Si avvale della robotica e garantisce maggior precisione negli interventi, possibilità di eseguirli a distanza, con eccellenti risultati nella remissione di molte malattie. Un comparto nel quale l’Italia è terza al mondo dopo Usa e Giappone
Si chiama “Da Vinci” ed è un robot chirurgo. L’Italia, con 66 esemplari presenti nei principali ospedali e con un numero di interventi nell’ordine delle migliaia all’anno, si piazza al terzo posto, dopo Usa e Giappone, nell’uso di questa avanzata tecnologia chirurgica.
Ma questo non vuol dire che ci sarà, nel prossimo futuro, un’esplosione di chirurghi disoccupati. Il robot non può eseguire autonomamente nessun tipo di intervento: è un’estensione del medico e un supporto nell’ambito della chirurgia mini-invasiva.
Una tecnica che, al momento, è riservata soltanto a pazienti ‘selezionati’ e, rispetto alla chirurgia video assistita tradizionale, presenta sostanziali differenze: il chirurgo è fisicamente distante dal campo operatorio. Siede ad una console dove, attraverso un monitor, segue l’intervento e guida il robot e i movimenti dei suoi quattro bracci meccanici (poco più di aghi, in realtà), ai quali sono fissati i ‘ferri’ chirurgici (bisturi, pinze, forbici, dissettori) che un’equipe medica provvederà prontamente a introdurre nella cavità sede dell’intervento, e una telecamera con due lenti. Il robot, quindi, da solo non può fare nulla: è il chirurgo che muove le sue mani come se stesse eseguendo un intervento a cielo aperto e il robot converte il segnale delle mani in un movimento millimetrico all’interno del corpo umano.
Utilizzato in particolare nella procedura di rimozione della prostata, nella sostituzione della valvola cardiaca e nelle procedure di chirurgia toracica e ginecologica, il sistema di chirurgia robotica è anche in fase di sperimentazione per la rimozione del tumore del fegato e del pancreas (procedura che richiede una grande precisione per via del gran numero di vasi sanguigni da maneggiare e alla localizzazione della procedura stessa).
L’impiego dei bracci robotici, infatti, consente al chirurgo di avere una visione tridimensionale e un’immagine più nitida e ferma. Ai fini dell’intervento, questo significa avere la possibilità di effettuare manovre più precise (viene ad essere quasi completamente eliminato il possibile tremore delle mani) e delicate. Questo tipo di tecnologia è in continua evoluzione, tanto che si ipotizza che l’impiego della chirurgia robotica, in futuro, consentirà di operare a distanza (guidando in remoto la macchina da una struttura al luogo nel quale si effettua 'realmente' l'operazione).
Ma la vera "sfida" da vincere, che poi è il deterrente che ne limita una più ampia diffusione, è legata soprattutto ai costi che riguardano sia i componenti (i bracci meccanici hanno una vita relativamente breve, non possono effettuare più di dieci interventi, e molti dei materiali che vengono utilizzati sono monouso e possono raggiungere il costo unitario di 1500 euro), sia la formazione di staff con competenze specifiche che si acquistano soltanto dopo un lungo e non semplicissimo percorso.
In Italia, nonostante la sua terza posizione, l’uso del chirurgo robot è circoscritto agli ospedali principali (a differenza degli Stati Uniti, dove la sanità è privata e i costi sono sostenuti dalle compagnie assicurative). Il nostro Sistema Sanitario Nazionale non prevede totale copertura dei costi, che devono essere affrontati dai pazienti stessi e dagli ospedali (tra questi il primato va al San Raffaele di Milano, con circa 400 interventi chirurgici robotici all’anno).