Riminese, nata nel 1979, è attrice teatrale, televisiva e cinematografica: ha studiato presso la scuola di mimo ‘Marcel Marceau’ e con Beatrice Bracco
Scoperta da Maurizio Costanzo nel 1994, che la volle nel suo celebre programma in qualità di opinionista, Rita Carlini venne presto notata dai fratelli Avati, con i quali ha lavorato in diverse pellicole tra cui ‘Il testimone dello sposo’; ‘Il cuore altrove’; ‘Il bambino cattivo’; ‘Il papà di Giovanna’; ‘Il cuore grande delle ragazze’. Tra i suoi lavori si possono annoverare la partecipazione alla serie ‘Don Matteo’ e al film ‘Faccia di Picasso’ di Massimo Ceccherini. In teatro, di rilevo è stata la sua collaborazione con Nino Frassica e Francesco Scali, nello spettacolo: ‘Il pianeta degli alberi di Natale’. Insomma, Rita Carlini è un personaggio vorticoso e dirompente, apprezzata interprete di ruoli brillanti e stralunati, ma caratterizzati da venature di malinconia. Recentemente, lo scorso 31 gennaio, ha preso parte al programma ‘90 Special’, condotto da Nicola Savino su Italia1, incentrato sulla storia del costume negli anni ‘90 del secolo scorso. Nella puntata, la terza della stagione, l’attrice romagnola è stata invitata in qualità di ospite ‘storico’ del ‘Maurizio Costanzo Show’. L’abbiamo incontrata per farci raccontare l’atmosfera che si respirava in un’Italia ormai lontana nel tempo.
Rita Carlini, come guarda, oggi, il suo periodo ‘storico’ al ‘Maurizio Costanzo show’?
“Ho partecipato al ‘Costanzo Show’ dal 1994 al 2000. Si può dire che da lì ho iniziato il mio percorso professionale nel mondo dello spettacolo. Ebbi l’occasione di partecipare al programma come opinionista comico-brillante e un po’ ‘naif’. Lì mi vide Pupi Avati, con il quale ho poi fatto otto film. Ho vissuto gli anni ’90 del secolo scorso con grande spensieratezza. Ero giovanissima e mi ritrovai catapultata a Roma dalla provincia riminese, dove vivevo una vita normalissima. E’ stato tutto molto frenetico e vorticoso: si registravano più puntate al giorno e, nei corridoi, c’era una bellissima atmosfera, creata dai tanti personaggi dello spettacolo presenti. Subito dopo, ho cominciato a lavorare nel cinema ne ‘Il testimone dello sposo’, del 1998. Quel periodo è stato, per me, come vivere in un luna park: tutto era nuovo. Per me, che ero una ragazzina, tali esperienze sono state come una ‘sbronza’ di champagne durante una festa di capodanno. E’ stato come un gioco. All’epoca, il passaggio televisivo aveva tutta un’altra valenza. Eravamo ancora agli albori di internet e apparire la televisione garantiva una visibilità maggiore. Consideriamo che il programma veniva ritrasmesso in replica il mattino dopo. E’ stato molto divertente e, dopo ogni mia apparizione, ricevevo molti inviti a partecipare alle serate in discoteca: un po’ quel che è accaduto, in seguito, ai partecipanti del ‘Grande fratello’ e degli altri ‘reality’. Ero tuttavia consapevole che il momento non sarebbe durato per sempre, non essendo reale. E avevo in mente sempre il cinema. Sul palco del ‘Parioli’ elaboravo storie personali che venivano fuori in chiave comica, a volte in maniera involontaria. Nacque così un personaggio che piacque al pubblico e che, ancora oggi, mi appartiene molto: appariscente e simpaticamente sensuale. Era una follìa giovanile, che si rispecchiava molto anche nel modo di vestire”.
Com’è cambiata la televisione, rispetto a quei tempi?
”Adesso c’è un’offerta quantitativamente più ampia, che accontenta tutti i gusti dello spettatore. C’è abbondanza, soprattutto se pensiamo, per esempio. alle nuove serie televisive basate sulla ‘transmedialità’: ogni prodotto ha un preciso ‘target’ di pubblico. Forse è vero che siamo al tramonto del ‘generalismo’, ma ci sono ancora personaggi di spessore, che sanno fare televisione con professionalità, mentre altri sono riusciti a imporre un’evoluzione positiva nel proprio modo di condurre una trasmissione televisiva. Oggi, la televisione è molto legata al mondo virtuale ed è scandita da un ritmo più frenetico, vorticoso. Ma ci sono professionisti, come Gigi Marzullo e lo stesso Maurizio Costanzo, che ‘tengono botta’, che continuano a lavorare seguendo il loro stile, pur annotando i cambiamenti del ‘medium’, spesso legati al momento attuale. Anche se, in verità, io adoro rivedere la televisione del passato, come il programma Rai ‘Techetechetè’ che, in estate, seguo con molta nostalgia”.
