Il superficialismo di ‘Famiglia cristiana’ e ‘Avvenire’ nel recensire la serie televisiva firmata da Paolo Sorrentino atterrisce per la banalità e la mostruosa incapacità di cogliere una qualsiasi idea di modernità umana, espressiva, artistica e culturale
Dopo aver terminato la visione di ‘The Young Pope’, serie tv firmata da Paolo Sorrentino della quale si è molto parlato, ci sono capitate agli occhi diverse 'recensioni': alcune positive, altre negative, ma molte, a nostro giudizio, piuttosto incomplete e ‘miopi’ per gli ambienti – cattolici - dalle quali provengono. Innanzitutto, spesso si tratta di critiche ‘parziali’, poiché in tante fanno riferimento soltanto alle prime due, tre puntate della serie. E il fatto che dopo diverse settimane dal finale di stagione, ancora non si scorga l'ombra d'un giudizio più completo da parte degli ambienti appena citati fa riflettere. Giudizi ‘miopi’, poiché sembra che sfugga l'essenza stessa, il ‘cardine’ attorno al quale ruota tutto il senso dell'opera. Citiamo, a questo proposito, ‘Famiglia Cristiana’ e ‘Avvenire’ (versioni web), dalle cui colonne si condanna il fatto che Sorrentino, in questa serie, abbia semplicemente voluto raccontare gli intrighi e i giochi di potere all'interno della Santa Sede in una maniera 'macchiettistica'. Gli si rinfaccia, altresì, di aver immaginato che un sacerdote abbia potuto violare il segreto della confessione in cambio della promessa di esser nominato cardinale. Ai nostri occhi, appare invece blasfemo l'aver ridotto tale regista a un mero ‘cronista di gossip’. E pensiamo, invece, che la sua opera non debba essere giudicata tanto per la verosimiglianza delle sue ricostruzioni, quanto piuttosto per ciò che racconta al di là dello stile di rappresentazione. E ciò che racconta è il tormento di un uomo (Pio XIII), capace di parlare direttamente a Dio, di guarire una donna da una malattia incurabile, di donare fertilità a una coppia sterile, ma non di accettare il proprio destino di bambino abbandonato dai genitori senza alcun apparente motivo. La grandezza di quest'autore sta proprio qui: non nel narrare di un pontefice ‘irriverente’, autoritario, al contempo ribelle e conservatore, quanto nel riuscire a plasmare la figura di un santo che non desidera e che mai ha desiderato essere tale, che lotta contro se stesso, che si autodistrugge, che fino all'ultimo rinnega il proprio ‘dono mistico’, pur essendo perfettamente consapevole di possederlo. E' nella negazione di ogni obbligo e di ogni etichetta, di ogni ipocrisia sottilmente nascosta nell'apparente anti-formalismo del personaggio, nel perdono a tutti i costi e nella politica d'apertura della Chiesa contemporanea che si scorge l'amore, che s’intravede, o si dovrebbe intravedere, il ‘puzzle’ riflesso del volto di Dio. Esso ha le molteplici sembianze della fidanzatina adolescenziale del papa, da lui abbandonata per seguire la via del Signore; nell'infatuamento del cardinal Voiello nei confronti di suor Mary; nella lotta fra il cardinal Gutierrez e l'alcolismo. E, in tutto ciò, il continuo vacillamento, l'affievolirsi della fede, lo smarrimento, l'eco del “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”? pronunciato dal Cristo straziato sulla croce. Mano a mano, è il costruirsi di una nuova consapevolezza fondata sulla volontà, sul voler perdonare, sul voler accettare, sul voler compiere il bene e non su una tanto antica e, francamente, inaccettabile imposizione dogmatica che emerge il vero dato sostanziale di questo nuovo lavoro di Sorrentino, il quale, come già accaduto per ‘La grande bellezza’, continua a scontrarsi contro una serie di mentalità illiberali, letteralmente ‘prigioniere’ della banalità e dei luoghi comuni. La ‘fissità’ e l’immutabilità della religione è ciò che ha sempre ‘spostato’ il cattolicesimo più a destra del conservatorismo stesso, inchiodandolo sulle frontiere del clericalismo e del confessionalismo. È nell'incominciare ad amare gli uomini giusti - e nell’essere 'giusto' con quelli diabolici - che Pio XIII trova la 'chiave' per risolvere la propria crisi esistenziale. E con questo concetto, Sorrentino è riuscito a ‘toccare le corde’ dell'anima più spirituale dello spettatore, indifferentemente dal credo dei singoli, rappresentando in forme innovative un concetto universale. Appare perciò ‘spiazzante’ il fatto che agli ambienti cattolici sia ‘sfuggito’ proprio il contenuto più ferreo e coerente della loro stessa fede. E che ci si sia soffermati, invece, sul lato più 'mondano' di questa splendida serie televisiva. Anche Caravaggio era solito rappresentare icone sacre con volti di popolani. Eppure, oggi più nessuno ne prova imbarazzo...