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21 Novembre 2024

Petra Valentini: "Fare teatro significa esorcizzare le proprie paure"

di Valentina Cirilli
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Petra Valentini: "Fare teatro significa esorcizzare le proprie paure"

Sul palco del Teatro Outoff di Milano, l’attrice anconetana si fa racconto del destino tragico della grande eroina ‘strindberghiana’ in lotta con la propria natura

Forte dovette essere la frustrazione di August Strindberg quando, alla soglia della piena maturità artistica di drammaturgo, vide censurata l’opera che racchiudeva la sintesi più perfetta del suo nuovo teatro naturalista: ‘La signorina Julie’. Dovettero passare sedici lunghi anni dalla stesura del testo, perché l’autore svedese potesse trovarlo rappresentato nei teatri della patria natale. Oggi, la vicenda di Julie, una delle eroine più affascinanti della tragedia moderna ottocentesca, rivive nell’adattamento di Maurizio Schmidt, in scena dal 2 al 6 ottobre 2019 al Teatro Outoff di Milano dopo una tournée di quasi due anni. La produzione di ‘Marche Teatro’, in collaborazione con Farneto Teatro, vede in scena Petra Valentini (Julie), Lorenzo Frediani (Jean), Emilia Scarpati Fanetti (Kristin), con la musica dal vivo di Leonardo Ramadori, i costumi di Stefania Cempini e le luci di Mauro Marasà. In un gioco di scambi di gerarchie, tensioni continue tra senso dell’onore e pulsioni carnali, si muovono le ‘anime strindberghiane’ che l’autore stesso definì “mescolanze di stadi culturali passati e presenti, brani di libri e di giornali, pezzetti d’uomini, lembi di abiti da festa ridotti a stracci così come le anime stesse sono rattoppate”. 'La signorina Julie' fu il nobile tentativo da parte del drammaturgo di rinnovare il teatro del suo tempo, sottraendolo a un destino di decadenza: un nuovo spessore investì la dimensione psicologica dei personaggi, che non poterono più chiamarsi ‘tipi’, ma ‘caratteri moderni’, veri e propri uomini. Nell’intervista che segue, l’attrice Petra Valentini ci racconta la storia di Julie e quella di un giovane talento che ha fatto del teatro il suo vero e unico mestiere.

Petra Valentini, nello sPetra_Valentini.jpgpettacolo lei veste i panni della contessina Julie, una donna complessa, nella quale Strindberg ha condensato tutti gli aspetti psicologici moderni tipici del suo nuovo teatro naturalista: com’è stato confrontarsi con un personaggio così complicato?
“E’ stato stimolante misurarsi con la complessità che si nasconde dietro questo personaggio. Julie è figlia di un padre nobile, un conte di stampo tradizionalista e di una madre che, al contrario di lui, l’ha allevata come fosse una creatura libera, una ‘figlia della natura’, una sorta di amazzone. Essa viene educata allo studio dell’agronomia, alla caccia degli animali, diventando un ‘mezzo uomo’ e una ‘mezza donna’. Non ci troviamo di fronte alla classica contessa con ‘pizzi e merletti’: Julie non ha niente di romantico, assomiglia piuttosto a una figura punk. È un personaggio combattuto tra femminilità e desiderio di sottomissione dell’uomo, instillatole dall’educazione materna. Jean è il suo servo prediletto: probabilmente si tratta dell’unico servo maschio dell’intera tenuta, dal quale viene incuriosita per quel suo essere un maschio forte, un uomo tutto d’un pezzo. Nella notte di San Giovanni Julie decide di distruggere la maschilità di Jean, mettendo in atto un gioco pericoloso di provocazione e sottomissione che le si ritorcerà contro. I due protagonisti finiranno a letto insieme, per poi tentare di rimettere le cose a posto. Alla fine, Julie sceglierà la morte, perché non può sopportare di aver tradito sua madre. ‘La contessina Julie’ è una storia sanguinaria, un racconto torbido: l’intera vicenda si svolge nella notte di San Giovanni, notte dedita ai giochi amorosi per eccellenza. Ma proprio quella notte la contessina perde la sua verginità, per di più durante il suo ciclo mestruale. La costruzione del personaggio è il risultato di un percorso durato quasi cinque anni, nato da uno studio fatto durante gli anni in cui studiavo alla scuola ‘Paolo Grassi’, quando Maurizio Schmidt, regista dello spettacolo, era mio insegnante. In quel periodo, insieme agli altri allievi abbiamo lavorato intensamente sul testo di Strindberg, finché Maurizio decise di portarlo in scena. Spero di riuscire a mantenere la passione e l’acerbità di quel periodo di studio - quando il lavoro sul testo era ancora lontano dall’incontro con il pubblico - e di poterle unire alla tecnica che ho acquisito negli anni successivi. Durante l’intenso lavoro sul personaggio è stato affascinante scoprire, come spesso capita nel mestiere dell’attore, la vicinanza con alcuni aspetti del carattere di Julie, che a prima vista sembravano così distanti da me: ho dovuto osservare che c’è sempre qualcosa che ci appartiene, di un personaggio. È un lavoro che mi permette di esplorare zone sconosciute dell’anima, alcune delle quali possono spaventare. Fare teatro significa esorcizzare le proprie paure: portare i sentimenti in scena, anche quelli più inquietanti, aiuta a non esperirli nella vita di tutti i giorni”.

