Giunto alla dodicesima edizione l’occhio ‘indiscreto’ per antonomasia della televisione italiana del terzo millennio implode nella sua stessa ‘mostruosità’, che non fa altro che sguazzare nel parassitismo sociale.
Ispirarsi a un’idea da Nobel della letteratura non è di per sé garanzia di successo. E certamente il format del Grande Fratello, nato in Olanda come Big Brother, non è stato generato con grandi velleità culturali. Tuttavia, il programma è stato ‘replicato’ con stili diversi in moltissimi Paesi. Nel nostro, per almeno 10 anni, ha fatto da ‘apripista’ a un genere televisivo di livello bassissimo. Qualsiasi critica nostrana, comunque, ha dovuto fare i conti con un alto riscontro di pubblico, dalle migliaia di giovani presentatisi ai provini, alle condivisioni su internet, allo share televisivo. Grandi numeri che, da un’analisi più attenta, sono stati condizionati dal gusto popolaresco di prendere in giro e ridere dei concorrenti della ‘casa’, come dimostrato dalla Gialappa's Band con il suo Mai dire Grande Fratello. Ma l’aspetto trash sembra non bastare più e la ricaduta negativa sugli ascolti è evidente. Perché?Facendo una rapida cronistoria ricordiamo che nella primissima edizione i concorrenti furono solamente dieci. C’era il gusto della novità e un po’ tutti, chi più, chi meno, qualche puntata l’hanno ‘esplorata’. Il tutto però ebbe una durata di tre mesi appena. I concorrenti, tra l’altro, non provenivano dal mondo dello spettacolo e, trattandosi di un format di nuovo genere, erano un po’ sprovveduti e inconsapevoli. In quel contesto essere degli emeriti ‘signor Nessuno’ non richiedeva alcuna forzatura e la popolarità ottenuta in poche settimane di programma era, per i diretti interessati, una sorpresa. In pochi anni tutto ciò è totalmente cambiato. Oggi i concorrenti si dimostrano avvezzi alle telecamere e fin troppo consapevoli. Incapaci di r
appresentare se stessi semplicemente per ciò che sono – o non sono in termini di personaggio pubblico – tendono a fornire delle caricature distorte di ciò che dovrebbe rappresentare l’italiano medio. Concorrenti che si improvvisano attori (e infatti molti provengono dal tentativo di sfondare nel mondo della moda o dello spettacolo), fino a seguire un ‘canovaccio’ o un copione teatrale nell’intento di costruirsi un ‘personaggio’. Già, perché solo così si riesce, pur non vincendo, a diventare ospiti di serate in discoteca o trasmissioni televisive con ricchi gettoni di presenza. Ed è probabilmente questa aspettativa di guadagni ‘facili’ a creare quella distorsione sociale che alimenta la voglia di tanti a partecipare ai provini. Non si parla solo di ragazzi: l’eta varia dai 18 ai 60 anni, basta guardare le foto o i provini mandati on line sia per il Gf sia per altri reality, talk o talent show quali “Uomini e donne”, “Amici”, “X Factor” e “Star Academy”. Entrare in uno di questi programmi è qualificante per essere presenti nel gossip mediatico e, perché no, magari partecipare al prossimo Sanremo. Cosa importa se in piazza ci sono gli “indignados” o se il mondo va alla deriva? Il Grande Fratello va avanti comunque, incurante di ciò che succede fuori dalla sua ‘bolla’, tanto che la dodicesima edizione ci propone sette mesi di programmazione e oltre 40 concorrenti. I ‘gieffini’ si moltiplicano, sono sempre lì, a disposizione del pubblico, che li può osservare in ogni momento della giornata. Si offrono a sguardi morbosi, chiusi in un bellissimo acquario, offrendo lo spettacolo di una falsa quotidianità. Si accoppiano, poi ‘scoppiano’, poi si riaccoppiano, si tradiscono, creano alleanze, fanno gruppo, discutono e possono essere cacciati dal programma solo se bestemmiano. Tutto il resto è concesso, anzi una certa dose di ineducazione e cafonaggine è quasi d’obbligo, tutto in nome dell’audience. Ed ecco perciò gli outing degli omosessuali, delle mamme sposate con figli che lasciano tutto da parte, la loro vita e la loro famiglia, pur di partecipare al Grande Fratello e via dicendo. Tutto ciò, purtroppo, in qualche modo rispecchia uno spaccato sociale ben preciso della nostra società. Ma dell’idea originale del programma – un occhio nella vita delle ‘persone della porta accanto’ – oggi resta ben poco. Il programma si pone più come ufficio di collocamento per aspiranti protagonisti dello spettacolo. Ed ecco spiegato come mai tutti i componenti della ‘casa’ coltivano grandi sogni, sperano di fare del cinema o di inserirsi, in un modo o nell’altro, nel mondo della televisione. In realtà, in 12 anni è stato largamente dimostrato che, tra gli oltre 300 ragazzi che hanno partecipato alle edizioni del Grande Fratello, il pubblico ne ricordi a malapena una decina. Tra questi, Luca Argentero e Pietro Taricone (prematuramente scomparso) sono diventati attori, mentre gli altri hanno orbitato attorno al mondo della televisione o dello spettacolo ‘tout court’. Inutile sottolineare che in pochi sono dotati del talento necessario per intraprendere una carriera artistica. Così il ‘materiale umano’ messo a disposizione dai reality appare per quello che è: gente pronta a tutto pur di riuscire a conquistare un pizzico di notorietà. Tuttavia, anche i telespettatori più affezionati cominciano a essere stufi delle crisi di nervi in diretta dall’interno della ‘casa’, dei ‘gieffini’ disperati perché non vedono i loro parenti – se stai così male, torna a casa, nessuno, fino a prova contraria, ti ha sequestrato – delle storie di vita con il leit-motif di un passato difficile e un qualche trauma subito. Forse, il tempo delle larghe concessioni alla cosiddetta ‘televisione delle lacrime’ è finalmente finito, ponendo uno ‘stop’ all’impoverimento dei contenuti mediatici. Le persone, soprattutto in questa fase storica, sono stanche. E sono molto più intelligenti di quanto non crede chi realizza tali programmi. La televisione deve offrire delle formule di intrattenimento che diano anche la possibilità di riflettere, senza spegnere il cervello. Il Grande Fratello non ci rappresenta, se non in minima parte. La gente comune lavora o cerca un lavoro. E quando un’occupazione ce l’ha, la svolge dignitosamente, guadagnandosi il proprio stipendio giorno dopo giorno. A chi verrebbe in mente di prendersi un’aspettativa dal lavoro di almeno 6 mesi per partecipare a un programma televisivo? Solo chi non ha nulla da perdere, evidentemente, o nient’altro da fare. Ed è su questa tipologia di ‘parassitismo sociale’, convinta che basti partecipare a un programma del genere per realizzarsi nella vita, che la televisione deve smettere di fare leva. E questo l’hanno capito ormai tutti.