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23 Novembre 2024

Raccontarsi con l'ombra e la luce di un 'selfie'

di Carmen Posta
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Raccontarsi con l'ombra e la luce di un 'selfie'

Solo alcuni anni fa, chiunque fosse colto in fragrante a farsi una foto da solo veniva etichettato come ‘strano’ e faceva un po’ ridere, se osservato dal di fuori
 
La bocca si espande, mostrando con orgoglio l’intera dentatura – un selfie – “click”! Ecco lo scatto – la mano mette giù lo smartphone – il sorriso si tramuta in un’espressione neutra, seria, vuota d’ogni sentimento. Si ricomincia a vivere la quotidiana realtà fuori dallo schermo: quella senza pose, apparentemente noiosa, con meno sorrisi. Questa mutazione del volto è un atto inconscio, che non sembra essere accompagnato dai pensieri, ma che in realtà ci racconta quali siano le paure dell’uomo del presente e, forse, anche di quello passato e futuro. La consueta scena che vi abbiamo descritto avviene in un pomeriggio come tanti in una città europea qualsiasi, anno 2017. Se siete in uno di quei Paesi definiti ‘sviluppati’, o in quelli cosiddetti ‘in via di sviluppo’, vi basterà ruotare il collo curiosamente. Finirete per guardarvi attorno e osserverete, con estrema facilità, la stessa identica dinamica appena descritta. Ricordiamo che solo alcuni anni fa, chiunque fosse colto in fragrante a farsi una foto da solo veniva etichettato come ‘strano’ e faceva un po’ ridere, se osservato dal di fuori. La solitudine descritta da quella modalità espressiva non aveva ancora preso forma nelle menti collettive e, perciò, non era accettata. Il giudizio: un ridicolo bisogno di trovare conferme sul proprio aspetto o stato di presenza in un’immagine. Un'azione che iSelfie_2.jpgpoteticamente veniva messa in pratica solamente da chi era un po’ un outsider o un disadattato. L’insicurezza, prima non doveva mai trasparire pubblicamente. E questo gesto lasciava trapelare l’uomo insicuro del nuovo secolo. Oggi, il 'selfie' è divenuta un’azione come tante altre: nessuno lo trova anomalo. Un concetto che si è adattato a noi lentamente, con il tempo, immergendo tutte le realtà sociali, fino ad approdare nel comune accordo che l’autoscatto sia una forma di condivisione e che hiunque può utilizzarlo, senza sentirsi strano per questo. Inizialmente, sembrava esserci un eccesso di vanità in esso: una ricerca smaniata che confermasse la propria esistenza: l’accettazione degli altri attraverso i ‘like’. Ma poi qualcosa nell’aria è cambiato: noi siamo cambiati. Paradossalmente, nonostante un inizio un po’ dubbio, il 'selfie' sembra aver preso una 'nuova piega' nel 2023: quella dell’autosservazione, dell’analisi interiore, dello studio del sé. Una condivisione più profonda di ciò che si vive e si è nel momento presente. Dietro a questa pratica, vi è una nuova visione moderna dell’insicurezza. Come se attraverso quel ‘click’ si facesse un passo in avanti, verso l’accettazione della fragilità che risiede dentro ognuno di noi. Non siamo di certo i primi a usare la fotografia in questo modo. Grandi artisti del calibro di Robert Doisneau, Vivian Maier, Diane Arbus e Robert Mapplethorpe hanno usato l’autoscatto come forma di espressione, autoconoscenza, liberazione e integrità personale. E anche se molti potrebbero obiettare che si trattava di una modalità differente, in fin dei conti il bisogno interiore è lo stesso: raccontarsi per reincontrarsi.
Così l’autoscatto anche dai semplici telefonini, come molte altre forme di espressione, ha iniziato a rappresentare, per alcuni, il crollo delle apparenze. Un’immagine intima, che ci mostra più veri. Una forma d’arte più comune, meno di nicchia, che altro non è che la ricerca della verità condivisa. Una ‘gittata’ inaspettata, insomma, che forse ci libererà delle nostre maschere per permettere agli altri - e a noi in primis - di vedere e condividere chi siamo veramente.
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Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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