Uno dei nodi tematici di questo testo è il divario insormontabile tra l’uomo e la donna. Spietate sono le posizioni antifemministe assunte da Strindberg nei confronti del sesso femminile: in questa battaglia tra i sessi c’è spazio per l’amore tra i due personaggi?
“Molta critica considera Strindberg un misogino e, probabilmente, è la verità. Trovo, però, leggendo la biografia dell’autore, che fosse il primo a non poter fare a meno delle donne. La contessina Julie, nonostante venga descritta come un essere inferiore, metà uomo e metà donna, provoca nel pubblico un sentimento di empatia. Lo spettatore, alla fine della storia, non può fare a meno di simpatizzare per lei e piangere il destino tragico di una donna che si trova a scontrarsi con la sua natura, fino al punto da togliersi la vita. Nello scontro brutale, che vede contrapposti Jean e Julie, non vi sono vincitori, ma due anime fragilissime, che non sanno chi sono. Due figure opposte che si odiano reciprocamente, ma che non possono fare a meno l’una dell’altra. Credo sia uno spettacolo che racconti la grande storia dell’umanità, dell’uomo e della donna, i quali, pur essendo così distanti, non possono fare altro che unirsi e odiarsi. Julie stessa afferma in uno dei suoi monologhi: “Io non so che fare: ti odio e odio i topi, ma non posso fare a meno di te”.
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Come è stato lavorare a fianco di Toni Servillo nello spettacolo ‘Elvira’?
“Lavorare con Toni Servillo è stata un’esperienza fondamentale. Ogni sera in cui andavamo in scena, mi dava spunti di regia e indicazioni sceniche sempre nuove, alzando di volta in volta il livello di complessità. Questo modo di lavorare è stato il segreto per non annoiarmi mai e far si che nessuna delle quasi duecentocinquanta repliche di ‘Elvira’ fosse uguale all’altra. Mi ha insegnato a non cadere nella routine, ad affrontare il palcoscenico trovando sempre nuova vitalità e nuovo spirito”.

Come è nata la tua passione per il teatro e attorno a quali punti di riferimento ruota?
“Sono nata da una famiglia che faceva teatro di professione, in particolare teatro d’infanzia. Sin da bambina ho avuto modo di vedere l’aspetto più artigianale di questo mestiere, scoprendo da subito l’enorme fatica che vi è dietro. Il momento dello studio del testo, così come la costruzione dello spettacolo, può durare anni. A volte non si esaurisce alla prima replica, ma continua sera dopo sera. Nel fare questo lavoro ci si rende conto di quanti aspetti della nostra anima si possono scoprire, di quanto a fondo di un personaggio si possa andare e, soprattutto, quanto di una storia si possa raccontare al pubblico. Ho sempre pensato di non poter fare altro nella vita: amo il teatro in maniera appassionata. Sento di avere dentro di me qualcosa da dire. Ed è come se ogni testo in cui mi imbatto mi desse la possibilità di parlare”.

Quale consiglio sentiresti di dare a tutti coloro che vorrebbero fare del teatro il loro mestiere?
“Credo che si tratti di una questione molto delicata: vi sono persone a cui piace fare teatro, ma che pensano di poter fare anche altro nella vita. Ecco, a queste persone consiglierei di fare altro. Il lavoro dell’attore richiede grande impegno e dedizione, un grande senso del sacrificio, che diventa necessario soprattutto in un momento storico come quello presente, in cui la situazione occupazionale non è rosea e la scena teatrale ancora meno. Se non vi è una vera vocazione di fondo ma, come per molti, la sola ricerca della fama e del successo, è molto facile andare in crisi. Si può tentare, ma penso che sia la vita stessa a dare le sue risposte. Non appena ho finito il liceo, avevo già capito di voler fare solo questo. Ho tentato e ritentato e, alla fine, penso di avercela fatta”.

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QUI SOPRA: PETRA VALENTINI E LORENZO FREDIANI IN SCENA

AL CENTRO: I DUE ATTORI SI CONFRONTANO SUL DIFFICILE RAPPORTO TRA I GENERI

DI SPALLA: L'ARTISTA ANCONETANA IN UN SERVIZIO FOTOGRAFICO

IN ALTO A DESTRA: L'ATTRICE PROTAGONISTA NEI PANNI DELLA SIGNORINA JULIE

LE FOTO UTILIZZATE NEL PRESENTE SERVIZIO SONO DI LARA VIRGULTI


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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