Nuove scoperte hanno portato alla luce una sirena in avorio e altri preziosi oggetti
Dopo due anni di parziale inattività dovuti alla pandemia da Covid 19, a luglio scorso una campagna di scavi nel parco archeologico di Selinunte (Tp) ha riportato alla luce i resti dei primi anni di vita dell’antica città siceliota (abitanti delle poleis greche di Sicilia). La campagna di scavi ha coinvolto l’Università degli studi di Milano e l’Institute of Fine Arts della New York University, affiancati dalla squadra dell’istituto Archeologico Germanico di Roma, con “risultati della massima importanza per la conoscenza di Selinunte in età arcaica e classica”, come sottolinea Clemente Marconi, docente di archeologia classica presso l’Ateneo milanese, da decenni impegnato nello studio dei resti della colonia greca. L’indagine, che riprende i lavori avviati nel 2018, ha interessato tre aree di studio: lo spazio tra due templi peripteri dell’acropoli (denominati ‘Tempio A’ e ‘Tempio O’), una crepa nel terreno a nord del ‘Tempio O’ e, infine, il completamento dello scavo relativo all’angolo sudest della cella del ‘Tempio R’ e dell’area tra la fronte ovest del ‘Tempio R’ e il fianco sud del ‘Tempio C’. "L’identificazione di una faglia acquifera in corrispondenza delle fondazioni del ‘Tempio A’ consente", spiega il professor Marconi, "di avvalorare l’ipotesi che proprio in questa porzione dell’acropoli si sia installato il primo insediamento greco". Particolarmente importanti le scoperte nel settore meridionale del grande santuario urbano, dove la missione archeologica opera dal 2006. Il completamento fino alla roccia all’interno del ‘Tempio R’, di uno scavo condotto dieci anni fa (noto per il rinvenimento dei resti dell’aulos, uno strumento musicale aerofono usato nell’antica Grecia, ndr), ha consentito l’identificazione della base di muri d’argilla mista a cenere, con ogni probabilità recinti per lo svolgimento di attività rituali e associati ai primi edifici di culto eretti in quest’area verso il 610 avanti Cristo. Questo scavo ha inoltre permesso il rinvenimento di una dozzina di manufatti, quali: cuspidi di lancia in ferro, pesi da telaio, vasi per profumi di produzione corinzia, oggetti di ornamento personale, la seconda metà di un grande frammento di matrice bivalve in calcare finissimo per un oggetto di bronzo (la prima metà dello stampo era stata rinvenuta in un’area contigua nel corso del precedente scavo di dieci anni fa). Si ritiene che lo stampo servisse per fondere un oggetto molto prezioso - forse uno scettro - e che per questo motivo, una volta utilizzato per la fusione, sarebbe poi stato diviso nelle sue due parti per essere sepolto nel tempio. Sono state invece rinvenute, nel corso dello scavo del fianco del ‘Tempio C’ iniziato poco prima della pandemia e oggi completato fino alla roccia, piastre di cottura d’argilla di tipo greco per sacrifici animali, con una grande quantità di ceramica di Megara Hyblaea, da cui partirono i coloni che fondarono Selinùs, che consente di datare i templi ai primi anni di vita della città. Altre scoperte significative provengono, tuttavia, dal lavoro di laboratorio, con il completamento del restauro dell’amuleto raffigurante un falco blu egizio, immagine del dio del cielo, Horo, prodotto in Egitto tra la fine del settimo e l’inizio del sesto secolo a. C. e dedicato, come offerta votiva, alla dea del ‘Tempio R’ in occasione della costruzione del ‘Tempio C’, a cui si aggiunge il rinvenimento, tra i resti provenienti dalla cella (parte interna del tempio) del ‘Tempio R’ (scavato nel 2017), di alcuni frammenti di una sirena in avorio alta circa 2,5 centimetri, databile intorno alla metà del sesto secolo a. C. “La piccola scultura”, commenta il professor Marconi, “è stata ricostruita nella sua interezza. E, con ogni probabilità, si tratta di un’importazione dal Peloponneso, confrontabile con analoghe sculture in miniatura in avorio provenienti da Delfi, a ulteriore testimonianza del livello di ricchezza raggiunto da Selinunte nel corso del sesto secolo prima di Cristo”. I lavori sul terreno e in laboratorio sono stati accompagnati dallo studio del sito dall’alto, attraverso l’utilizzo di droni, i quali hanno consentito di apprezzare il senso dell’ampiezza dell’agorà, la piazza ‘centro’ della vita cittadina, che si stima raggiunga un’estensione di 33 mila metri quadrati: la più grande del mondo antico. Un grande spazio vuoto con, al centro, unico monumento: una tomba, forse quella del fondatore della città. Grazie ai lavori di ‘scerbatura’ predisposti, secondo le indicazioni degli studiosi dell’Istituto Archeologico Germanico, dal direttore del parco archeologico di Selinunte, dottor Felice Crescente, è possibile ora avere una visione d’insieme della misteriosa agorà: “E’ un vero mistero”, afferma il direttore Crescente, “perché bisogna ancora comprendere a cosa servisse questo grande spazio: un’estensione vuota che non aveva la possibilità di essere visto nel suo insieme. Un primo esempio di musealizzazione su vasta scala che, sfruttando il contrasto creato dal diverso modo di rilasciare o assorbire la luce naturale della vegetazione diversamente trattata, restituisce un’immagine chiara e con contorni netti dello spazio visivo”. Selinunte fu fondata nel settimo secolo a. C. da alcuni gruppi di coloni provenienti da Megara Hyblea, nei pressi dell’attuale Augusta (Sr), per cercare nuovi sbocchi commerciali. Dopo due secoli di prosperità, la rivalità con Segesta, appoggiata da Cartagine, ne determinerà la fine per mano dei soldati guidati da Annibale Magone. Ne rimangono le meravigliose rovine che si affacciano sulla costa sud-occidentale della Sicilia, nel parco archeologico più grande d’Europa, che non cessa ancora oggi di raccontarci la storia dell’antica Selinùs.