La nostalgia ha letteralmente ‘affogato’ il tema del Festival che doveva essere ‘portante’: la bellezza. Le ottuagenarie gemelle Kessler e una Raffaella Carrà ormai in via di disgregazione hanno fatto pensare più alle feste domenicali di un gerontocomio che a una manifestazione canora
La 64esima edizione del Festival di Sanremo, tenutasi la scorsa settimana, è stata piuttosto deludente: concordiamo con la maggior parte dei giudizi in circolazione. Tuttavia, vorremmo evidenziare una serie di attenuanti generiche che hanno, in qualche modo, influito negativamente nell’organizzazione della popolare kermesse canora. Innanzitutto, Fabio Fazio e il suo gruppo provenivano da un successo, quello dello scorso anno, difficilmente ripetibile. Nel mondo dello spettacolo è molto complesso riuscire a ripetersi, soprattutto consecutivamente: c’è sempre qualche elemento che ricorda percorsi già effettuati o un dettaglio che richiama una selezione di brani musicali meno ponderata rispetto a quella del 2013, in cui assai rappresentativi erano risultati i generi, i ‘target’ e gli stili musicali nei quali si era andati a ‘pescare’. La scelta di riproporre Renga, tanto per fare un esempio, un artista ormai giunto a un bivio ben preciso di rielaborazione del proprio stile neo-melodico - che dovrebbe essere risolto prima di continuare a replicare in serie i propri brani musicali - è apparsa discutibile. Ben più coraggiosa, invece, la ‘scommessa’ rappresentata dai Perturbazione, che indubbiamente si sono presentati come una novità interessante del nostro panorama musicale ‘leggero’. La vittoria di Arisa è apparsa alquanto scontata: la consacrazione di una cantante che ha sviluppato il proprio percorso personale proprio nella città dei fiori. E’ un ‘peccato’ che il Festival di Sanremo commette con una certa regolarità: la ratifica in ritardo del successo già ottenuto da un’artista, generando una serie cadenzata di manifestazioni di transizione. E già accaduto svariate volte: con Tony Renis, Gigliola Cinquetti, i Matia Bazar, i Ricchi e Poveri, Albano e Romina Power. Fazio, inoltre, è caduto nell’errore di portarsi dietro il grosso del ‘bagaglio’ della propria trasmissione settimanale: ‘Che tempo che fa’. Anche se ciò è apparso controbilanciato dall’ottima regia televisiva di Duccio Forzano, il quale ha dimostrato un eccellente ritmo nelle proprie alternanze di immagini e sequenze incrociate. Insomma, luci e ombre, momenti buoni e altri piuttosto nostalgici. Siamo alla classica sufficienza ‘stiracchiata’, rimediata grazie a Crozza, Ligabue e a qualche buona intuizione (Pif). La nostalgia, in particolare, ha letteralmente ‘affogato’ il tema che doveva essere ‘portante’: la bellezza. Questo è stato l’errore fatale: le ottuagenarie gemelle Kessler e una Raffaella Carrà ormai in via di disgregazione hanno fatto pensare più alle feste domenicali di un gerontocomio che a una manifestazione canora. Persino la 'nonnina' di 105 anni, intervistata da Pif, è arrivata a chiedersi se le Kessler fossero ancora in circolazione! Molte le critiche anche per Luciana Littizzetto, per via di alcune ‘battute’ ben al di sopra delle sue solite ‘righe’, già abitualmente trasgressive. Nel caso di Luciana chiediamo tuttavia di rammentare uno dei suoi personaggio giovanili più riusciti, quello della Lolita in piena esplosione ‘ormonale’, che ogni tanto sfugge al controllo della propria creatrice e che rappresenta, in ogni caso, il segnale inequivocabile di una vivacità, artistica e umana, che solo certe ‘femmine’ sono capaci di donare al pubblico. La Littizzetto è perdonabile, insomma, per i suoi ‘scivoloni’: come i migliori vini provenienti dalle ‘botti’ piccole, ogni tanto ‘spumeggia’ in eccesso. Ma la Littizzetto è stata comunque sempre al centro della scena, subito pronta a coprire ritardi e ‘buchi’, svolgendo un ruolo prezioso. Forse, la ‘tiratina di orecchie’ andrebbe fatta ai suoi autori ‘buonisti’, soprattutto per quell’imprevidente richiamo ad alcune industrie dolciarie che dovrebbero inserire, nei loro spot pubblicitari, anche dei bambini ‘down’, quando è risaputo che uno dei problemi principali di tale questione, oltre all’obbligo di evitare ogni forma di ‘pietismo’ ipocrita, è proprio quello di un corretto bilanciamento della loro alimentazione. Insomma, Pif a parte, il festival di Sanremo 2014 è sembrato, a tratti, alquanto noioso. Ma questa sensazione, a nostro parere, è dipesa molto dalla fase di stanchezza complessiva della televisione generalista, che ormai percepisce con angoscia il ‘fiato sul collo’ della rivoluzione tecnologica in atto, dei video in streaming e dell’avanzare della soggettività, delle specificità tematiche e di un nuovo modo di fare spettacolo, destinato a mandare definitivamente in ‘soffitta’ le onnipresenze dittatoriali dei Pippo Baudo in passato e dei Fabio Fazio nel presente. Il futuro della televisione sarà infatti quello della diversificazione determinata dalla ‘rete’. Come il simpatico Pif, col suo scanzonato e alternativo “Festival di San Romolo”, ha già intravisto e genialmente annunciato.