Un salto nel vuoto, da 39.045 metri, per un volo di 9 minuti, di cui ben 4 in caduta libera, superando quasi subito il muro del suono. Con questa impresa estrema Felix Baumgartner ha tenuto con il fiato sospeso il mondo intero.
Il 14 ottobre il ‘base jumper’ austriaco Felix Baumgartner, si è lanciato da quota 39.068 metri di altitudine. Un’impresa che ha dell’incredibile, perché a quote così elevate, l’aria oppone una resistenza minima e l’accelerazione è impressionante. Si tratta del primo uomo che supera la barriera del suono senza alcun velivolo toccando i 1.137 km/h. L’ascensione di Baumgartner è avvenuta con un gigantesco pallone aerostatico al quale è stata attaccata una minuscola, piccola e ipertecnologica, capsula di vetroresina di 3,3 metri per 2,4. Un’operazione che ha richiesto due ore e 21 minuti (tempo durante il quale Felix ha combattuto la sua claustrofobia parlando ininterrottamente via radio con Joe Kittinger ex-colonnello dell'aeronautica statunitense). Una salita seguita, attraverso la televisione e you tube, da appassionati di tutto il mondo: 50 paesi collegati con 40 televisioni, 7.4 milioni di click sul web. Poi, mentre la telecamera riprendeva la Terra 40 chilometri più sotto, il salto di 9 minuti, di cui ben 4 in caduta libera. Secondo i piani Baumgartner sarebbe dovuto scendere in posizione delta, testa giù e braccia indietro, subito dopo aver lasciato la capsula. Invece La rotazione è arrivata così violenta che lui è rotolato a lungo, prima di riuscire a riacquistare il controllo della situazione. A 2mila metri l'apertura del paracadute e, 9 minuti e 3 secondi dopo il salto, i suoi piedi toccavano delicatamente il suolo. Per gli scienziati coinvolti nel progetto, non si è trattato solo di infrangere record. L'impresa ha avuto anche un valore scientifico e ha fornito dati che potrebbero essere utili un giorno a salvare piloti, astronauti e turisti spaziali che potrebbero trovarsi costretti a saltare fuori da una navicella in avaria nella stratosfera. Il direttore medico del progetto, Jonathan Clark, che prima era responsabile di supervisionare la salute degli equipaggi degli Space Shuttle della Nasa, ha spiegato che «Questo ci servirà per mettere a punto nuove tute spaziali, piani di fuga, protocolli di trattamento per la perdita di pressione ad altitudini estreme». Il ‘B.A.S.E. jumping’ è uno sport estremo che consiste nel lanciarsi nel vuoto da elevate altezze per atterrare, poi, con l’utilizzo di un paracadute. Il termine ‘B.A.S.E.’ indica le superfici dalle quali ci si lancia (per esempio edifici, antenne abbandonate, ponti, scogliere e numerose altre strutture artificiali o naturali) che presentano un elevazione tale da consentire la discesa in caduta libera. «Solo alla fine della conoscenza di tutte le cose, l'uomo avrà conosciuto se stesso. Le cose infatti sono soltanto i limiti dell'uomo». Così scriveva nel 1881 il filosofo tedesco F. Nietzsche nel suo epocale scritto ‘Aurora’. L’eterna sfida lanciata alla natura dall’uomo prosegue senza sosta: la voglia di conoscenza, l’adrenalina prodotta dal ‘proibito’, spinge l’essere umano ad andare oltre, sebbene, nella maggior parte dei casi, ‘oltre’ significa metter a rischio la propria vita. C’è chi lo definisce coraggio, chi illogica follia, chi puro esibizionismo individualita. Eppure molte di queste sfide hanno abbattuto barriere, ritenute insuperabili, e confermato che l’essere umano ha un largo potenziale ancora da esplorare. Senza contare i casi in cui la temerarietà umana si è fusa con il desiderio di scoperta. Basti pensare all’Everest, la vetta più alta della Terra (circa 8.848 metri). Sin dal 1929 l’uomo ha provato a scalarlo. I primi a tentare l’impresa, attraverso la parete nord, furono George Mallory e Andrew Irvine (dispersi e ritrovati senza vita circa 10 anni dopo). L’impresa riuscì nel 1953 al neozelandese Sir Edmund Hillary (accompagnato da Tenzing Norgay, alpinista di origine nepalese-indiana) che scalò la montagna passando per la parete sud. L’impervia salita e l’aria rarefatta non hanno impedito, però, nel 1978 ai due scalatori Reinhold Messner e Peter Habeler di raggiungere per primi la cima senza l'ausilio di ossigeno. Ciò dimostra che ogni impresa determina un nuovo limite da superare, un obiettivo che il mondo dello sport conosce bene. Ne sa qualcosa James Cracknell, campione britannico di canottaggio alle olimpiadi di Sidney 2000 e di Atene 2004. Definito dai suoi fans ‘l’uomo d’acciaio’, Cracknell è diventato negli ultimi anni un esperto di prove di resistenza, pedalando, correndo, remando e nuotando. Dalla Marathon des Sables (250 lunghissimi km nel deserto marocchino del Sahara, nel quale ogni anno si cimentato i migliori atleti di 30 nazioni) alla Yukon Arctic Ultra (un percorso in mountain bike, lungo 430 miglia, nel deserto ghiacciato del Canada, sopportando temperatura massime che arrivano a meno 50 gradi) ha sottoposto il suo corpo a condizioni estreme, dimostrando che, come lui stesso afferma «Vincere aiuta ad acquisire maggior fiducia in se stessi e a capire che attraverso l’impegno è possibile raggiungere qualsiasi obiettivo che ci si prefigge nella vita. È importante non arrendersi mai». D’altronde, ormai da diversi decenni, la moda degli sport ‘estremi’ ha raccolto seguaci in ogni parte del mondo che amano mettersi in gioco andando oltre le leggi fisiche e i limiti dettati dalla fisionomia del corpo umano. Prendiamo ad esempio lo ‘Streetluge’, di origine statunitense: consiste nell’utilizzare un mezzo privo di motore, che sfrutta la forza gravitazionale, per discese su un manto stradale. In pratica, è l’evoluzione del classico ‘skateboard’, in versione più avventurosa. La ricerca di avventura portata all’estremo, comunque, presuppone una lunga fase preparatoria; il voler superare il limite, sempre più spesso, oltre all’allenamento fisico, richiede analisi e calcoli. Il paracadutista francese Patrick De Gayardon, specializzato in paracadutismo acrobatico affermò in una delle sue interviste che «l'estremo è ricerca. Del limite da superare, della meta più lontana che un uomo può proporsi di raggiungere. E, una volta che l'ha raggiunta, l'estremo diventa un ulteriore limite, una meta ancor più lontana. Ma l'estremo è anche ragionevolezza, studio, calcolo, programmazione, pianificazione delle proprio forze e capacità in vista del risultato che si intende conseguire. Superare un limite, un confine stabilito da noi stessi oppure da altri è, prima che coraggio, disciplina, somma di esperienze, anche aiuto della scienza, della medicina, della fisiologia, della psicologia. Solo concentrando in sé, nel proprio corpo, nella propria mente, tutte queste cose si può diventare padroni dell'estremo».
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Questo articolo è tratto dal numero 1 di Periodico italiano magazine versione sfogliabile
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