Quante donne ci vogliono per fare un’attrice? Nel caso di Ilaria Coppini, si resta stupefatti dalla versatilità di quest’artista fiorentina nel saper essere sempre ‘diversa’, pur rimanendo se stessa
Lo spettacolo di Ilaria Coppini, dal titolo ‘Di donna in donna’, andato in scena in queste ultime serate di fine ottobre al Teatro Porta Portese di Roma, prende spunto da un’idea semplice: reinterpretare in forma poetica i testi delle canzoni più belle del panorama cantautoriale italiano dedicate alle donne. Si parte da un testo drammatico di Gragnaniello, autore esploso negli anni ’90, per poi inforcare una vera e propria ‘svolta’ con Vasco Rossi, Lucio Dalla, Fabrizio De Andrè, fino ad arrivare al paroliere più ‘alto’ della musica italiana: l’inarrivabile Ivano Fossati. Un’idea semplice, che nella performance recitativa della Coppini si sviluppa come la descrizione di tutta una serie di sentimenti femminili, profondi, umani: una vera e propria ‘discesa interiore’. Quel che colpisce di questa attrice fiorentina, in effetti, è la versatilità, la varietà delle sue ‘corde’ interpretative, accompagnate da una sensibilità quasi fragile, che connota particolarmente quest’artista. Una fragilità dettata, forse, da un 'pizzico' d’insicurezza personale, ovviamente, non professionale. La capacità della Coppini di diventare un’altra donna, un’altra lei, è assoluta e indiscutibile. E’ il riuscire a rientrare in se stessa che non è sempre facile, perché solo entrando nella psiche di questa giovane attrice, con rispetto e in ‘punta di piedi’, possiamo incontrare la paura, lo spavento di essere così variegata, estremamente ricca di sfumature e sfaccettature. Un’indecisione nello scegliere se stessa, causata dalla piena consapevolezza di poter essere chiunque: la caratteristica delle attrici più grandi. Non è una Bette Davis, la Coppini, che rimaneva prigioniera per anni delle sue interpretazioni, facendole rivivere come fantasmi; né una diva schematica e monocorde, pur nella sua conturbante sensualità, come Marlene Dietrich. Qui siamo di fronte a un fenomento diverso dal solito, totalmente distinto, che solo i palati teatrali più raffinati possono individuare e riconoscere. Proprio perché, pur nell’apparente fragilità, la Coppini non utilizza alcun arroccamento cinico; nessun occultamento di se stessa; non c’è finzione ridondante. La Coppini è se stessa, circondata dalle sue donne. Probabilmente, è stata ognuna di loro in esperienze precedenti, tra delusioni, sconfitte, ricordi personali non sempre piacevoli. “E’ attrice nel suo non essere”, avrebbe commentato Carmelo Bene. E’ lei e tutte loro tutte assieme, nel medesimo tempo e nello stesso momento. Ecco perché ha ragione, la Coppini, nel presentare con insistenza questo suo spettacolo come un “prendere per mano” ognuna delle sue donne e farle rialzare, farle resuscitare, farle rivivere nella mente di ognuno di noi, permettendoci di emergere dal consueto ‘codice binario’ del maschilismo italiano, che tende a inscatolarle nelle consuete, quanto banali, categorie cattoliche delle ‘sante’ o delle ‘prostitute’. Le donne sono donne: tutte diverse tra loro, ognuna con i suoi pregi e difetti. Le donne sono individui, persone che reclamano, oggi, piena cittadinanza civile e sociale. In una parola: la loro libertà.
NELLA FOTO QUI SOPRA: ILARIA COPPINI
AL CENTRO: IN UN MOMENTO DI PAUSA SULLE COLLINE DI FIRENZE
IN ALTO A DESTRA: LA LOCANDINA DEL SUO SPETTACOLO, INTITOLATO: 'DI DONNA IN DONNA'
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