Dall’inizio del Berlusconi-ter i dipendenti pubblici sono stati bollati come fancazzisti di prim’ordine. Sono oltre 3.500.000 gli italiani additati come male assoluto e trita soldi pubblici. Eppure sono gli unici, o quasi, a fungere da bancomat quando c’è necessità di far cassa, così come sono tra i pochi che non possono permettersi di sfuggire alla mannaia fiscale.
Etichettati come 'fannulloni' dal ministro Brunetta e 'invidiati' da molti connazionali, i dipendenti pubblici sono 'quelli' che hanno ottenuto il posto fisso a tempo indeterminato. Il lavoro con la L maiuscola, perché lo Stato è un'azienda che non 'fallisce'. O almeno così era. Ma anche in questo il nostro Paese ha subito una trasformazione. Sì perché anche nella PA il dipendente 'sente la crisi'. Per carità pur senza voler santificare la categoria o farla diventare martire, non possiamo certo negare che alcuni dati balzano all’occhio di qualsiasi osservatore attento. Tanto per cominciare la categoria è stata fortemente penalizzata dall’ultima manovra estiva: con il blocco del rinnovo dei contratti e il blocco del turn-over (cinque pensionamenti nella PA saranno compensati con un solo nuovo ingresso). Di conseguenza ci saranno 300.000 dipendenti pubblici in meno entro il 2013 (centinaia di posti di lavoro in meno e tagli che non tengono conto dei settori dove vi è già un deficit di personale). "Il contenimento dei numeri del pubblico impiego – assicura Brunetta presentando il rapporto dell'Ocse sulla riforma della pubblica amministrazione in Italia – verrà raggiunto senza pregiudicare volume e qualità dei beni e servizi pubblici offerti". Sarà, eppure la denuncia dei pochi servizi pubblici e di scarsa qualità è una costante in tutte le regioni italiane: dalla scuola alla sanità, passando per ogni incombenza che vede il singolo rapportarsi con lo Stato. Oltretutto, se da un lato il ministro parla di risparmi, dall'altro dice che nell’ultimo anno sono stati conferiti il 15% in più di incarichi a funzionari interni alla PA, ma allo stesso tempo sono aumentate le consulenze esterne per un 16%, per un totale di 1 miliardo e 200 milioni di Euro annui. Il che, a ben vedere, è una contraddizione: risparmi tagliando posti ma spendi esternalizzando il lavoro. Senza contare le mancate promesse sui premi di produttività (in pochi sanno che quando si conteggiano i giorni di assenza del pubblico dipendente, si mette nel calderone anche la malattia, i vari tipi di permessi e le ferie). Il nodo della questione lo spiega molto bene Friedrich Schuster, presidente della Provincia di Vicenza, in un intervista pubblicata su Il Giornale di Vicenza: "negli ultimi cinque anni la nostra giunta è passata da 500 a 400 dipendenti, da 14 a 10 dirigenti, con un risparmio di un milione di euro l'anno e con una incidenza della spesa del personale sulle spese correnti del 19%, a fronte di una media italiana del 36%. Una politica di risparmio che non ha certo avuto come obiettivo "punire" i dipendenti, ma di premiare i migliori, calibrando l'incentivo della produttività sull'effettivo impegno, nella consapevolezza che la qualità del servizio offerto dall'Ente dipende dal lavoro degli addetti. Per cui è necessario che il personale venga opportunamente valorizzato e stimolato".
Una produttività, quindi, che punta sulla promozione delle eccellenze e non sulla 'caccia alle streghe' e le strategie anti-fannulloni che fanno credere all'opinione pubblica che gli statali o sono assenteisti o perdono tempo su internet (è del maggio scorso la direttiva che vieta al dipendente pubblico di utilizzare a fini privati materiale o attrezzature di cui dispone per ragioni di ufficio, compresa la mail e la connessione internet).