Uno spettacolo potente, quello che la sorella dell’artista Herbert Pagani ha ideato per ricordare e far conoscere l’attività artistica di un genio assoluto: un testo ben strutturato in perfetto equilibrio con le parti ‘cantate’
Al Teatro ‘Franco Parenti’ di Milano ha debuttato, nei giorni scorsi, ‘Per amore dell’Amore. Herbert Pagani: Musica, Poesia, Arti visive’, di e con Caroline Pagani, in co-produzione con il Teatro 'Franco Parenti'. Si tratta di un lavoro che va ben oltre l’omaggio: è uno spettacolo potente, che la sorella dell’artista ha ideato per ricordare e far conoscere l’attività artistica di Herbert Pagani. Sul palco, un tavolo da disegno, un cavalletto da pittore, contenitori con oggetti colorati, un fondale-schermo, un pianoforte. Lo 'spettacolo-concerto' si apre sul fragore di onde del mare e sulle note di una pioggia per pianoforte. Inizia su una spiaggia, sul bagnasciuga, dove trova oggetti di plastica: legno, vecchie scarpe, che tratta come giocattoli, anzi come compagni di gioco e, poco a poco, deflagra in un fuoco d’artificio vocale e verbale, in un’arrampicata vertiginosa che tocca corde drammatiche, tragiche, poetiche e brillanti. Non è tanto una biografia d’artista: vi sono anche pillole di lessico familiare, quadretti, ma sembra quasi occasione per parlare anche di temi quali l’ambiente, i cambiamenti climatici, l’inquinamento, lo sviluppo tecnologico, il riciclo, la salvaguardia di Venezia, il conflitto in Medioriente, di arti e altri temi ancora misconosciuti, come la storia della 'cacciata' degli italiani e degli ebrei dalla Libia, sia quando era una colonia italiana, sia durante l’esodo dovuto al colpo di Stato di Muammar Gheddafi. Infatti, Herbert Pagani era nato lì ed è stato espulso dalla Libia con tutta la famiglia. Si parla anche e soprattutto d’amore, di amore passionale fra amanti, di amore fra genitori e figli, di amore per gli animali, per delle città e per le proprie vocazioni.
L’attrice-autrice affronta, dunque, un lessico famigliare drammatico, che ha riguardato la sua infanzia come quella del fratello, in cui si possono rispecchiare delle famiglie, con disinvoltura e naturalezza. Parla di conflitti generazionali, di scelte di vita pagate a caro prezzo, delle fragilità e delle gioie degli artisti. Caroline Pagani qui non fa l’attrice: è se stessa, senza filtri. Una sorella e un’artista appassionata e calibrata, intensa e rigorosa, apollinea e dionisiaca. Passa dalla narrazione al dramma, dal brillante al canto, con eleganza e rigore. Colpiscono, oltre alla naturalezza, la capacità di emozionare senza soccombere all’emozione stessa.
Una drammaturgia che alterna con equilibrio il recitato alle parti 'cantate'. Un testo ben strutturato e poetico, costellato di momenti allegri e ludici, come quando, per mostrare come l’artista realizzasse alcune sculture, vere e proprie opere d’arte, con delle vecchie scarpe trovate fra i rifiuti o vicino al mare, trasformando una scarpa nel ritratto di Amleto, con tanto di gorgiera e parrucca bionda. Un Amleto depresso, che veste di nero e che vuole buttarsi giù dalla scogliera, in antitesi con l’artista Pagani, che si vestiva come “un Arlecchino, felice come una pasqua mentre sguazzava allegramente fra i rifiuti di quella società dell’abbondanza e dello spreco”. E così, la Pagani si muove come un’incantatrice di serpenti, che dà forma a tutta la scena, che domina, fa danzare parole e note, dalla poesia, alla prosa, dagli scritti impegnati, pacifisti, alla radio, alla canzone, questo materiale ricco, bello, attuale, contemporaneo. Le canzoni, appunto: una più bella dell’altra, dalla teatrale 'Palcoscenico', che tratta il tema della mercificazione dell’artista e irride ai vizi del mestiere, a 'Signor Caruso', parodia di un’opera lirica, fino ad arrivre a 'Serenata', un canto della solitudine nelle grandi città e alla struggente 'Sai che basta l’amore', adattamento da 'Quand on n’a quel l’amour' di Jacques Brel. Infine, 'Lombardia' e 'Concerto per un cane': tutte spazializzate, teatralizzate, tranne 'Albergo a ore', interpretata e cantata ferma, immobile, con la sola voce: un momento da brividi, che a molti fra il pubblico fa scendere le lacrime. Uno spettacolo intenso, ricco, coinvolgente e commovente: in sala si sente il coinvolgimento del pubblico in maniera epidermica. Un esempio di come si possa trasformare il dolore in arte, in ricchezza, tanto da esorcizzarlo anche in scena, compiendo, etimologicamente, un sacrificio: l’offerta della vittima alla divinità, per renderle onore con gesti rituali, come atto propiziatorio e di adorazione, con cui questi tesori dell’ingegno umano vengono consegnati al sacro. Uno spettacolo riuscito, grazie alla maestria del canto, della recitazione, della musica, della bravura del pianista, della bellezza degli arrangiamenti e delle opere 'videoproiettate'. Lo spettacolo concerto sarà anche all’Auditorium Parco della Musica di Roma, per la prossima stagione.