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diretto da Vittorio Lussana
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21 Novembre 2024

Un teatro senza niente

di Vittorio Lussana
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Un teatro senza niente

I ragazzi del Teatro Magro sono di Mantova. Il loro spettacolo s’intitola: ‘Senza niente’. Perché infatti lo fanno senza scenografie, senza costumi, senza trucco di scena, senza nessun tipo di ‘quinta’ o camerino. Spassosi, divertenti, d’avanguardia, senza niente fanno una rivoluzione!

Voglio dedicare una piccola recensione, a firma personale, in favore di un gruppo di giovani attori lombardi che mi è capitato di ammirare di recente presso il piccolo ‘Studio Uno’ del circuito ‘off’ di Roma: i ragazzi del ‘teatro Magro’. “No, Mago; no, Margot; no, Malo: Magro! Teatro Magro” hanno scandito sul palco, quasi a sottolineare la devastante superficialità di quell’acculturazione di massa talvolta ‘di ritorno’, ma nella maggior parte dei casi di sola ‘andata’. Si tratta di un gruppo di ragazzi di Mantova, città della Lombardia - “No, Veneto; no, Emilia: Lombardia! Mantova è in Lombardia”! - bravi al punto da esser riusciti a consolarmi dopo 20 anni di veline e ‘letterine’, ‘stronzatine’ e ‘cacatine’ immesse a viva forza in televisione, nelle radio e da tutte le altre parti. Qualcuno me li aveva ‘suggeriti’, anche se in una maniera molto ‘romana’: “Vatteli a vede’, Vittò: provengono dalle ‘parti tue’ e hanno pure partecipato al Fringe Festival 2012”. E, in effetti, devo dire che, grazie a loro, ho potuto prendermi, finalmente, una boccata d’ossigeno. Spassosi, divertenti, d’avanguardia: una vera e propria ‘porta in faccia’ nei confronti di un panorama culturale ormai devastato e schizofrenico. Il loro spettacolo s’intitola: ‘Senza niente’. Perché infatti lo fanno senza niente: senza scenografie, senza costumi, senza trucco di scena, senza nessun tipo di ‘quinta’ o camerino. E senza niente, questi qui ti fanno una rivoluzione! Il loro regista si chiama Flavio Cortellazzi e i due attori monologhisti sono Alessandro Pezzali e Marina Visentini. Li ho pure avvicinati, a fine spettacolo: avevano il volto di chi teme di risultare di provincia, troppo isolati dal contesto della ‘grande capitale’. E invece no, ragazzi, siete dei ‘giganti’. Dopo averli saluti e ringraziati, avevo voglia di rovesciare il mondo. Perché non è possibile che si vada avanti così, in televisione, nelle radio, nei circuiti teatrali ‘ufficiali’, mentre questi ragazzi valgono dieci, cento, mille volte di più. Il primo monologo, Senza niente 1, è di Pezzali: la fidanzatina Josephine lo ha lasciato, poiché a lui è sorto un problema di ‘calli’ a un piede che gli impedisce di star fuori tutte le sere. Lei allora lo ‘accanna’, come si dice a Roma. E lui inizia a proporre, completamente da solo, una pantomima spassosissima sul dramma che gli sta capitando, ‘rileggendo’ tutte le tipologie di teatro esistenti, da quello drammatico a quello impegnato, da quello mimico a quello antico, da quello da circo a quello degli artisti di ‘strada’. E questa ‘caspita’ di Josephine sempre in mezzo ‘alle battute’, per sottolineare quale abisso sociale e valoriale abbia ormai fatto sì che una semplice ‘stronzata’ basti a far ‘saltare’ un rapporto sentimentale. Guardo il ragazzo dimenarsi sul palco come un vero animale da palcoscenico, recitando tre, quattro, cinque parti in commedia e, in alcuni momenti, interpretando persino le ‘beccate’ del pubblico, il quale, intorno al teatro dei mimi, dice sempre le solite 4 stupidaggini: “È bravo a fare il ‘muro’: sembra che ci sia! È bravo a far la fune: sembra che ci sia”! Forse, siamo un po’ ai confini dell’avanguardia ‘punk’, ma questi ragazzi non possono di certo esser liquidati con un semplice slogan da comunicazione di massa: c’è una cultura ‘sottostante’, c’è tutto un duro lavoro che emerge. E che si vede. Nel secondo monologo, Senza niente 2, si presenta Marina Visentini. Elenca tutti i suoi titoli: è presidente di una cooperativa di attori, ha vinto tre o 4 master, dichiara espressamente di lavorare insieme ai propri colleghi