E’ nota la sua peculiarità da caratterista: come studia i suoi personaggi?
”Non so definirmi come attrice. Pupi Avati, per esempio, mi ha spesso assegnato ruoli brillanti e ironici, ma con venature malinconiche e, talvolta, anche un po’ cupe. Un ‘dualismo’ che, in fondo, rispecchia la mia personalità. Ma è anche vero che, nei diciotto film a cui ho preso parte, ho sempre interpretato ruoli molto diversi tra loro: dalla fattucchiera alla zitella, dalla donna ‘lasciva’ fino a personaggi più ‘dolci’ ed eterei. Quando leggo una sceneggiatura, cerco di creare nella mia testa un’idea del personaggio, anche se poi questa può essere lontana da quella del regista, il quale dirige e conosce il ‘taglio’ dei diversi ruoli. Ed è giusto che sia così: ognuno deve avere il proprio ruolo. Anzi, del cinema ho sempre apprezzato esattamente questo aspetto: il rapporto che si viene a creare tra l’attore e il regista. E lo scambio di idee che nasce dalla collaborazione con gli altri attori. Sono ricettiva rispetto alle direttive, ma al tempo stesso apprezzo la libertà che si respira sul set, nel rispetto dei diversi ruoli. Si genera uno scambio umano fortissimo, che risulta ‘ispirante’ ai fini della recitazione. Ho frequentato scuole di recitazione, ma attingo molto anche dalla cultura popolare e dalla vita. Osservo gli altri: il loro modo di muoversi, di guardare, di parlare e, persino, di respirare. Sono diventata una ‘ladra’ delle emozioni altrui. Sono curiosa e mi apro con le persone, che riempio sempre di domande sulla loro vita e sul loro passato. Sono riuscita a difendere questo mio interesse nei confronti dell’altro, inteso in senso sociologico. E ho saputo evitare di chiudermi in me stessa, o di pormi in maniera eccessivamente ‘autoreferenziale’. Mi è capitato di rappresentare personaggi molto lontani da me, ma a furia di lavorare ho appreso tantissimo dalle tante donne che ho dovuto interpretare. Certo, si possono leggere molti libri che illuminano sul passato, ma anche il vissuto fa ‘testo’. Un attore può nascere dalla scuola, ma anche dalla strada e dalla vita, parafrasando Pasolini”.
Vuol condividere un particolare ricordo della sua carriera d’attrice?
“Sono legata a tutti i personaggi che ho interpretato. Ho vissuto con fortissima emozione i primi ruoli, anche se piccoli. Non scorderò mai il primo giorno sul set: è come il primo bacio. Nacque lì il mio amore per il cinema: un’entità astratta che, tuttavia, vive come fosse una persona reale. Il mio primo ‘ciak’ fu ne ‘Il Testimone del sposo’, con Diego Abatantuono e Ines Sastre: una pellicola ‘nominata’ agli Oscar per i costumi. Interpretavo la sartina Zerri: un ruolo secondario, ma ben caratterizzato, con battute mirate. In seguito, è stato gratificante partecipare al film ‘Il cuore grande delle ragazze’, in cui ho avuto il ruolo di co-protagonista. Il film è stato presentato alla Festa del cinema di Roma e ritrovarmi sul ‘red carpet’ è stato, per me, come vivere un sogno. Dopo tanti anni di lavoro, mi ha fatto piacere ricevere il ritorno d’immagine che quel film mi ha donato. Ma ricordo con tanta emozione anche ‘Il papà di Giovanna’ e ‘Il cuore altrove’: il primo fu presentato a Venezia, il secondo a Cannes. Mi ha dato tantissimo anche il ruolo che ho recitato in una puntata della serie ‘Don Matteo’. E più di recente, mi sono anche cimentata nel format più moderno della ‘webserie’, partecipando a ‘Fatum’, di Christopher Armando Verrocchio”.
Lei ha lavorato anche in diversi ‘debutti’ di registi emergenti, come per esempio in ‘Bianco’ di Roberto Di Vito: può raccontarci qualcosa di queste esperienze?
