L’uso di internet sta generando un ‘appiattimento sociale’ verso il basso: chiunque ritiene di possedere ‘titolo’ per intervenire in qualsiasi campo o settore, eliminando ogni merito qualitativo. Non è soltanto una questione di ‘forma’: anche il nostro mondo pratico e materiale è sempre più a ‘rischio-paralisi’
“Gli manderemo un messaggio (a Putin, ndr), abbiamo la capacità per farlo. Ne verrà a conoscenza. E ciò avverrà nel momento delle nostre votazioni, sotto le circostanze che avranno il più grosso impatto”. Queste le parole pronunciate da Joe Biden, vicepresidente americano attualmente ancora in carica lo scorso quindici ottobre, in un'intervista televisiva concessa alla Nbc. Retroscena della vicenda: i recenti 'attacchi informatici' per opera dei russi, secondo l’Fbi e la Cia, che hanno avuto come principali obiettivi diversi 'spazi web' del Partito democratico statunitense, le e-mail private di Colin Powell, ex Segretario di Stato durante l’amministrazione di Bush ‘junior’ e il sito della ‘Wada’ (Federazione internazionle antidoping), mettendo in luce valori 'anomali' per le sostanze proibite scoperte nelle analisi di diversi atleti americani. La teoria più verosimile è che il vicepresidente alluda a un futuro (prossimo) attacco informatico. Ipotesi a parte (sembra che si sia passati dalle solite accuse più o meno dirette a vere e proprie minacce esplicite, con annessa evidente irritazione del presidente russo), è interessante porre in evidenza il ‘relativamente nuovo’ campo di ‘gioco’ verso cui tutte le maggiori potenze continuano a investire e che, prevedibilmente, sta acquisendo sempre più importanza nel mondo contemporaneo: il ‘cyberspazio’. Cosa s’intende con quest'ultima parola? Citiamo dalla Treccani: “Spazio virtuale nel quale utenti (e programmi) connessi fra loro attraverso una rete telematica (vedi, per esempio, internet) possono muoversi e interagire per gli scopi più diversi […]”.
Abbiamo definito il settore ‘relativamente nuovo’, perché i primi ‘attacchi’, in questa ‘quinta dimensione’ del mondo (considerando come quarta il tempo) iniziarono già negli anni ’80 del secolo scorso. La vera differenza, rispetto ad allora, va ricercata nella quantità di ‘fili’ che tessono la grande ‘ragnatela’ mondiale e a cosa essi sono collegati, ovviamente. Fino al 1991, la rete internet, ossia l'interconnessione fra computer fisicamente molto distanti fra loro, era appannaggio quasi esclusivo delle università e della difesa. Detto ciò è naturale comprendere come già a quel tempo il furto di informazioni e gli attacchi per via elettronica potessero essere insidiosi. Oggi, però, si rischia una ‘paralisi globale’. La novità, rispetto a cinque o dieci anni fa, non sta tanto nel fatto che sia possibile ‘attaccare’ chiunque, da qualunque parte del mondo e in tempo reale, quanto piuttosto in quale ‘maniera’ sia possibile farlo. Analizzando, infatti, alcuni dei (sicuri) prossimi sviluppi della rete internet e della connessione globale, infatti, il rischio ‘paralisi’ non è soltanto metaforico. Si pensi, per esempio, alla metro ‘C’ di Roma: una linea totalmente ‘automatizzata’, senza conducente. Ovviamente, trattandosi di trasporto su ‘ferro’, il percorso è prestabilito: l'unica connessione ‘notevole’ sarebbe quella con il ‘Centro di controllo associato’, che può benissimo funzionare senza internet. Tutte le informazioni necessarie per operare in maniera efficiente sono, cioè, circoscrivibili alle 'strutture fisiche' nella quale essa si trova a lavorare, (scambi di rotaie, stazioni, tunnel e così via), ovvero per fattori ben limitati. Tuttavia, sappiamo cosa significhi, a Roma, dover intervenire ‘manualmente’ sul trasporto ferroviario ‘interno’: solamente per 'reclutare' il personale temporaneamente ‘smistabile’ sulla nuova 'linea orientale’ della metropoli capitolina, la ‘paralisi’ si creerebbe ugualmente. Supponiamo, allora, di prendere un'automobile e di 'automatizzarla' completamente: gli sviluppi, in questo comparto, sono già a buon punto. Ebbene, gli unici spazi fisici direttamente sorvegliabili e controllabili