La storia della nostra televisione e della sua funzione di servizio pubblico raccontata da alcuni dei suoi protagonisti
In occasione della Giornata mondiale della televisione 2019, l'Università telematica internazionale Uninettuno ha presentato, il 21 novembre scorso, il programma televisivo dal titolo ‘Era la Rai: alle origini del servizio pubblico’, curato e ideato da Lilli Fabiani e realizzato dall’Università Uninettuno. L’evento si è svolto nella Sala Conferenze dell’Ateneo, presso la sua sede di corso Vittorio Emanuele II n. 39 in Roma ed è stata un’occasione per riflettere sul ruolo che la Rai ha avuto nella crescita culturale del nostro Paese. Piero Angela, Pippo Baudo, Gianni Bisiach, Enrica Bonaccorti, Fabiano Fabiani, Lorenza Foschini, Carlo Freccero, Angelo Guglielmi, Emmanuele Milano, Tito Stagno, Bruno Voglino, Roberto Zaccaria, Sergio Zavoli, Furio Colombo, Giovanni Minoli sono i protagonisti di questo ‘ciclo’ composto da 15 interviste esclusive, che consegna al pubblico un ritratto inedito dei volti più noti della nostra televisione italiana. Grazie alle loro testimonianze, agli aneddoti e ai retroscena raccontati, ci si addentra nel vivo della storia del servizio pubblico televisivo. Abbiamo dunque estrapolato alcune battute anticipatrici di questo straordinario 'speciale televisivo', nel tentativo di comprendere se, oggi, la Rai delle conoscenze e delle competenze esista ancora, cosa ci si deve aspettare dal futuro e se, all’alba del 2020, abbia ancora senso parlare di ‘servizio pubblico’. Ecco qui di seguito alcune battute, in proposito, di questi indimenticabili personaggi televisivi.
Piero Angela (corrispondente Rai da Parigi e Bruxelles, conduttore della trasmissione ‘Quark’): “Bisogna stare dalla parte degli scienziati per il contenuto e dalla parte del pubblico per il linguaggio. Io posso solo dire che la scienza in prima serata ha funzionato. E che per fare una buona televisione, occorre talento e tanto, tantissimo, studio”.
Pippo Baudo (avvocato, presentatore televisivo): “Io penso, semplicemente, che la Rai dev’essere sinonimo di qualità”.
Gianni Bisiach (medico, scrittore, giornalista d’inchiesta): “Il medico cura le persone una per volta. Il cinema e la televisione, invece, possono cambiare il mondo. La televisione ha soprattutto la funzione di essere una missione: deve aiutare la gente a capire meglio il mondo in cui vive e, possibilmente, a migliorarlo. In ogni caso, io consiglio di tornare un po’ alle origini e di non considerare la televisione solo come un mezzo per fare pubblicità o trarre profitto. Abbiamo degli strumenti straordinari: la televisione e il cinema. Usarli solo per motivi banali e volgare, mi sembra assurdo”.
Enrica Bonaccorti (conduttrice televisiva): “Nella vita, se hai una passione dentro devi sempre alzare la mano: è quello che io chiamo ‘Caso’, con la C maiuscola”.
Fabiano Fabiani (giornalista, dirigente Rai): “La televisione deve saper crescere con il Paese, per portare più cultura, più intelligenza, più conoscenza. Alla Rai del futuro, servirebbe un Consiglio di amministrazione non più nominato con le dinamiche attuali e, se si potesse, abolirei la pubblicità, misurando le necessità di bilancio della Rai con il canone. Con queste proposte, la Rai potrebbe avere un futuro migliore”.
Lorenza Foschini (giornalista, ‘vaticanista’ del Tg2, conduttrice del programma ‘Misteri’): “Secondo me, alla Rai di oggi mancano i grandi uomini, geni in grado di inventare qualcosa di completamente nuovo”.
