a, c, d, e; art. 9.9);
6. le etichette non facilmente distinguibili tra alimenti per lattanti e di proseguimento (art. 9.12);
7. l’acquisto del latte da parte delle aziende sanitarie in condizioni di scorrettezza e non trasparenza (art. 12.6);
8. le donazioni e gli acquisti a prezzi promozionali per la distribuzione al di fuori delle strutture e per un uso non conforme alle indicazioni (art. 12.5);
9. lo spazio predefinito, all’interno delle lettere di dimissioni dal reparto maternità, per le prescrizioni dei sostituti del latte materno (art. 14.1e);
10. la pubblicità in qualunque forma negli ospedali, consultori familiari, asili nido, studi medici (art.10.1) o pubblicità idealizzanti l’alimentazione artificiale su pubblicazioni scientifiche specializzate (art.10.2) o su materiale informativo destinato agli operatori sanitari (art. 16);
11. la consegna alle madri o future madri di campioni di latte 1 o altri omaggi di alimenti per lattanti (art. 12.2);
12. la sponsorizzazioni a corsi, congressi, ricerche al di fuori di quanto stabilito dal decreto (art. 13 ).
Cosa, come, quando e a chi effettuare una segnalazione
All’interno del testo pubblicato dal Ministero della salute è inoltre possibile trarre informazioni sulle modalità di segnalazione. Per esempio, su chi abbia la facoltà di segnalare eventuali anomalie rispetto alla legge di riferimento: ovvero ogni singolo cittadino, che può intervenire sia individualmente, sia attraverso associazioni o gruppi professionali. In particolare si appende come, per la segnalazione effettuata dal cittadino, non servano particolari intestazioni, ma la semplice descrizione della violazione. A chi deve essere inoltrata la segnalazione? Al Dipartimento di Prevenzione – Servizio di Igiene degli Alimenti e Nutrizione (SIAN) – che prima di procedere verificherà l’appropriatezza della denuncia e la titolarità della violazione, eventualmente coinvolgendo il NAS. In ambito pubblicitario, possono tuttavia verificarsi violazioni di particolare rilievo, per le quali andrà effettuata una specifica segnalazione all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato o agli Uffici centrali del ‘Ministero della Salute - Direzione Generale Igiene Sicurezza Alimenti e Nutrizione’, in diretto contatto con il Tavolo Tecnico.