Dopo l'occupazione, del giugno 2011, il Teatro Valle si è riorganizzato in una nuova dimensione: un palcoscenico aperto da condividere con compagnie, artisti e operatori. Un luogo di formazione e autoformazione in cui il lavoro si basa sulla cooperazione. Né pubblico né privato, in un percorso partecipato che vede artisti e cittadini impegnati fianco a fianco. Una scommessa politica e culturale che vuole dare vita a una fondazione 'aperta' dove i progetti possano essere costruiti dal basso, da chi la cultura la ama e la produce.Un progetto visionario? Tutt'altro, i numeri parlano chiaro. 365 giorni di concerti, spettacoli e dibattiti: 285 serate,105 mila spettatori,1780 artisti diversi,1040 ore di formazione, 25 mila firme a sostegno, 41mila contatti su Facebook, 11 mila i follower su Twitter, 3800 soci fondatori, 850 volontari,50 visite guidate,1500 visitatori. Dal futuro incerto della privatizzazione, il comitato degli occupanti è riuscito a proporre un'alternativa supportato, anche, dagli oltre 150 mila euro ottenuti attraverso la quota di 10 euro dei soci e la sottoscrizione volontaria e libera di chi partecipa alle serate. L'occupazione, nata come gesto simbolico, è diventata oggi il manifesto di un mondo dell'arte che non ne può più dei tagli alla cultura italiana, alla scuola, all'università e alla ricerca. Un settore che vuole più diritti per i suoi lavoratori, che pretende che la creatività immateriale sia considerata nel sistema economico e che i beni artistici pubblici che sono a rischio di essere chiusi o venduti siano protetti. Una nuova programmazione culturale che, come ci racconta in questa intervista Valerio Gatto Bonanni, fondatore del gruppo “Semivolanti” e ora tra gli occupanti del Teatro Valle, darà vita a una fondazioneCome è nata l'occupazione del Valle?"È iniziata a giugno del 2011 subito dopo il referendum sui tagli alla cultura e le manifestazioni studentesche. Alcuni lavoratori dello spettacolo si sono mobilitati organizzandosi in gruppi che andavano alle prime teatrali interrompendole e denunciando i tagli che erano stati effettuati, creando con mini performance lo spettacolo nello spettacolo. Il Teatro Valle, che è il più antico teatro della capitale ancora in attività, sotto la direzione del Comune, che ne era divenuto il proprietario, era destinato alla privatizzazione. Inizialmente gli occupanti erano artisti, attori, tecnici, registi e costumisti. Poi è arrivata la solidarietà della gente”.
L'occupazione è stato un atto preorganizzato?
"In realtà si trattava di un'occupazione simbolica pensata molto bene, poi è diventata a lungo termine. Ci sono persone che dormono nei camerini, siamo ancora in 30. L'organizzazione si è strutturata con il tempo: è una specie di laboratorio sperimentale, ci sono dei punti fermi come le persone e la riunione d'assemblea del lunedì. Per l'organizzazione attuale è molto importante questa assemblea interna correlata da 7 gruppi di lavoro che portano avanti i vari progetti discussi in assemblea”.
Che programmazione avete svolto e come sarà quella del futuro?
"Il primo anno è stato un festival continuo ogni giorno un evento o una manifestazione o spettacolo diverso. Una delle cose più belle che abbiamo fatto è stata quella di aver riaperto il buco dell'orchestra, chiuso da 40 anni per mettere in scena un'opera lirica italo americana scritta appositamente. Nel 2012 abbiamo stabilito di fare una programmazione con spettacoli a tiratura più lunga chiamata 5 stagioni lasciando il teatro aperto durante tutto l'anno è seguendo il ciclo delle stagioni con spettacoli legati a città, corpi, scritture. L'idea è quella di un teatro sempre aperto ai cittadini. Oltre agli spettacoli organizziamo corsi di formazione (scrittura, messa in scena, danza, scenografia, tecnica delle luci). Uno spazio articolare è dedicato ai bambini con un appuntamento al mese”.
Avete vinto diversi premi, siete soddisfatti?
"Abbiamo vinto il Premio Ubu (equivale al David di Donatello del Teatro), un premio conferito da LegaAmbiente, e il premio Anna Lindh Fondation (premio internazionale mediterraneo cooperazione, pace e sviluppo) per il dialogo interculturale, la missione di pace ed il tentativo di cercare di creare nuovi modelli. Si tratta di riconoscimenti importanti ma, al di là della soddisfazione, in qualche modo il Premio definisce, ti rende di granito, come se fermasse un processo in continua evoluzione”.
Collaborate a molti progetti. 'Amici di Tbq' (Teatro Biblioteca Quarticciolo) è uno dei tanti. Di cosa si tratta?
"Il Teatro Biblioteca Quarticciolo è nato come spazio culturale al servizio dei cittadini e del quartiere, un luogo di incontro di convivialità di nuova cittadinanza. Ad oggi l'assegnazione di questo spazio è legato a un Bando che è di fatto una privatizzazione della struttura. Noi stiamo lavorando per cercare di cambiare il bando. Sono molti i teatri della cintura periferica della città con un pessimo destino (o dimetterli o affidarli a privati)”.
Vi siete attivati con collaborazioni con altre organizzazioni nazionali o internazionali?
"Si, certamente in Italia con l'Istituto Svizzero, il Goethe Institute, con Villa dei Medici e facciamo parte della rete di European Alternative (un'organizzazione della società civile dedita a promuovere politiche transnazionali). Abbiamo collaborato con il centro sociale patio maravillas di Madrid, da cui siamo stati invitati (in Spagna ci sono molti movimenti che lavorano contro la politica di austerità)”.
Cosa è il progetto Crisi 2.0?
"È un progetto di drammaturgia costruito attorno alla crisi con attività di riflessione. Si ispira al laboratorio di scrittura teatrale condotto da Fausto Paravidino in questi mesi e lo sviluppa con l’obiettivo di dare vita a un percorso continuo e condiviso di formazione. Un laboratorio di studio, messa in scena e confronto diretto con il pubblico”.
Ora vi costituirete in fondazione. Può spiegarci quali obiettivi volete raggiungere?
"La fondazione essendo un'Istituzione ci permetterà di dare al Teatro un destino forte e farne un bene comune. Sarà organizzata con principi simili all'occupazione di questi mesi. Sarà gestito da un Assemblea di membri alla pari con 12 consiglieri (carica che dura un anno). Saranno i cittadini a votare i cosiglieri e il direttore; quindi non ci saranno più cariche decise dai piani alti. Si tratta di lavorare sui Beni Comuni, un modello alternativo sia al pubblico che al privato, senza fini egoistici. Si tratta non solo di un modello culturale alternativo ma anche sociale. Bisogna imparare ad andare oltre il principio della delega e costruire una comunità di persone in grado di organizzare una vita sociale e culturale.Ci sono molte realtà che ci stanno seguendo in Italia: il Cinema Palazzo, il Macao di Milano, l'ex Asilo Filangieri a Napoli, il Tetro Garibaldi a Palermo, il Teatro Pinelli a Messina (appena occupato). Ognuno di queste rappresenta un esempio sia di denuncia, sia di una nuova programmazione culturale. La fondazione nascerà grazie al contributo dei singoli cittadini; per costituirla abbiamo bisogno di 250 mila euro. Sino ad ora ne abbiamo raccolti 150 mila”.