dalle 8 alle 12 ore al giorno, senza pause, senza festività, senza orari fissi. Ma poi, alla fine, cosa conta davvero per certi ‘assessorucoli’ di provincia? Il fatto che lei sia ‘bellina’, che sia una ragazza di alta statura, con un bel paio di gambe. E quindi prendono il via i soliti ‘giochetti’ che ‘questi qui’ generalmente impongono a un’artista donna, in cambio di una firma su un progetto teatrale: “Vieni a correre con me? Ti va di uscire a cena? Hai voglia di andare al lago, domenica prossima”? E se la ‘tipa’ non ci sta, tanti saluti al contratto. Avete capito come funziona il ‘clientelismo’ di provincia? Adesso lo sapete perché il federalismo, il localismo e tutte le ‘baggianate’ che ci sono state propinante in questi ultimi 20 anni da veri e propri ‘mostri ululanti’ ci hanno portato alla ‘deriva’? Perché per certa gente, una ragazza che vuol fare azienda attraverso la cultura, in particolar modo la cultura teatrale, è solamente una ‘parassita’ che chiede soldi, o poco più di una prostituta! Dalla quale vogliono i ‘servizietti’, naturalmente. Poco importa se un’attrice sia brava, che s’impegni, che abbia titoli ‘allucinanti’, che non sia un’emerita ‘svampita’ in cerca di una ‘svolta’ facile. Come dice la stessa Visentini nel suo monologo: “Non stanno lì perché sono competenti, bensì perché la politica ha deciso di metterli proprio lì, senza alcun merito, senza alcun titolo”. La politica locale non è affatto il lato ‘sano’ della democrazia: al contrario, è quello più ‘marcio’, più provinciale, che più ti fa venir voglia di tornare al vecchio Stato centralista, alla ‘potenza del pesante’, al dominio che sovrasta, preme, compatta e ‘schiaccia’! Assessori alla ‘Batman’ che vorrebbero essere trattati come dei ‘principi azzurri’, poiché detentori di un potere ‘contrattual-burocratico’. Questa è la loro ‘idea’ di mercato: la fiera delle vacche! E vivaddio, i ragazzi del ‘teatro Magro’ sembra quasi che, in qualche modo, siano riusciti a sentire il profondo ‘mantra notturno’ che generalmente indirizzo al Padreterno: “Toglimi dalle ‘palle’ questa gente qua! Toglimi dalle ‘palle’ questa gente qua”! Ma anche il ‘mantra’ della Visentini è efficace. E non muta di una virgola anche quando ribalta la propria ‘chiave’ interpretativa, ovvero nei confronti delle ‘colleghe’ attrici: “Vieni a Mantova: ho un lavoro per te, una bella parte. Devi solamente studiare quanto ti sto inviando per e-mail…”. E loro? Niente. Aspettano. Cosa ‘cazzo’ aspettano? Come denunciato di recente da Woody Allen in ‘To Rome with love’, ‘queste qui’ attendono la telefonata del regista importante, che possa affidarle una parte da ‘bella addormentata nel bosco’, in cambio di qualche ‘soldino’ e una bella ‘manata’ sul culo. Ma anche ponendo il ‘caso’ e senza voler fare i moralisti, come ‘diamine’ si può lavorare solamente una volta all’anno? Ma con chi stanno, ‘queste qui’? Chi le mantiene? Non è dato sapere. “Ghé da sgobar! Ghé da sgobar”! Questa l’esclamazione ‘liberatoria’ della Visentini, che diventa lo slogan centrale di tutta l’opera. Perché bisogna ‘sgobbare’ per apprendere l’arte: non si può rimanere lì in attesa che ‘squilli’ il telefono. È anche vero che ormai lo sappiamo bene tutti com’è fatta l’Italia: lo abbiamo capito, no? Vogliono tutte andare in tv a ‘sgambettare’, a far vedere quanto son belle e sexy. E così giungono le giustificazioni più miserabili: “Ho avuto un periodo, guarda! Ma un periodo! Un periodo che non ti dico…”. Alla fine, la parola ‘giusta’ la Visentini la dice, eccome. Sottovoce, ma la dice. E si può ben immaginarla, perché la farebbero ‘scappare’ anche a un santo. Insomma, veramente bravi questi ragazzi del ‘teatro Magro’: dissacranti, ironici, persino celebrativi nei confronti del duro lavoro artistico e teatrale. Bravi! Non ci sono neanche molte altre parole per scriverlo e descriverli. Andate avanti così, ragazzi: proseguite, insistete su questa strada, perché è quella giusta. E continuate a urlarlo ‘in faccia’ agli italiani, che i loro figli laureati, tutti belli ‘lubrificati’ e ‘lobotomizzati’ non sanno neanche che Mantova è in Lombardia. Perché qui son venute giù anche le ‘basi’.

