Da oggi il cellulare non è soltanto uno strumento dalla semplice e ludica funzione comunicativa: il progetto ‘Rainforest connection’ di Topher White ricicla vecchi telefonini per salvare centinaia di ettari di foreste
In questi giorni, il Rapporto di valutazione globale pubblicato dalla Fao, intitolato ‘The Global Forest Resources Assessment 2015’, riporta la cifra di 129 milioni di ettari di foresta perduti dal 1990 a oggi. Tale dato segnala come vi sia stato un rallentamento del tasso di deforestazione, spiegabile, da un lato, dal numero sempre più crescente di aree forestali protette e, dall’altro, da una politica che spinge sempre più Paesi a investire in nuove strategie di gestione e di monitoraggio del territorio. Ciò dimostra come non si riesca, tuttavia, a ridurre l’impatto del cambiamento climatico e come siano ancora troppe le persone senza scrupoli che mettono in pericolo le preziose risorse vitali a nostra disposizione. Attualmente, gli ‘inventari forestali’ sono in aumento, arrivando a registrare una superficie forestale mondiale dell’80%. Questo fatto significa che la gestione degli interventi di controllo e di tutela degli alberi è ormai sentita in quanto profonda urgenza dalle istituzioni locali. Ma le ‘buone intenzioni’ da sole non bastano, se nella realtà dei fatti i costi d’intervento per il controllo dell’illegalità sono ancora elevati. Tale presupposto rende impossibile assumere delle guardie attive ‘full-time’ su tutto il territorio. Ed ecco, quindi, che la tecnologia semplice e facilmente sostenibile sia la soluzione più efficace. L’ingegnere americano di software, Topher White, ha perciò deciso di fornire le proprie conoscenze all’umanità, mettendo a punto un metodo di controllo in tempo reale delle attività illegali di deforestazione. White ha costruito un dispositivo formato da cellulari provvisti di alcuni sensori di microfono, che riescono a captare il rumore della motosega a una distanza superiore al chilometro e a inviare in tempo reale l’allarme. Tale apparecchio funziona sfruttando l’open-source di Android Os: i cellulari sono protetti da bustine di plastica e sono disposti su strisce di pannelli solari da ubicare sulla parte alta della vegetazione. L’invenzione è divenuta realtà, grazie alle centinaia di persone che donano ogni mese il proprio cellulare usato e a esperti volontari provenienti dalle agenzie ‘No-profit’ della Silicon Valley.
La tecnologia, dunque, non è soltanto uno strumento di sostituzione della manodopera umana, ma può davvero accorciare le distanze e salvare tempestivamente il ‘polmone verde’ dell’umanità.