Il comitato ‘Trasparenza è partecipazione’ composto da vari aspiranti dirigenti scolastici ha diramato una nota in cui spiega la storica sentenza del Tar del Lazio
Il Tar Lazio-Roma, con la sentenza n. 8655 del 2 luglio 2019, ha accolto il ricorso n. 6233/2019, riconoscendo la fondatezza dei vizi di legittimità degli atti di nomina della Commissione giudicatrice da parte del Miur e, conseguentemente, del verbale della seduta plenaria del 25 gennaio 2019, per la sussistenza di condizioni di incompatibilità di alcuni componenti della Commissione stessa. Nel caso di specie, si tratta di Elisabetta Davoli e di Francesca Busceti, che svolsero corsi di preparazione nei mesi antecedenti all’espletamento del concorso per gli aspiranti presidi e di Angelo Francesco Marcucci, sindaco in Campania e, per questo motivo, incompatibile con la carica di commissario nel pubblico concorso di cui si discute. L’incompatibilità rilevata dal Tar per i tre componenti è un dato inconfutabile e risponde ai principi di imparzialità e di trasparenza dettati dallo stesso Miur nel 'Regolamento per la definizione delle modalità di svolgimento delle procedure concorsuali per l’accesso ai ruoli della dirigenza scolastica'. Il Tar, a sostegno della propria decisione, ha riportato il seguente principio giuridico: “La commissione opera come collegio perfetto in tutti i momenti in cui vengono adottate determinazioni rilevanti ai fini della valutazione dei candidati” (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. III bis, 14 novembre 2018 n. 10964. In termini, cfr. ex multis Cons. di Stato, Sez. VI, 18 settembre 2017, n. 4362); talché, la presenza anche di un solo componente versante in situazione di incompatibilità mina in radice il principio del collegio perfetto con conseguente invalidità delle attività svolte”. Il Tar si è pronunciato con sentenza breve, accogliendo il motivo più immediato, quello che ha permesso, nell'evidenza, l’emissione di una decisione. Di fatto, la censura accolta è ampiamente documentata e giuridicamente fondata, non implicando la necessità di ulteriori accertamenti e verifiche. Ergo, il Tar ha scelto di addivenire all’emissione di una sentenza breve sull’unico motivo che ha consentito l’immediatezza del risultato, ovvero l’annullamento del concorso. La legge 21 luglio 2000 n. 205, nel disciplinare le ‘decisioni in forma semplificata’, ha previsto le fattispecie per le quali è possibile definire il giudizio con sentenza in forma semplificata o breve. La norma, precisamente, ammette ciò “nel caso in cui si ravvisino la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso” (art. 9 della L. 205/2000, che sul punto ha novato l’art. 26 della L. 1034/1971 – cd. L. T.A.R.). Il dato testuale – così come si evince dalle recenti interpretazioni giurisprudenziali - sembra decisamente far propendere, per la sua applicazione, in tutte quelle questioni di semplice apprezzamento, senza rinunciare alla decisione della controversia nel diritto sostanziale. 'Stricto sensu', si parla di sicura convinzione del Collegio giudicante (unico arbitro della 'manifesta' fondatezza o infondatezza) circa la presenza del vizio invalidante, in relazione al quale la norma riconnette la possibilità di chiudere la controversia con una pronuncia di accoglimento del ricorso. Per ciò che attiene alle altre dieci censure sollevate nel ricorso indicato in premessa, pur essendo state disattese dalla sentenza in parola, non può assolutamente affermarsi che non fossero meritevoli di accoglimento. In buona sostanza, il Tar ha accolto in pieno l’unica doglianza che non ha implicato l’assunzione di ulteriori prove e, quindi, un’eccessiva dilazione di tempo, con la conseguenza di poter definire il giudizio immediatamente e velocemente. Pertanto, si reputano destituite da ogni fondamento tutte le illazioni, le congetture, le supposizioni 'ad libitum', volte ad interpretare la decisione del Tar in maniera approssimativa, tanto da trarne 'sic et simpliciter' un effetto demolitorio delle censure non accolte. Se ne desume che si tratti di interpretazioni lontane dalle norme di diritto rilevanti nel caso concreto. Conseguentemente, si reputa di poter sostenere che tutti i motivi rigettati dalla sentenza del Tar possano essere riproposti e, quindi, rivisitati dal Consiglio di Stato e, soprattutto, a esito del supportato di idonea attività istruttoria, essere pienamente accolti. Quindi, l’esito del giudizio del Consiglio di Stato, anche nell’ipotesi in cui dovesse non confermare l’unico motivo accolto dal Tar, ben potrebbe e può accogliere le ragioni dei ricorrenti su tutte le altre censure allo stato rigettate. Si impone l’attenzione sulla concreta possibilità di tale evenienza, essendo stati raccolti dai ricorrenti validissimi elementi istruttori, che già conducono nella direzione dell’accoglimento totale dei motivi avanzati. Infine, si auspica che il Consiglio di Stato vada oltre, eliminando 'ex abrupto' tutte le illegittimità riscontrate, per ristabilire la legalità e permettere a tutte le parti lese, vincitori e vinti, (sopratutto quelli che hanno subito danni irreparabili dalla presenza di commissari incompatibili e ubiqui nella propria commissione che non erano legittimati a valutare) di avere giustizia.