 

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IL PROGETTO SENZA NIENTE
è a cura del Teatro Magro (www.teatromagro.com), si compone di 4 monologhi seriali, caratterizzati da una presa di distanza rispetto al panorama attuale con uno sguardo critico e ironico che invita alla riflessione.

4 figure professionali si raccontano

SENZA NIENTE "l'attore”
Un monologo intenso, vissuto, nel quale il confine tra attore e personaggio diventa labile, così come è labile il limite tra finzione e realtà. Una pièce teatrale sincera, in quanto rispecchia la la società in cui viviamo, perché l'attore è rimasto veramente senza niente.
Regia di Flavio Cortellazzi con Alessandro Pezzali

SENZA NIENTE 2 "il presidente”
Esistono figure di rappresentanza nel mondo culturale che sono quotidianamente divise tra arte ed economia, in bilico. Essere a capo di un'impresa culturale, in grado di farsi spazio tra i meandri delle istituzioni. Le difficoltà e le nevrosi di un presidente, privato e, per questo, provato.
Regia di Flavio Cortellazzi con Marina Visentini

SENZA NIENTE 3 "l'amministratore”
Una figura apparentemente estranea al mondo dell'arte. Tuttavia in grado di tradurre l'opera artistica in termini economici. Termini spesso incomprensibili e oscuri. Rendicontazione. Interessi. Budget operativi. Piani strategici. Un percorso a ostacoli ineluttabile per la sopravvivenza di un'impresa culturale. Se i conti non tornano il piatto piange. E anche l'amministratore.
Regia di Flavio Cortellazzi con Andrea Caprini

SENZA NIENTE 4 "il regista”
Il regista sogna di giorno. Produce e seleziona le idee. La sera il regista è sul palco. Il pubblico guarda il regista in scena, oppure è il regista a guardare il pubblico in scena? Il regista ha presente tutto, registra, presta attenzione a ciascuno. Quando la creatività è per ultima, allora significa che siamo rimasti proprio senza niente.
Regia di Teatro Magro con Flavio Cortellazzi


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
Registrata presso il Registro Stampa del Tribunale di Milano, n. 345, il 9.06.2010.
EDITORE: Compact edizioni divisione di Phoenix associazione culturale