”Nel partecipare alle ‘opere prime’ si vivono emozioni molto diverse, rispetto alle grande produzioni. Roberto Di Vito veniva da una lunga esperienza come regista di cortometraggi, grazie ai quali aveva vinto molti premi nei festival internazionali per il suo stile poetico, romantico e delicato. ‘Bianco’ era un film artigianale: eravamo tra amici e abbiamo lavorato tutti insieme, con fatica, ma con grande sintonia. Ma ho anche un bellissimo ricordo di maturazione personale, di ‘emersione’ da un periodo difficile, del lavoro svolto con Francesca Bertuzzi, apprezzata autrice di libri gialli, nel suo ‘Le streghe della luna’, finanziato dalla Regione Lazio e ospitato in diversi festival, come quelli di Capalbio, Roma e Venezia, nelle sessioni ‘opera prima’. Sono capitata in quella produzione in maniera del tutto casuale: era un periodo ‘buio’ per me, ma un giorno, mentre mi stavo recando a una mostra di costumi sulla via Ostiense, a Roma, lungo la strada ho notato l’annuncio per i provini e ho deciso di partecipare al casting. Sembravo un fantasma: mi hanno dato le battute da leggere e, visto lo stato emotivo in cui ero, mi venne fuori un’interpretazione a dir poco ‘inquietante’. Ebbene: si rivelò una performance ‘perfetta’ per il personaggio che poi mi è stato affidato. Per me, si trattò di una sorpresa inaspettata, che mi aiutò ad apprezzare l’imprevedibilità della vita, sgombrando molte ‘nubi’...”.
Può anticiparci qualcosa dei suoi progetti futuri?
”Sono in ‘ballo’ per una produzione televisiva: non ho ancora firmato, ma spero vada in porto. Il mio ‘sogno’, oggi, è quello di lavorare in contesti che mi portino a viaggiare”.
Il mondo dello spettacolo, in particolare quello americano, attualmente risulta sconvolto dallo scandalo delle ‘molestie’ ai danni di giovani e aspiranti attrici: qual è la sua opinione al riguardo?
”Il mondo dello spettacolo, per una ragazza agli inizi della carriera, può nascondere delle insidie, soprattutto quando si è giovani. C’è un confine sottile tra corteggiamento e molestia, così come tra seduzione e violenza. Dal punto di vista professionale, io ho avuto solamente esperienze positive. E anche quando ho ricevuto dei complimenti, sono sempre stati espressi con galanteria. Ben diverso è il discorso di chi subisce forme di violenza, anche solamente verbali. Io ho un carattere solare ed espansivo, che può essere frainteso, ma che in realtà mi protegge: i miei amici uomini con me ridono e scherzano, si divertono e non sempre si accorgono di essere ‘depistati’ dal pensare ad altro. Una donna ama piacere e l’uomo prova gusto nel corteggiarla, ma ovviamente c’è modo e modo di farlo. La donna deve imparare, in vari modi, a porre dei limiti: questo l’ho sempre creduto fermamente. Ma credo anche sia ormai necessaria una vera e propria educazione sentimentale, tanto per gli uomini, quanto per le donne, perché ciò potrebbe aiutarci tutti a comprendere meglio certe situazioni lì sul momento e non a distanza di anni. Io condanno totalmente la violenza sulle donne, senza ‘se’ e senza ‘ma’. E non mi riferisco solamente alla violenza fisica, ma anche a quella psicologica, come quella del ‘bullismo’ da ‘social’, in cui spesso si finisce con l’indurre una persona a compiere gesti estremi. Tuttavia, è anche importante imparare a conoscere se stessi e a non vivere il rapporto con l’altro come una competizione o, addirittura, una battaglia ideologica, spesso infantile o ‘sleale’, tra sessi. Molte persone, oggi, non sono preparate alla vita. E ciò accade per motivazioni totalmente opposte tra loro: da una parte, siamo ancora troppo ancorati ai nostri retaggi più incivili e arretrati; dall’altra, stiamo ormai assistendo al fallimento educativo delle generazioni adulte, che hanno protetto troppo a lungo i loro figli, mantenedoli sotto a una ‘campana di vetro’. Tutto questo ha generato una deriva di ‘eccessi opposti’ quasi incontrollabile. Invece, dobbiamo arrivare a un armistizio tra uomini e donne, per imparare ad amarci veramente”.
NELLA FOTO: RITA CARLINI (TERZA DA SINISTRA IN ROSSO) CON IL CAST DI PUPI AVATI