L’ictus è la terza causa di morte dopo le malattie cardiache e i tumori. Secondo i dati più recenti, è considerato responsabile di più morti ogni anno di quelli attribuiti all’AIDS, tubercolosi e malaria messi insieme.
Se si guarda ai soli dati italiani, emerge che l’ictus è responsabile del 10-12 per cento di tutti i decessi per anno, con oltre 200mila casi di ictus ogni anno e ben 930mila sono gli italiani che ne portano le conseguenze.
Infatti dopo un ictus il 15% dei pazienti rimangono gravemente invalidi mentre il 40% rimane solo lievemente menomato dalla malattia. Due terzi dei casi si verificano sopra i 65 anni, ma possono essere colpite anche persone giovani. I sintomi sono dovuti alla perdita transitoria o permanente di determinate funzioni cerebrali e dipendono dalla localizzazione del danneggiamento strutturale all'interno del sistema nervoso centrale, causato da una riduzione del flusso sanguigno (ischemia, infarto, 90% dei casi) o dalla rottura di un vaso sanguigno (emorragia,10% dei casi).
Una caratteristica importante di tutti i sintomi da ictus acuto è la loro manifestazione improvvisa. Sebbene le possibilità di intervento acuto una volta che si è manifestato l'ictus sono limitate, le possibilità di prevenzione (oppure la prevenzione di un secondo ictus una volta che sia avvenuto il primo) sono notevoli.
Eppure in Italia, per questa patologia che nei paesi industrializzati registra numeri in aumento impressionanti, questa possibilità viene poco sfruttata.
È quanto emerge dall’indagine è presentata dalla Federazione A.L.I.Ce Italia Onlus in occasione della Giornata mondiale contro l’ictus (29 ottobre 2011)
Le proiezioni fino al 2016 rilevano che, nel nostro Paese, ci sarà un aumento dei casi di circa il 22.2%. Tale incremento in parte è dovuto al progressivo invecchiamento della popolazione, ma se è vero che i rischi aumentano con l’avanzare dell’età, è errato ritenere l’ictus soltanto una malattia dell’anziano, perché l’incidenza negli 85enni e oltre è fra il 20 e il 35%, mentre circa 10mila casi, ogni anno, riguardano soggetti con età inferiore ai 54 anni.
Secondo quanto esposto da Paolo Binelli, presidente di A.L.I.Ce. Italia Onlus, "Nel nostro Paese non si fa prevenzione e soltanto il 40% delle persone colpite da ictus arriva in ospedale entro le prime 3-4 ore. Una volta dimessi dall’ospedale i pazienti non sanno cosa fare, perché non esiste un percorso di riabilitazione continuativo. La problematica dell’ictus merita di essere affrontata con più attenzione’‘.
Eppure, secondo i medici, con la diagnosi precoce e una costante prevenzione si possono evitare ben 3 ictus su 4.
Secondo gli esperti, le linee guida per intervenire sul problema sono la riduzione dei fattori di rischio quali l’ipercolesterolemia, l’ipertensione e il fumo e un pronto intervento nella fase acuta per ridurre sia la mortalità che le conseguenze invalidanti. Un'azione che dovrebbe partire dal territorio con la creazione di una rete di stroke unit, ovvero aree assistenziali poste negli ospedali che trattano i pazienti con ictus dove convivono e cooperano le diverse competenze quali neurologo, il neuroradiologo, il neurochirurgo, l’esperto di riabilitazione neurologica e consentono di affrontare nel modo migliore le prime fasi.
Le Stroke unit prevedono tre livelli operativi nei quali la presenza del neurologo è essenziale. Il primo livello deve far fronte alla stragrande maggioranza degli eventi ictali che non giungono in ospedale per trattamenti specifici. Il secondo e terzo livello devono essere creati nei reparti di Neurologia. Purtroppo, secondo i dati di uno studio che ha indagato 677 ospedali nei quali vengono ricoverati almeno 50 pazienti con ictus all’anno, meno del 10% è dotato di stroke unit. Ciò conferma che nel nostro paese l'offerta assistenziale è ancora del tutto inadeguata.
Un'inefficienza che si ripercuote anche a livello economico, a quanto denuncia la Rice di A.L.I.Ce. Ammontano, infatti, a ben 30mila euro l’anno, in media, i costi per un paziente con disabilità grave per famiglia e collettività (escludendo i costi a carico del Ssn, pari a 3,5 miliardi totali l’anno), per un totale di 14 miliardi di euro. Di questi 14 miliardi il 26,2 per cento è rappresentato dalla riduzione di produttività per la perdita di lavoro dei pazienti e il 52,6 per cento dall’assistenza prestata dai caregiver. Ad assistere chi ha avuto un ictus sono soprattutto parenti prossimi: chi convive con il paziente (nel 66,2 per cento dei casi), o lo vede per 6,6 giorni a settimana, prestando mediamente 6,9 ore al giorno di assistenza diretta. Il 55,7 per cento dei caregiver (termine inglese che indica coloro che si occupano di offrire cure ed assistenza ad un'altra persona) ha dichiarato di non avere più tempo libero e nel 77,8% dei casi considerano peggiorata la qualità della loro vita, a causa dell’onere assistenziale. Il 72,1 per cento si sente stanco, e il 24,8 soffre di depressione.