Italiani di seconda generazione, oriundi e italianizzati di origine straniera: una legislazione ancora monca, che lascia tutto come negli anni ‘30 del secolo scorso, dietro a una parvenza d’innovazione
Il mondo del calcio si atteggia, da alcuni anni, ad ambiente progressista, ma limiti e ossessioni nazionaliste restano in piedi, generando ingiustizie e fornendo un’idea ipocrita di apertura sociale. Vediamo come stanno messe effettivamente le cose, in questa sintetica scheda informativa.
Italiani, figli di stranieri
Molti giovani calciatori non possono indossare la maglia della Nazionale fino al compimento del diciottesimo anno di età, poiché sono italiani di seconda generazione: parlano italiano con accenti dialettali fortissimi (peraltro molto piacevoli), frequentano le scuole italiane, ma per il principio dello ius sanguinis (Legge n. 91 del 1992), in contrapposizione con lo ius soli, che in Italia non viene applicato, sono e restano, comunque, stranieri.
Oriundi, figli di immigrati italiani
Caso diverso quello dei giocatori oriundi, cioè figli di immigrati italiani. Nella nazionale maggiore, il tecnico Roberto Mancini (e altri prima di lui) ha potuto schierare calciatori come Jorginho, Emerson Palmieri, Toloi e, ora, Retegui: giocatori non sono sempre vissuti in Italia e che non sempre parlano correttamente la nostra lingua. Nonostante ciò, hanno goduto, storicamente, di maggiori possibilità degli atleti italiani di seconda generazione.
Lo ius soli sportivo solo per gli atleti: e gli altri cittadini?
Nel 2016, il Coni ufficializza la legge sullo ius soli sportivo. Questa dà la possibilità ai minori stranieri, regolarmente residenti in Italia, "almeno dal compimento del decimo anno di età" di essere tesserati presso le federazioni sportive "con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani". Attenzione, però: il tesseramento si riferisce alle società di calcio e non alle Nazionali. Questa legge dunque favorisce le società di calcio iscritte nelle varie categorie, che possono inserire i giovani talenti di seconda generazione nei vivai delle società, per farli crescere e, soprattutto, non occupare un posto da extracomunitario, ma vieta loro, come cittadini italiani, di far parte delle Nazionali, comprese quelle minori.
Chi sono i giocatori di origine straniera che giocano nell’Under 21?
Andiamo a vedere adesso chi sono i giocatori che, attualmente, giocano nella nazionale Under 21 che ha partecipato agli Europei in Georgia e Romania nel giugno scorso:
Destiny Udogie: nato a Verona, figlio di un nigeriano, attualmente gioca nel Tottenham Hotspur proveniente dalle giovanili del Verona e poi approdato in serie A all’Udinese. Con l'Under 21 ha segnato 8 reti;
Caleb Okoli: è nato a Vicenza, padre nigeriano, attualmente gioca in serie A, nell’Atalanta, ma il suo esordio fu nelle giovanili del Vicenza e con l’Under 21 ha segnato 1 rete;
Wilfried Gnonto: nato a Verbania, padre della Costa d'Avorio, attualmente gioca nel Leeds United (squadra che milita nella Championship, categoria inferiore rispetto alla Premier inglese) ed è proveniente dalle giovanili dell’Inter.
Se questi giocatori saranno veri e propri talenti, si vedrà in futuro. Vero è che il vivaio della Nazionale (dalle categorie più basse alla maggiore) dovrebbe poter contare su giovanissimi di qualsiasi età, per farli crescere e amalgamare con gli altri giocatori, italiani e non.
In Europa, invece…
Nelle altre nazioni europee, come Inghilterra, Francia, Germania, Belgio e Olanda, i giocatori di seconda generazione sono regolarmente convocati, perché le loro nazioni sono società multietniche (e perché non viene applicato esclusivamente lo ius sanguinis). Eppure, la percentuale degli italiani di padre straniero sono circa il 2,5% della popolazione italiana. Molti talenti, dunque, rischieranno di restare sconosciuti, oppure opteranno per le nazionalità di origine, come il Senegal, il Marocco o l'Albania. Speriamo in una legge più equa anche in Italia, che dia la possibilità ai giovani di rappresentare la propria nazione, quella per la quale batte il cuore. Non è forse questo lo spirito delle Nazionali?