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18 Aprile 2024

Isabella Morabito: "La scuola italiana non ha percorsi dedicati ai bambini più intelligenti"

di Andrea Termini
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Per interi decenni abbiamo pensato che i ragazzi ‘plusdotati’, cioè quelli con una velocità di apprendimento più elevata o che possiedono talenti particolari, non avessero alcun problema rispetto ai minori con deficit: ci siamo preoccupati degli ‘ultimi’, senza mai occuparci dei ‘primi’
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'Gate Italy' è un’associazione scientifica nazionale, senza scopo di lucro, che riunisce i principali esperti italiani sui temi della 'plusdotazione' (i bambini dotati di capacità intellettive fuori dal comune, ndr) e dei loro bisogni educativi speciali, con un team ‘multidisciplinare’ in grado di accompagnare le istituzioni pubbliche e scolastiche nel compito di riformare ed aggiornare l'offerta didattica, per rispondere in modo efficace alle necessità emergenti di questa tipologia di minori con trattamenti educativi speciali, a quelli delle loro famiglie e dei loro insegnanti. Abbiamo dunque intervistato Isabella Morabito, direttore di questo progetto.

Isabella Morabito, perché in Italia il concetto di differenziazione del modello educativo, per quanto riguarda i 'gifted children', è arrivato in ritardo di decenni rispetto a molte altre nazioni?
“Principalmente, il problema italiano è di tipo culturale: l'orientamento è stato esclusivamente quello di aiutare coloro che hanno dei deficit. Esiste, da sempre, questa logica, secondo la quale il merito viene sempre in seconda, terza o quarta ‘battuta’. L'obiettivo della scuola era di portare tutti a un livello di base. Ed è stato già molto riuscire a far questo. Tutta l'attenzione, a livello finanziario e progettuale, era concentrata nell'aiutare chi aveva bisogno. In questo, noi siamo stati dei ‘pionieri’ rispetto all'Europa e al resto del mondo: abbiamo fatto in modo che le persone con deficit di natura intellettiva o fisica potessero integrarsi e arrivare a un livello accettabile di competenze. Tutto questo ha riguardato, tuttavia, un 5% circa della popolazione scolastica, a discapito dell'altro 5%, costituito dai 'gifted children'. Non ci si è posti neanche il problema di domandarsi cosa farne degli altri, perché essi semplicemente non esistevano. Questi bisogni educativi, propri del bambini ad alto potenziale cognitivo, che hanno necessità diverse poiché più dotati intellettualmente e con un differente percorso mentale, non sono mai stati presi in considerazione”.

La vostra organizzazione ha un comitato etico che, tra i suoi vari compiti, ha quello di garantire pari opportunità ai ‘gifted childen’: cosa intendete con ciò? Non pensate che il concetto di 'pari opportunità' possa in qualche modo limitare le potenzialità del ‘gifted child’?
“La Costituzione - e non solo - afferma che vi debbano essere “pari opportunità” fra gli individui. Ma al momento, a questa precisa fascia scolastica, tale principio non viene garantito, soprattutto per quanto riguarda il diritto allo studio. In qualche maniera, il concetto di ‘pari opportunità’ deve essere personalizzato: se, banalmente, mi annoio in classe perché quelle cose le so già fare e tu, docente, non mi dai qualche altro strumento per far sì che non perda altro tempo, ma possa arricchire le mie competenze e capacità, questa è una negazione di tale diritto. Non è da considerarsi favoritismo, perché pari opportunità è un concetto che funziona in ambo i sensi. E in questo momento, tale categoria di ragazzi neanche esiste, dal punto di vista culturale e normativo. Si tratta, semplicemente, di rispondere ad un bisogno…”.

Per quanto riguarda l'integrazione di questi ‘gifted children’, nell'attuale sistema di istruzione pubblica si vogliono creare delle classi a parte, oppure utilizzare dei ‘tutor’, come già avviene per gli studenti disabili?
“Il concetto di inclusione vale anche per questi bambini. Ci sono realtà, come per esempio New York, da cui sono appena tornata, in cui vi sono scuole esclusivamente dedicate ai ‘gifted’. Per il nostro modo di pensare e per la nostra cultura, una cosa di questo tipo sembGifted_2.jpgra fuorviante. Invece, è necessario promuovere la personalizzazione degli interventi didattici, con modalità di arricchimento che nulla tolgano alla presenza fisica in classe con i compagni, che comunque rimane di primaria importanza per il bambino. Sono quindi necessari nuovi strumenti didattici e un'attenzione particolare. Non dobbiamo pensare a un'Italia con un modello di pensiero differente. E non è detto una scuola di soli ‘gifted’ funzionerebbe, con il rischio di ‘ghettizzare’ questa fascia di studenti”.

Visto che questi bambini procedono con una velocità di apprendimento sensibilmente più elevata, la durata degli studi rimarrebbe sempre la stessa?
“Diciamo di sì. Ci può essere un salto di un anno, però viene da noi proposto sempre molto poco, perché esiste un'età anagrafica che significa doversi confrontare con i propri coetanei. Un bambino con una differenza di due anni, già ne risente tantissimo: anche se a livello cognitivo può tranquillamente stare con i più grandi, in termini emotivi e relazionali per lui sarebbe veramente dura”.

Esiste un dibattito aperto relativo all'affidabilità dei test di intelligenza, i quali possono fornire risultati differenti a seconda della loro tipologia, o valutare maggiormente degli specifici campi cognitivi, come per esempio quelli logico-matematici, a discapito di altri: in che modo li applicate? E cosa pensate riguardo questa questione?
“Se vengono eseguiti da personale qualificato, i test sono attendibili ed essendo standardizzati godono di riconoscimento scientifico. Che possano essere poi utilizzati in maniera impropria, o da personale non qualificato, è un'altra storia. Nel momento in cui, come nel nostro caso, vengono applicati con protocolli validati da un comitato scientifico, essi costituiscono, per noi, dati di ricerca e sono quindi veritieri. Nello specifico, si tratta di test psico-diagnostici, che vanno a valutare gli aspetti cognitivi, emotivi e di personalità, per definire quindi un quadro complessivo della persona”.

Perché è importante valutare anche i lati emotivi e psicologici di questi bambini?

“Perché anche essendo in possesso di capacità cognitive elevatissime, al contempo mostrano spesso un lato emotivo particolarmente fragile e ciò può impedire il raggiungimento di risultati soddisfacenti, sia nella scuola, sia nel lavoro. Se un ‘gifted children’ è debole, da questo punto di vista, potrebbe non essere in grado di affrontare le normali prove del percorso scolastico e non solo. In questi casi diviene più importante lavorare sugli aspetti emotivi, piuttosto che insistere sulle capacità cognitive: in primis, viene il benessere del bambino, che viene raggiunto valorizzandolo in ogni suo lato, non soltanto quello cognitivo”.

Che tipi di servizi erogate come organizzazione?
“Offriamo delle valutazioni cliniche che riguardano l'analisi del profilo cognitivo e, altresì, supporto alle famiglie di questi bambini. Abbiamo inoltre diversi progetti, a livello scolastico, come 'Scopri il talento che c'è in te', per una prima valutazione cognitiva dei ragazzi. Poi abbiamo anche delle attività extra-scolastiche, come per esempio il 'Talent Camp' e 'BooTalentCamp'. A completamento di questo quadro, eroghiamo anche dei corsi per la formazione specifica degli insegnanti che avranno il compito di educare questi piccoli e vari progetti per il supporto didattico nelle scuole. A livello nazionale, operiamo soprattutto in Veneto, Lazio, Basilicata, Puglia, Toscana e Trentino”.

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Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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