Carlo Freccero (attuale direttore di Raidue): “Quel che m’inquieta maggiormente, oggi, è riuscire a trovare dei punti cardinali per poter fare un palinsesto. Potere, in qualche modo, creare una televisione un po’ inedita. Come accaduto nel caso della fiction: un racconto che sappia intrattenere, tenendoti fisso davanti allo schermo grazie al dispositivo dell’intreccio”.
Angelo Guglielmi (giornalista, saggista, direttore di Raitre dal 1987 al 1994): “Ancora oggi, io penso a palinsesti composti da trasmissioni e programmi che trasmettano in diretta l’attualità nelle sue varie sfaccettature e la realtà del Paese-Italia. In merito alla Rai di oggi, spero in una riduzione dei costi e dei telegiornali. In una Rai che costruisca non per ‘uso-casa’, ma perché i suoi programmi e le sue serie vadano nel mondo. Se la televisione, la Rai, vuole il suo, deve far questo”.
Emmanuele Milano (dirigente Rai, direttore di Sat 2000 dal 1998 al 2006): “La televisione dev’essere una costruzione nuova e giovane, che aiuti la crescita del Paese e degli spettatori. Un tempo, c’era il monopolio televisivo, che facilitava la possibilità di mettere in prima serata programmi molto impegnativi. Oggi, questo è più difficile, perché c’è una concorrenza che, a quei tempi, non esisteva. Ma anche la concorrezna dev’essere considerata uno stimolo e un invito affinché il servizio pubblico possa affermare e consolidare una televisione nazional-popolare, in cui l’assaggio della ricchezza culturale del nostro Paese risulti collocato nei percorsi e nella vita del pubblico di tutti i giorni”.
Tito Stagno (giornalista, conduttore della storica trasmissione, in diretta televisiva, dedicata allo sbarco dell’Apollo 11 sul suolo lunare): “Io penso a una televisione che si avvicini e che sia sempre più aderente alla realtà. Una televisione che rispetti e che sia costretta a rispettare la verità”.
Bruno Voglino (autore, vicediretore di Radio Rai dal 1996 al 2001): “La mia fama è legata soprattutto al mio buon intuito come ‘talent scout’: ho avuto l’opportunità di cambiare la vita a tanta gente e di accompagnarli nei loro primi passi televisivi. Di programmi ne ho fatto tanti, fin troppi, ma ricordo sempre, con nostalgia e affetto, la mia lunga amicizia con Corrado: un meraviglioso compagno di lavoro. Così come Sandra Mondaini e Franca Valeri: nuove figure che affermarono un nuovo e brillante modello di femminilità”.
Roberto Zaccaria (presidente della Rai dal 1998 al 2002): “La mia ricetta per caratterizzare, oggi, la Rai come servizio pubblico è composta da tre ingredienti imprescindibili: indipendenza economica, programmi di eccellenza e una tv che sappia sorprendere”.
Sergio Zavoli (giornalista, presidente della Rai dal 1980 al 1986): “Ciascuno di noi, con la sua disciplina sociale, può diventare una forza straordinaria se si collega con le frze di tutti i cittadini. Perché la televisione di oggi non si fa promotrice di questo principio”?
Furio Colombo (giornalista, corrispondente dagli Usa per le testate ‘la Stampa’ e ‘Repubblica’): “L’antifascismo era il nostro modo di distinguere un pezzo della nostra vita, quello vissuto sotto il fascismo e il periodo che è nato dopo e che ci ha visti diventare liberi in un giorno: quello della liberazione. Nel mondo della televisione avvengono un’infinità di cambiamenti e miglioramenti tecnologici, da quando c’è solo una telecamera ferma e il mondo che si muove, a quando le telecamere diventano agili, leggere, capaci di inseguirlo. In tal senso, la Rai era veramente il servizio pubblico”.
Giovanni Minoli (giornalista, dirigente Rai): “Se la società cambia, cambiano anche i linguaggi dei nuovi media in funzione delle tecnologie, che necessitano di una comprensione per essere riempiti di nuovi contenuti. La televisione è infatti lo strumento più potente che sia mai stato inventato. Uno strumento che arriva alla pancia e alla testa delle persone”.
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