Gli atteggiamenti crudeli e vessatori minano l’autostima della vittima al punto da generare conseguenze gravi, come depressioni, dismorfofobia e in alcuni casi addirittura suicidio
“Brutto/a”, “grassa/o”, o “Non sarai mai amata/o”: in molti avranno subito la violenza mortificante della 'presa in giro'. Il 'body shaming' è l’insulto sull’aspetto fisico, dove il corpo diviene prigione e chi subisce l’angheria sente di non avere via d’uscita. Per troppo tempo ridimensionato a semplice 'ragazzata', la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20251/2022, ha stabilito che il 'body shaming' rientra nel reato di diffamazione. L’atto di 'bullismo' o 'cyberbullismo' è comunque, già di per sé, un reato, che può sfociare sia in ambito penale, sia civile. Con la sentenza della Corte di Cassazione n. 28623/2017 si è reso applicabile l’articolo 612 bis c. p. per il reato di atti persecutori in ambito di 'bullismo'. Ma mentre il 'bullismo' vero e proprio si verifica spesso in fase adolescenziale e in contesto scolastico, con l’amplificarsi delle possibilità tecnoinformatiche e digitali su internet i comportamenti vessatori possono arrivare da 'haters' (letteralmente: 'odiatori', ndr) sconosciuti. Pensiamo, per esempio, ai commenti sul peso di BigMama, la rapper e attivista Lgbtqia+ che, recentemente, ha denunciato il 'bullismo' e il 'body shaming' nell'aula dell'Assemblea generale dell'Onu. La conseguenza di questi atteggiamenti crudeli minano l’autostima della vittima, al punto da generare conseguenze gravi come depressioni, 'dismorfofobia' e, in alcuni casi, addirittura il suicidio. La 'dismorfofobia' è la condizione per cui un difetto fisico, reale o immaginario e la paura di non piacere, induce all’annientamento dell’individuo che ne soffre. In questo caso, possiamo trovarci davanti anche a una preoccupazione cronica per un difetto non così evidente. Addirittura, in altri casi, assente, ma che può esser stata scatenata, tra le molteplici motivazioni psicologiche, da fattori esterni come il contesto famigliare e il confronto con il mondo esterno. La discriminazione nei confronti degli individui per l’apparenza fisica prende il nome di 'lookismo': termine anglosassone traducibile in italiano con 'aspettismo'. E' un tipo di emarginazione che ha ricevuto molta meno attenzione culturale rispetto ad altre forme di discriminazione, come il razzismo e il sessismo. Uno studio del 2004 aveva già rilevato che sono più numerose le persone che riferiscono di esser state discriminate a causa del loro aspetto, piuttosto che a causa della loro etnia. La gente, purtroppo, tratta in modo diverso le persone attraenti da quelle poco attraenti, secondo standard di bellezza socialmente accettati. Ciò si ripercuote nella sfera non solo relazionale, ma anche lavorativa in cui, per esempio, tra i requisiti richiesti negli annunci di lavoro c’è la richiesta di 'bella presenza'.
David Brooks del 'New York Times', in un articolo specifico ha fatto un esempio-paradosso: “Un manager siede dietro un tavolo e decide che licenzierà una donna perché non gli piace la sua pelle. Se la licenzia perché la sua pelle è scura, lo chiamiamo razzismo e c’è ricorso legale; se la licenzia perché la sua pelle è femminile, lo chiamiamo sessismo e c'è ricorso legale; se la licenzia perché ha la pelle butterata e la trova poco attraente, beh, non ne parliamo molto e, nella maggior parte dei posti di lavoro in America, non c'è ricorso legale”. Sempre Brooks ha affermato, in seguito, che “non esiste alcuna ‘Associazione nazionale delle persone brutte’ che faccia pressione per il cambiamento”. In realtà, in Italia esiste, sin dal 1879, il 'Club dei brutti' a sua volta associata al 'World Association of the Ugly People', fondata a Piobbico (PU), un paese delle Marche - dove ha ancora sede - con lo scopo di sensibilizzare sui problemi dei 'brutti', ridimensionando l'importanza dell'apparenza nella società moderna. Il 'club' si è occupato varie volte di combattere la discriminazione per l'aspetto fisico sul luogo di lavoro. Inoltre, nel 2005, aveva 25 succursali in diversi Paesi europei e americani e 25 mila iscritti, tra cui personaggi noti come il politico, Giulio Andreotti, i conduttori Mike Bongiorno e Paolo Bonolis, l’attore Pippo Franco. La nostra società celebra la 'bellezza' (o meglio: ciò che viene considerata in quanto tale, secondo parametri, convenzioni e canoni estetici attuali, ndr) in modo ossessivo. Ma questo 'humus' è il terreno su cui affondano le radici il 'body shaming', la 'dismorfofobia' e il 'lookismo'. Una posizione controversa è quella dei concorsi di bellezza: già nel 2022, proprio Miss Italia non è stato più trasmesso in Rai, “perché i valori del concorso non sono più in linea con quelli di oggi”.
Il vero nemico non è la 'bellezza': quella continuerà a salvare il mondo. Ma la sua ‘dittatura’ può indurre una bambina a pensare di non essere 'abbastanza' per pensare di essere amata. Oppure, che una volta cresciuta, le trasformazioni del corpo l’hanno resa fin troppo attraente per poter essere considerata immediatamente intelligente, senza la necessità di doverlo dimostrare. Insomma: a cambiare dovrebbero essere i condizionamenti e le convenzioni sociali verso il corpo, che di fatto è solo un involucro, per puntare, finalmente, sulla valorizzazione della persona per il suo essere e la sua essenza, andando oltre il 'body positivity' e verso il 'body neutrality'. Perché lo scopo non è la sostituzione di un canone con un altro (come nelle categorizzazioni tipo 'curvy' e via dicendo), ma l’idea che il riconoscimento individuale dovrebbe passare esclusivamente attraverso caratteristiche comportamentali.