Siamo vittime di troppi farmaci eppure ne abbiamo a disposizione meno di quanti ne occorrerebbero.
Questa è l'ironia del business farmaceutico e non riguarda solo quei casi di malattie rare e rarissime per le quali la casistica a livello mondiale è molto bassa. Questa volta il grido d'allarme riguarda anche quelle malattie che si manifestano con i sintomi di una semplice influenza ma risultano poi essere il risultato dell'evoluzione di un germe, divenuto resistente a qualsiasi antibiotico. È la natura: i batteri mutano 'difendendosi' dagli attacchi esterni ovvero le medicine. Così ogni anno si registrano 40mila morti negli Stati Uniti e oltre 10mila in Europa. Questo perché non disponiamo di antibiotici nuovi e poiché le case farmaceutiche investono molto poco nella ricerca scientifica (su 15 grandi compagnie solo 5 se ne occupano).
D'altronde di infezione o si guarisce o si muore, quindi il paziente ha bisogno del farmaco per poco tempo. Niente a che vedere con la remuneratività dei farmaci che si utilizzano tutta la vita per patologie tipo il colesterolo o la pressione sanguigna.
Già qualche anno fa il microbiologo Joshua Lederberg (Nobel nel '59) aveva predetto che nella lotta fra l'uomo e i batteri avrebbero vinto questi ultimi. Ma se negli anni '89 gli stafilococchi resistenti – i Mresa, batteri che combinati con un gene che vive sulla cute degli animali bloccano l'attacco della meticillina – erano molto pochi, cica l'1-2% oggi non è più così. Questa tipologia di stafilococco circola negli ospedali registrando percentuali del 70% e ha cominciato a resistere anche alla vancomicina (l'ultima spiaggia quando fallisce la meticillina). Il problema, inoltre, si è esteso anche ai germi conosciuti come gran negativi che possono resistere a qualsiasi tipo di antibiotico. Ed ecco come una società che si considera evoluta e tecnologicamente avanzata scopre, in fin dei conti, di non esserlo per niente!