Un testo teatrale che sottolinea il grande valore autoriale del giovane drammaturgo marchigiano Fabrizio Romagnoli, che si sta facendo ‘strada’ attraverso una ricerca costante su tutto ciò che risulta paradossale in una società che, a parole, si definisce ‘cattolica’, dunque aperta verso il prossimo
Giungiamo con colpevole ritardo a recensire il testo dell’ottimo Fabrizio Romagnoli intitolato ‘Fino alla fine’, andato in scena agli inizi di dicembre presso il valente centro culturale Artemia di Roma. Si tratta della storia di un’amicizia di ‘ferro’, un vero e proprio ‘patto di sangue’ tra due ragazze che, sin da bambine, si sono giurate eterna fedeltà contro la solitudine della vita. Ma un ‘tarlo’ sta scavando nei cuori delle due giovani: quello dell’amore. Un tipo di amore al contempo scomodo e impossibile, in una società totalmente imperniata su formalismi, apparenze e giudizi stereotipati. I due personaggi femminili sono ben interpretati da Emilia Tafaro e Ilaria Antoniani: la prima è una ‘maschiaccia’ un po’ artista e un po’ ‘iena’, che s’infila in tutte le storie d’amore ‘normali’ della propria amica d’infanzia; la seconda è una ‘femmina’ in tutto ciò che fa, solare e mediterranea, passionale ed eternamente in contraddizione. Le due ragazze si completano l’una con l’altra. E il loro sentimento reciproco, che ha cercato a lungo di trovare una via d’uscita, tutto sommato è un amore piuttosto classico, se non incontrasse la ‘barriera’ di essere un genere di 'trasporto' tra due persone dello stesso sesso. Un amore, dunque, che risulta intrappolato in un tortuoso 'labirinto di specchi', poiché ambedue le ragazze non hanno il coraggio di confessarlo nemmeno a se stesse. Non si tratta di un testo che rifugge dall’eventualità degli amori a prima vista, poiché in fondo le due giovani amiche si sono ‘scelte’ reciprocamente sin dall’infanzia. Quella di Romagnoli è invece una vera e propria indagine sui sentimenti umani in quanto autentici ‘alfa’ e ‘omega’ della vita, pur quando questi risultano ingarbugliati in una complessa ragnatela di moralismi, segreti inenarrabili, verità incoffessabili. A parte l’ottima regia, che ha condotto le due attrici verso una performance praticamente perfetta, totalmente priva di errori, inciampi o ‘sbavature’, precisa come un saggio accademico, bisogna sottolineare il valore autoriale di questo giovane drammaturgo marchigiano, Fabrizio Romagnoli, che si sta facendo ‘strada’ attraverso una ricerca costante, dunque piuttosto faticosa, su tutto ciò che ormai risulta paradossale in una società che, a parole, si definisce ‘cattolica’, dunque aperta verso il prossimo. In realtà, la cultura sociale italiana rimane tristemente provinciale nel suo nascondere sotto al ‘tappeto’ delle contaminazioni formali ciò che dovrebbe, invece, rappresentare il vero motore di evoluzione della specie umana: l’amore e la passione; il riconoscersi vicendevolmente gli uni negli altri; il porre al centro dei propri interessi un’altra persona, anche se questa appartiene al nostro stesso genere sessuale. Una società ‘pornografica’, capace persino di consentire la pratica concreta delle sessualità ‘altre’, pur di non riconoscerne il valore di ‘principio’, soprattutto nell’amore omosessuale. Le due ragazze, alla fine, scoprono di amarsi veramente, da sempre. E la fine diviene un nuovo inizio, dunque un nuovo principio, che completa il complesso cerchio ‘concentrico’ della vicenda. Sarebbe curioso chiedere all’autore di questo soggetto una versione con in scena due uomini, o anche ‘etero’, trattandosi, in fondo, di un amore giovanile classico, che esplode nella piena stagione ‘estiva’ della vita di ognuno di noi. Ma proprio nell'elaborare tale ipotesi, viene alla mente il pregio maggiore delle ragazze di ‘Fino alla fine’: esse sono due donne estremamente sincere, poiché si ritrovano ‘intrappolate’ in una una vera e propria ‘gabbia’ di esperienze fallite, crisi di crescita e momenti dolorosi. Il ‘cordone ombelicale’ dell’amicizia si spezza, liberando le due giovani dall’ipocrisia. Una storia matura e ben ponderata, insomma, quella di Fabrizio Romagnoli, che ha saputo lasciar spazio a passionalità e irrazionalismi ‘sani’, senza degenerare nelle consuete ‘isterie’ tra donne che si criticano ognuna alle spalle dell’altra. In realtà, proprio il sentimento che le due giovani percepiscono, le trascina a comprendere che esiste qualcosa che le limita, perché non c’è mai tra loro, pur nei numerosi litigi, competizione, invidia o insincerità. Le ragazze intuiscono che a mantenerle separate dietro a un vetro è proprio la loro stessa amicizia, gestita e interpretata secondo i classici canoni del formalismo dissimulatorio italiano, mantenendole recluse tra i recinti dello pseudo-razionalismo moralista. Quando quel vetro s’infrange, le due amiche possono finalmente guardarsi, accettarsi e amarsi. Alla fine, tutto è più chiaro, sia per Laura, la ‘maschietta’ della coppia - una parte non semplice per un ‘tipino’ alla Patsy Kensit come la Tafaro – sia per la ‘calda’ e femminile Maura, resa convincentemente sulla scena dalla Antoniani. Il risultato a cui giunge l’autore è perciò quello di un’indagine che non si limita affatto al ‘campo’ dell’amicizia femminile, bensì affronta il tema, ben più ampio, degli aspetti qualitativi ed evolutivi dell’amicizia più autentica e profonda, varcando definitivamente l’artefatto confine dei rapporti di genere o tra generi.