dal mezzo sono, ovviamente, l'abitacolo e lo 'spazio esterno' immediatamente circostante. Risulta quindi assai chiaro come l'unica maniera affinché il veicolo possa procedere in maniera 'armoniosa' e sicura sia la condivisione in tempo reale di una grande quantità di informazioni (per esempio, posizione e velocità, per prevedere in anticipo come dovranno procedere due autoveicoli per non entrare in collisione tra loro). Insomma, tutto ciò richiede una connessione internet. Ma, allora, cosa vieta a un ‘terzo’ di collegarsi in maniera illecita con un veicolo e prenderne il ‘controllo a distanza’? Ottima domanda. Questo discorso vale per mille altre ‘applicazioni’, materiali e non: ‘smart-home’ (case capaci di regolare temperatura, illuminazione e riscaldamento dell’acqua in maniera autonoma), dispositivi medici, agricoltura, industria, la ciotola della gatta del nostro direttore responsabile, che ci avvisa quando essa è vuota. Un'ulteriore peculiarità di questo tipo di ‘attacchi’ è la sua 'non fisicità’ o, per meglio dre, la non fisicità dell'atto dell'attacco, poiché ovviamente le sue conseguenze sono più che ‘tangibili’. Ciò conduce a varie ‘complicazioni’: in primis, la quasi totale incapacità delle due o più parti in ‘gioco’ nel definire l'effettiva potenza avversaria, poiché spesso gli stessi Governi si affidano a organizzazioni indipendenti di ‘hackers’; in secondo luogo, l'impossibilità di definire con certezza il luogo da cui abbia avuto origine l'attacco medesimo, la qual cosa comporta, come conseguenza, che ogni accusa non possa di certo essere presa ‘bene’. Fin qui, abbiamo parlato del 'lato pragmatico' della questione. Ne esiste, tuttavia, anche uno ‘psicologico’, fors’anche più pericoloso: la ‘disinformazione’. Citando Umberto Eco: “Internet? Ha dato diritto di parola agli imbecilli”, noi pensiamo, piuttosto, che il vero problema della rete sia stato quello di aver privato di ogni ‘briciola’ di opinione coloro che già possedevano una scarsa capacità critica. Ciò in quanto la visibilità di un determinato ‘pensiero’ conta, ormai, più della sua 'effettiva validità'. Un mondo che si muove in maniera così veloce costringe a pensare e a elaborare moltissime informazioni in pochissimo tempo. Sono dunque le ‘condivisioni’ a rendere autentica una teoria? E’ la quantità di ‘likes’ a donare fascino a una ragazza? Sono i ‘followers’ il ‘metro’ di autorevolezza di una persona o di un professionista qualsiasi? Noi pensiamo che l'applicazione del pensiero ‘democratico’ in parte abbia fallito: come può una persona che non sia un medico esprimersi riguardo all'effettiva validità di una terapia, tanto per citare un classico esempio di scuola? Ciò vale per mille altri mestieri: l'Italia possiede oramai un grandissimo numero di analisti e opinionisti politici, di esperti in giurisprudenza, di critici d’arte, di filosofi, scienziati, studiosi di religione e via dicendo. Eppure, siamo il Paese con la più bassa percentuale di laureati, diplomati o ‘specializzati’ dell’intero mondo industrializzato. Tutto ciò ‘appiattisce’ la qualità professionale generalmente intesa verso il ‘basso’. Ed elimina ogni ‘corpo intermedio’, come per esempio gli impiegati di concetto, dalla strutturazione sociale e persino dal mercato. Ormai, ci viene insegnato a non leggere più i giornali, a non accendere la radio in macchina, a non credere nelle professioni ‘indipendenti’, a eleggere il ‘becero qualunquista’ di ‘turno’ portatore della verità assoluta, insomma a trasformarci in una massa di ‘anticonformisti’ gli uni uguali agli altri. Pensiamo sia lecito, a questo punto, cominciare a fornire all'interno della rete e in maniera ‘differenziata’ i giusti spazi a chi veramente li merita, al fine di diffondere quelle conoscenze e quella cultura che come tali possano esser definite. In alcuni ‘campi’ sono le azioni a definire i diritti di una persona. E, fatti salvi i diritti fondamentali, in molti settori non è affatto vero che siamo tutti ‘uguali’: bisognerebbe cominciare ad ammetterlo.
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