Può il singolo individuo essere manipolato a tal punto da sentirsi un altro? L'indagine di Brecht, messa in scena al teatro Trastevere dalla compagnia Marabutti, ha riproposto la riflessione dell'artista tedesco. Bravi gli attori, che con grande ironia hanno saputo fotografare il cinismo dell'imperialismo coloniale.
Il 'capitale' piega il proletario, sostituendogli i connotati dell'anima. A tal punto è arrivato il potere del sistema capitalistico occidentale, che riesce a svuotare l'esistenza di un uomo per riempirla di ricordi che non gli sono mai appartenuti. Su questo 'rimpiazzo', Bertolt Brecht scrisse, nel 1925, 'Un uomo è un uomo'. Era il periodo in cui il grande drammaturgo tedesco aveva iniziato la sua decennale riflessione sui temi del marxismo. Nella rappresentazione di quell’opera, il giovane regista Lorenzo De Liberato e la sua compagnia 'Marabutti' hanno riproposto la riflessione di quello che, nei fatti, è un vero e proprio dramma. E lo hanno fatto senza abbandonare mai la sottile ironia che svela l'aspetto comico-grottesco della storia. Siamo nel 1925 a Kilkoa, in India. L'esercito coloniale inglese è pronto a valicare i confini verso il Tibet. Quattro commilitoni ubriachi, rei di aver commesso un furto, si ritrovano a dover abbandonare sul luogo del misfatto un loro compagno. A indagare come un segugio sul caso è il terribile Sergente 'Fairchild', che li attende per ‘la conta’. I soldati si ritrovano costretti a dover ‘sostituire’ il compagno Jeraiah Jip in una manciata di ore. La vittima ideale si presenta nelle vesti di un povero scaricatore di porto, Galy Gay. Grazie alla complicità della vedova Begbick, Uria, Jesse e Polly ordiscono un piano con cui riescono a mutare la personalità del malcapitato Galy Gay, il quale, uscito per comprare un pesce per la cena con la moglie, si ritrova alla fine con l'identificarsi in un feroce soldato dell’esercito inglese. Durante lo spettacolo, si assiste a tutte le fasi dello scambio di persona. E solo dopo la morte fittizia per fucilazione, con tanto di deposizione nella bara, Galy Gay prende coscienza di essere ‘effettivamente’ il soldato Jip. La spersonalizzazione e la rinascita come nuova entità del suo essere è talmente perfetta, che con la ricomparsa del vero Jeraiah Jip, quest’ultimo viene ignorato dai compagni e, ironia della sorte, viene eliminato proprio dal ‘nuovo’ Jip, segno che il passaggio si è ormai compiuto.
La pièce ha alternato momenti di prosa con alcune canzoni in italiano e inglese, coinvolgendo lo spettatore, step dopo step, nella creazione ‘forzata’ di un uomo nuovo. Galy Gay è il debole che non riesce a opporsi alla necessità dei più forti, per i quali ciò che conta è il risultato. Un uomo, in fondo, è soltanto un uomo: un numero da contare all’appello. Soprattutto, quando lo si svuota della sua coscienza critica. Oppure è tale solo se qualcuno lo si chiama per nome. Bene il ritmo, bravi gli attori a mantenerlo, con una regia attenta a mostrare come la società avanzata, quella del grande capitalismo occidentale, riesca a insinuarsi tra le pieghe dell’animo dei semplici, tramutandoli in feticci inanimati. Ciò che resta è dunque un sagace odio per il potere, caricatura del mondo in cui è vissuto Brecht, ma adattabile anche ai nostri giorni.
Un uomo è un uomo
di Bertolt Brecht
traduzione Giulia Veronesi
regia Lorenzo De Liberato
con
Tiziano Caputo, Matteo Cirillo, Alessandro De Feo, Agnese Fois, Lorenzo Garufo, Stefano Patti, Arianna Pozzoli, Mario Russo, Tommaso Setaro
trucco Soraya Artese
disegno luci Matteo Ziglio
si ringrazia per l'allestimento delle scene Cesare Angelici, Sabino Caputo e Ilenia Sbarufatti
eseguite dal vivo da Tiziano Caputo e Mario Russo
Compagnia Marabutti
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